[Editoriale]
Da ormai venti anni la vita politica italiana
ristagna nella palude democratica. Da quando le forze della sovversione,
forti dell’aiuto alleato, s'impadronirono del potere dopo avere
eliminato con la strage e la persecuzione gli ultimi epigoni di
un’Italia grande ed imperiale, nulla né nessuno è riuscito a smuovere le
acque paludose della gora italica.
Una illusione di risveglio si ebbe allorché apparve sulla ribalta
politica il MSI. I superstiti della Repubblica Sociale Italiana ed i
giovanissimi che ancora avvertivano il fascino della educazione littoria
si strinsero attorno alla "fiamma tricolore" in un impeto di ribellione
e di entusiasmo. Il MSI non volle e non seppe usare di questa potente
carica rivoluzionaria. Quali sono le cause? Si conoscono.
La carenza di una classe dirigente adeguatamente preparata, la
sprovvedutezza ideologica, oltre che politica, di quanti si arrogarono
il diritto al comando, la successiva ascesa ai posti di rettivi da parte
di autentici avventurieri della politica. Mentre i giovani ed i reduci
del combattentismo repubblicano si battevano sulle piazze per
conquistare con la violenza il loro diritto alla vita, altri a livello
dirigente si adoperava per involvere e strumentare ai propri fini il
MSI. Quando la battaglia esterna fu vinta, quando la piazza fu
conquistata, quanti erano andati esaurendo nell'azione le loro energie
si accorsero che un nuovo partito era entrato a fare parte -sulla
"destra"- dello schieramento democratico Italiano. La lotta fu portata
allora all'interno del MSI: fu una lotta sterile perchè ormai le
situazioni di potere si erano fortemente cristallizzate. Se si fosse
insistito su di una linea di opposizione intransigente all'interno del
partito, forse con il passare degli anni sarebbe stato possibile
defenestrare la trista genia degli avventurieri politici. Ma il problema
si impose come fatto di stomaco, oltre che come espressione di stile. A
legionari, usi alla lotta aperta anche nelle situazioni più disperate,
divenne impossibile resistere nel clima rivoltante degli inganni, degli
intrallazzi, delle camarille. Così il MSI, novella espressione della
partitocrazia democratica, ebbe a rappresentare negli anni successivi lo
strumento spregevole delle ambizioni basse e biliari di uomini piccoli
soltanto biliosi.
Fu perciò, malgrado le innumerevoli occasioni che gli avversari con la
loro politica di ruberie e di crassa incompetenza andavano offrendo, che
nulla fu fatto in senso rivoluzionario. Il MSI si limitò, sempre ad usum
delphini, a partecipare alle competizioni democratiche vivacchiando con
la rendita fornitagli dalla base "nostalgica" del corpo elettorale, e si
rese incapace non solo degli auspicati slanci rivoluzionari ma sinanco
di concrete azioni parlamentari.
Nel 1960 fu lecito ai sovversivi di impedire con il ricorso alla
violenza ed alla piazza -a quella piazza già da noi conquistata negli
anni '48, '49, '50 - il democratico Congresso nazionale del MSI.
Da allora deambula tra i banchi di "destra" di Montecitorio, con assurde
pretese di vitalità ,un autentico putrescente cadavere.
Il senso del reale e la lucidità di giudizio che ci vengono dalla nostra
conoscenza della storia e dei sistemi, ci hanno spinto a questa spietata
diagnosi.
È chiaro che non può né deve essere nostro compito sostituire il
cadavere.
È bene quindi che si abbia il coraggio di tracciare i lineamenti di
quella che dovrà essere per naturale vocazione, la nostra battaglia.
Mentre la sovversione comunista si accinge in Italia ad impadronirsi in
maniera definitiva e totale della cosa pubblica, mentre il comunismo
internazionale, servendosi di sorrisi, di colpi di mano, di
sobillazioni, di finti conflitti ideologici ed abusando della ingenuità
e del folle desiderio di pace ad ogni costo degli "occidentali", si
proietta alla conquista del cosiddetto mondo libero, non è pensabile
perdersi ancora dietro false dialettiche democratiche nell'inutile e
sciocca speranza di fermare il passo ai nostri avversari.
È tempo -ed è notevole il ritardo- che tutte le autentiche forze
fasciste si uniscano per condurre una decisa azione rivoluzionaria
contro il sistema e contro gli uomini che lo rappresentano. Per condurre
con decisione una tale lotta occorrono uomini consapevoli, preparati,
spregiudicati, pronti al sacrificio, I nostri avversari sono potenti,
numerosi, ricchi, padroni di situazioni e di istituzioni, appoggiati
massivamente dall'intero mondo bolscevico, aiutati da quanti sono
disposti a pronarsi, per cecità o per paura, alla nuovissima deità della
carta vincente. Noi invece siamo in pochi, poveri, privi di appoggi,
circondati dal nemico. La lotta è, come sempre, impari ma non è
disperata. Ci è lecito infatti opporre alla potenza e ricchezza altrui
la nostra decisione, la nostra preparazione, la nostra audacia, la
nostra temerarietà, il nostro entusiasmo, la nostra volontà ferrea di
riuscita. Noi dobbiamo usare di questi nostri attributi in maniera da
colmare lo svantaggio esistente.
Ci sarà possibile.
Una propaganda adeguata ci consentirà di incontrare simpatie presso i
giovani. Dinanzi ai loro occhi noi abbiamo i numeri per apparire i
detentori del Verbo, dell'unica Idea per cui valga la pena di vivere e
di combattere. Sarà nostro compito di rendere chiara ed interamente
accettabile la nostra Ideologia, fare di essa -come realmente è- una
autentica Idea-Forza.
I nostri princìpi, le nostre concezioni, le nostre intenzioni, le nostre
idee vanno propagandati in maniera efficace, vanno fatti conoscere, non
debbono rimanere gelosamente custoditi nel chiuso di conventicole
ristrette.
Di qui la necessità di una nostra cultura che si sostituisca
progressivamente al ciarpame vomitevole del sovversivismo culturale in
auge.
Altra direzione che dovrà seguire la nostra propaganda è quella
dell'Esercito e delle Forze di Polizia. I tempi ci sono favorevoli per
un tale lavoro. La carenza dello Stato, le sperequazioni morali e
materiali, la campagna denigratoria intrapresa dai comunisti nel
confronti delle tradizioni militari, non possono non creare un clima di
malessere tra quanti in Italia indossano ancora la divisa con la
convinzione che indossarla rappresenti, prima di un dovere, un onore.
L'Ufficiale, il Sottufficiale, il Carabiniere, l'Agente sono nostri
alleati potenziali.
Gli sforzi intesi all'inutile tentativo di portare a noi le masse sono
pura follia. Noi dobbiamo interessare quelle élites giovanili,
studentesche e militari che adeguatamente attivizzate possano offrire i
mezzi per sconfiggere la sovversione. La massa già in astratto è
acefala, è amorfa, è armento che segue i più forti per istinto di
conservazione e per basso utilitarismo. Noi in quanto portatori di una
concezione spirituale della vita, non possiamo strumentare la massa col
suscitare in essa interessi che le sono estranei. In concreto, poi, le
masse Italiane sono annosamente e scaltramente irretite e schiavizzate
dalla DC e dal PCI. Diciotto anni di democrazia ci insegnano che non è
consentito operare spostamenti di voti e di consensi in senso contrarlo
a quello stabilito dalle segreterie dei partiti di massa. Neanche la
disastrosa attuale situazione economica, con lo spettro della
disoccupazione e della fame, riesce a smuovere le acque dell'immondo
stagno elettorale. La ennesima riprova di quanto sosteniamo si è avuta
con i risultati di questi giorni delle votazioni nel Friuli-Venezia
Giulia.
Al contrario, ancora una volta, avvenimenti internazionali recentissimi
ci indicano inequivocabilmente la via da seguire. Ed è la via
rivoluzionaria. È necessario che noi con immediatezza si agisca per
gettare le basi per una lotta rivoluzionaria.
Chi ci interessa dovrà comunque seguirci, spontaneamente o costrettovi.
Non mancheranno a noi i mezzi per convincere i reticenti! È tempo di
finirla con le cialtronerie, i tentennamenti e le vigliaccate. La nostra
lotta è titanica. Non è la lotta per la restaurazione nel nostro Paese
di un regime a noi favorevole. È la lotta per la riscossa dell'Europa,
per la salvezza della civiltà che fa già di Roma contro la sovversione
che ci fa apparire "barbari" l'Oriente e l'Occidente.
In tutta Europa vi è una gioventù ardente, disposta a battersi con noi:
non saremo noi a scegliere la via della rinunzia, per incapacità o per
ignobile vigliaccheria.
Allontaniamo per sempre da noi le illusioni nei fallaci metodi della
democrazia ed il resto ci sarà facile. Jose Antonio Primo de Rivera, in
risposta a chi lo sollecitava ad inserire la Falange nei ludi
democratici, così si espresse in un discorso dell'ottobre 1931: «Le
elezioni non ci interessano. Noi non vogliamo inserirci in questo clima
avvelenato (…) Noi non desideriamo dividere con i candidati di sempre i
resti di un banchetto sporco. Il nostro posto e lontano da tutto ciò. Il
nostro posto è all'aria aperta, le armi in pugno, e sopra di noi le
stelle».
Una selezionata gioventù europea si batté negli anni quaranta contro le
forze congiunte del giudaismo e della sovversione comunista sventolando
alto, sino ed oltre la morte, il Vessillo del Nuovo Ordine.
La nostra ultima non fu soltanto la battaglia per lo "Onore d'Italia",
il nostro compito non si esaurì con il dramma della guerra civile. La
coalizione che ieri riuscì a sconfiggerci con la forza dell'oro e del
tradimento, continua ad attentare alle residue vestigia della Civiltà di
cui fummo i portatori e gli ultimi difensori in armi.
Il nostro è dunque un appuntamento con la Storia. La lotta iniziata più
di venti anni fa contro l'intiero mondo continua. Una lunga sosta ci è
stata imposta. Ora è di nuovo tempo di combattere.
PROFILI
Salvo d'Acquisto
Come tutti gli eroi, i santi ed i martiri, Salvo
d'Acquisto dimostra quanto sia folle e disonesto fondare la convivenza
sociale sull'uguaglianza e come l'irriducibile diversità tra uomo e uomo
implichi una naturale ed ovvia diversificazione della condotta umana.
Infatti, benché la guerra tenda ad essere combattuta da masse anonime
sempre più numerose ed appoggiate via via da forze e mezzi sempre meno
umani e, nonostante che l'attività civile dell'individuo tenda ad essere
sempre più soffocata da attività collegiali, il valore, l'eroismo ed il
genio personale rimangono per sempre validissimo coefficiente di
vittoria in guerra e di più progredite e civili relazioni sociali in
pace.
Salvo d'Acquisto e la prova inconfutabile del nostro asserto.
Quando, dopo l'8 settembre 1943, tutti I valori umani sembravano
crollati nella tragedia della sconfitta e nel disonore del tradimento e
la stragrande maggioranza degli italiani preferirono la vile attesa del
sopraggiungere dei vincitori, gli uomini della Repubblica Sociale
Italiana, e con questi Salvo d'Acquisto, si ersero dalle rovine e
salvarono l'onore della Nazione, combattendo in campo aperto il nemico
multicolore che risaliva la Penisola ed obbligando, con la forza della
dignità e della fierezza italiche, gli alleati germanici al rispetto
dell'alleanza, là dove essa veniva obliata. Militare figlio di militari,
educato alla grande scuola dell'ordine e della disciplina, Salvo
d'Acquisto è certamente uno degli eroi più fulgidi della nostra
tradizione militare. Nel cielo degli eroi egli siede accanto a Micca e
Meattini ed a quanti altri sconosciuti offrirono umilmente ed in
silenzio la vita alla Patria. Alto, slanciato, lo sguardo fermo e
diritto, il volto bello e fiero, Salvo d'Acquisto s'inquadra tra i più
bei campioni della stirpe italica. Fu decorato con la medaglia d'oro al
V.M. alla memoria.
Il 22 settembre 1943, per salvare 22 ostaggi che i soldati tedeschi
intendevano fucilare per la morte di alcuni loro camerati uccisi
proditoriamente, Salvo d'Acquisto si autoaccusò del non commesso
attentato e fu fucilato al posto degli ostaggi. Aveva soltanto 23 anni.
La sua breve vita, dedicata interamente al dovere compiuto in nome di
ideali superiori -secondo lo stile di vita silenziosamente eroico di
tutti i militi della benemerita Arma della quale faceva parte- la sua
condotta e la sua eroica morte possono costituire esempio per la
gioventù di tutti i tempi e di tutti i paesi.
rosario bentivegna
Per trattare adeguatamente di rosario bentivegna,
bisognerebbe calarsi nelle fogne. Tarato, nato da famiglia tarata nel
corpo e nella psiche (il suicidio del padre ne è prova evidente),
anziché scegliere la via pericolosa e luminosa dei giovani della
Repubblica Sociale Italiana, r. b. rimane a Roma, aderisce ai primi
intrallazzi dei CLN. Fu certamente adescato da Pilo Albertelli e
sappiamo sicuramente che finì nelle mani di Lussu e di Montezemolo, i
quali pagavano con sterline oro, piovute dagli aerei degli "alleati",
gli sciagurati attentatori di fascisti e tedeschi. Renitente alla leva,
trovò nella Roma 1944 cosiddetta clandestina, città "aperta" alle
peggiori sozzure clerico-bolsceviche, l'ambiente che gli era congeniale
ed in esso operò e campò da maestro. Appartenne ad un movimento che, per
essere sempre stato ricettacolo di disertori, di traditori della patria
e di criminali internazionali, è, oggi più che mai, lontano dal popolo
italiano e dai suoi reali interessi, dal suo spirito, dalla sua civiltà.
Basso, tozzo, brutto d'animo e di fattezze, nato a Roma per caso,
rosario bentivegna è condannato a passeggiare per le vie di Roma senza
assaporare il senso sublime della romanità, trascinando seco con il
fardello dei molteplici crimini commessi il marchio infamante degli
schiavi giudei.
Vili, vissuti nella codardia e nel disonore familiare e personale,
rosario bentivegna e la sua squallida compagna il 23 marzo 1944 uccisero
33 riservisti germanici che, disarmati, attraversavano il centro di Roma
cantando gli inni della patria lontana. Il comando tedesco concesse agli
attentatori 48 ore di tempo per presentarsi e, non essendosi presentati,
rosario bentivegna e la sua compagna uccisero anche 335 italiani che il
comando germanico fece fucilare alle cave ardeatine.
Venne proposta per tale azione al nome di rosario bentivegna la medaglia
d'oro al V.M. ma, poiché tra gli altri efferati crimini il nostro aveva
ucciso, per futili motivi, un ufficiale partigiano, la concessione fu
limitata alla medaglia d'argento. La medaglia d'oro venne invece
concessa alla consorte, con la quale rosario bentivegna forma la più
sordida e ripugnante coppia che sia dato di incontrare.
LEGGETE :
DIFFONDETE :
"LA LEGIONE"
milano - via ariosto 11
"ORDINE NUOVO"
roma - via di pietra 84 |
COLLOQUI CON QUASIMODO
TRELLO
sostantivo scurrile di caserma evocante alla nostra memoria sonore
risate sgangherate bollanti a fuoco spregevoli canaglie flacide.
Questa volta al TRELLO assimiliamo la testa rotonda di SALVATORE
QUASIMODO, benpensante professore di semantica, cacone, collaboratore di
Tempo, periodico settimanale milanese, premio nobel 1959, del quale
offriamo un saggio che ci riguarda nelle pagine seguenti.
Leggetelo meditatelo e sputatevi in un occhio. Poi ne riparleremo.
Il mondo e gli eroi
C.D.C. dice: «Ho letto, non so più su quale giornale,
un giudizio piuttosto sconsolato sul desiderio di vita "familiare", di
vita senza avventure che avremmo in genere noi giovani. Questo giudizio
mi ha colpito particolarmente perchè mio padre che si trova in Africa e
ha una vita piuttosto ricca di esperienze, mi scriveva nello stesso modo
avendogli io parlato dei miei progetti. Sono forse l'estensore
dell'articolo e mio padre, uomini di una stessa generazione che
reagiscono nello stesso modo, per questo ho deciso di scriverle: per
sapere se anche lei è sullo stesso piano e quindi se è tutta una
generazione che considera la gloria in un senso o nell'altro come il
fine della vita o se, piuttosto, come penso, è un modo di essere non
necessariamente conseguente ad una epoca, ad una educazione. Quando
sento mio padre, e altri come lui, che giudicano in quei modo noi
giovani, non posso fare a meno di pensare alle teorie del superuomo, a
D'Annunzio, al fascismo; non posso fare a meno di pensare a quanti miei
coetanei ancora oggi vedono il successo, non è il caso di spiegare in
che senso, come il valore numero uno. Il lavoro, la famiglia, i rapporti
umani vissuti con la coerenza ai propri princìpi, questo per me deve
essere alla base della vita e quando mi si risponde che è un po' poco,
che siamo poco ambiziosi, che ci facciamo prendere dalla pigrizia di
fronte alla vita, mi sento piena di ira perchè so quanto è difficile
essere coerenti in una società così priva di veri valori, continuamente
sollecitati al compromesso, all'avventura innanzitutto morale. La vita è
ricca ed ha senso quando si vivono con pienezza i propri rapporti con la
società. Ora bisogna essere eroi ma in un altro senso ma: "infelice il
mondo che ha bisogno di eroi", le pare?»
Bisogna intanto vedere che cosa intendono suo padre e chi la pensa come
lui per "gloria". Prima di trovarne di autentica è necessario che
passino spesso anni e generazioni, certamente si deve andare al di là
dei falsi eroi, dei travestimenti nazisti. Lei ha ragione, signorina
C.D.C., alcuni impulsi retorici di una generazione che ha sviluppato il
suo raziocinio lungo le tavole di errori del Regime, sono di natura
extra-umana, come il superuomo dannunziano che (diversamente dalla
macabra scenografia nietzschiana) mi ha sempre dato la nausea che provo
per ogni atteggiamento grottesco: i monumenti dell'ignoranza, del
sopruso, della follia che tanto abilmente sapevano costruire i fascisti.
Ma se suo padre e molti altri si sono lasciati ingannare dal carnevale
di mostri della nostra storia, purtroppo recente, per ingenuità o per
simpatia crudele con la violenza antistorica, al punto che conservano un
nucleo morale identico dopo la caduta dei loro "eroi" e vorrebbero, in
buona o cattiva fede, provarlo come uno stampo sui loro figli, essi sono
due volte condannabili. Chi ha assistito alla rovina dell'Europa e della
civiltà per colpa di quelle teorie che volevano, più o meno, fare di un
popolo dei reggimenti di eroi allineati non dal coraggio ma dalla viltà,
e, a vent'anni dal fallimento di simile dottrina, ne conserva ancora una
memoria attiva vuol dire che il suo male è radicato. E, signorina C.D.C.
nè discussione, nè logica, né prova di sangue o di vittoria potranno
cancellare la loro immagine del bene. Questa è la gente che parla di
"nostalgia"; ma se il rimpianto restasse fermo nella loro mente poco
sarebbe il male. Invece, oltre a perdere la loro età già perduta nel
tempo e nella sconfitta di un mondo costruito sul vuoto, sono uomini che
pretendono di convincere i giovani delle virtù "idealiste" della loro
stagione, un po' per scusarsi dell'esplosione che ha devastato le
premesse della gioventù contemporanea e molto con la certezza di dover
incarnare un apostolato di vendetta per una giusta causa. E voi giovani
o credete a queste prediche di bassi profeti di una croce non di avvento
ma di sepolta forza omicida e vi gettate con picche e alabarde in difesa
degli errori dei vostri padri che, sorridenti, attendono da voi un
ritorno al passato, o, come lei, signorina, e tanti altri, ricercate
altrove le ragioni essenziali dell'esistenza. E, come esatta reazione
alla cartapesta e alle grida nei megafoni imperiali, affermate desideri
eroici di naturale amministrazione. Ma l'uomo è civile proprio perchè ha
saputo difendere con il sangue e i sentimenti le imposizioni dell'anima
e della conservazione della specie.
Forse suo padre e tanti altri non sono che uomini sviati da un sistema
di letteratura. Ma facciamo che la superbia non li spinga a una
propaganda di idee "wagneriane" che irritano al sorriso i giovani
intelligenti che vedono la viscida figura delle cose passate di moda e
che, purtroppo, fanno soffrire o ingannano chi nasce indifeso dalla
cultura e dalla saggezza spirituale per le dottrine di questo mondo.
Esse sono molte, ma si potrebbero dividere in due opposte; la verità e
l'errore stanno sempre in due campi avversi.
Ma, fra i giovani che furono contemporanei a suo padre, erano anche i
coraggiosi della Resistenza, coloro che hanno costruito l'epica del '45.
E non ascolti i discorsi di demolizione della gloria partigiana che
molti di quelli che disprezzano i suoi ideali di coerenza sarebbero
pronti a farle; ci sono, per la fortuna delle nuove generazioni, i
documenti del loro male e dell'altro bene.
SALVATORE QUASIMODO
Avete letto bene?
Per favore rileggete ancora una volta!
Grazie!
BERENICE di BRASILLACH al FIAMMETTA di ROMA
Al Teatro Fiammetta di Roma è stata portata sulla scena, a cura dei
ragazzi di Avanguardia Nazionale, "BERENICE" di Robert Brasillach. Per
la prima volta è stato possibile spezzare le maglie della mafia
"intellettuale" sovversiva e si è potuto dare una rappresentazione del
poeta "maledetto* francese. Maledetto perché fascista!
Berenice non fu scritta da Brasillach per la scena; forse altre opere
del poeta -che fu definito da Paul Sérant il più romantico dei Fascisti
di Francia- sarebbero state meglio adatte per una rappresentazione.
Sulla scelta hanno evidentemente pesato notevoli motivi di polemica e di
attualità; siccome gli avversari hanno accusato il colpo si è avuta la
prova del nove sulla validità di siffatta scelta.
Al disopra del dissidio tormentoso tra l'amore e la ragion di stato che
si agita nell'animo di Tito, si eleva la certezza del legionario Paolino
nei Valori eterni della Tradizione e della Razza». È da questa certezza
che giunge a noi attraverso le parole del legionario il messaggio di
fede nella vitalità della Tradizione che già fu di Roma. Ai giovani di
Avanguardia Nazionale il merito di ciò che va considerato un autentico
avvenimento. Grazie ai coraggio ed allo spirito di sacrificio di questi
giovani, che hanno dovuto affrontare e saputo superare ostacoli di ogni
sorta, un duro colpo è stato inferto a chierici e sovversivi da anni
monopolizzatori di teatro e di cinema.
È nostro augurio che si possa continuare in forme più adeguate e sempre
più appropriate nel lavoro iniziato con questa prima rappresentazione.
Anche lo Spettacolo è infatti un mezzo, e non l'ultimo, per la nostra
battaglia rivoluzionaria, "Je garde le drapeau noir et les copains comma
une des mes divises sacrées", scriveva Brasillach poche ore prima di
affrontare il plotone di esecuzione.
Sia da noi agitato ovunque e sempre il nero vessillo della Rivoluzione.
CAMPEGGIO ESTIVO pei giovani del GRUPPO ROMANO
L'organizzazione del campeggio estivo pei giovani del
Gruppo romano è in avanzata fase di realizzazione. Gli ospiti si
avvicenderanno in turni di 20 giorni, in una tendopoli che essi stessi
realizzeranno in una amena località dell'Appennino Centrale al disopra
dei 1000 metri s.l.m.
Le adesioni si ricevono presso la Segreteria del Gruppo in Roma -
Lungotevere Prati n. 22 nelle sere di lunedì e venerdì.
INTERESSANTE NOVITÀ EDITORIALE
Il "Gruppo di Ar" - Padova, Via Patriarcato 18, ha
curato la edizione in lingua italiana del "Saggio sull'ineguaglianza
delle razze umane" del De Gobineau, caposcuola nella seconda metà del
secolo scorso del "razzismo scientifico". Una novità nella nostra lingua
che è fondamentale per la conoscenza del problema razziale.
L'opera può essere acquistata presso l'editore al prezzo di lire 2.000
la copia.
Non scrivete parolacce -ammonisce L.G. di Roma - perché costituiscono,
comunque, una stonatura e fanno scadere il tono, che giudica pregevole
ed interessante, di Emme rossa.
Parole sante! Ma benedetti camerati! Il nostro bollettino interno è
destinato a dei soldatacci e noi non abbiamo, certamente, fatto
l'esaltazione del turpiloquio ed, a parte la considerazione che la
schiettezza non è mai un male, ci piace chiamare le cose col proprio
nome e cognome.
Inoltre, quando ci vuole, ci vuole. Anche la parolaccia.
Chi erano Fiorenzo Bava Beccaris e Luigi Gerolamo Pelloux ci chiedono
diversi camerati tra ì quali desideriamo mettere in evidenza A.G. di
Palermo per la valida motivazione perentoria della richiesta.
Non possiamo fare un condensato bibliografico né tracciare la biografia
dei due illustri carneadi. Mettiamo in luce le sole notizie che
chiariscono lo spunto polemico contenuto a pagina 2 del bollettino
uscito a marzo. Dunque:
- Bava Beccaris Fiorenzo, fu regio commissario a Milano per condurre in
Lombardia la repressione dei moti socialisteggianti del 1898. Non
adoperava i guanti.
- Pelloux Luigi Gerolamo, invece, i guanti li adoperava. Infatti nel
1898 era presidente del Consiglio dei Ministri e, nonostante Bava
Beccaris, ci durò altri due anni.
Piemontesi e generali, come Badoglio Pietro, tutti e due sono morti nel
1924.
Mattone. Emme rossa è un mattone. Questa la conclusione che tira,
amareggiato, R.D.C. mantovano.
Hai ragione da vendere, caro camerata ed amico. E noi, ci puoi credere,
vorremmo avere non un bollettino interno, ma un poderoso quotidiano,
duttile e penetrante, affiancato da cento e cento riviste con
duecentouno segretari a sudare per ricacciare indietro l'esercito di
tutti i pennivendoli di questo mondo ed al centro della faccenda te,
caro R.D.C. mantovano, camerata ed amico, con la frusta in una mano e
nell'altra un gatto a nove code. Pensa che risate ci farebbe fare la
televisione italiana! In attesa, mettiamoci un po' di fantasia ed il
mattone lieviterà.
Papagiovanni e Vaticano sono nel cuore di un gran numero di fascisti, a
sentire i combattenti che sono letteralmente insorti per invitarci a
tacere sulle opinioni che abbiamo abbozzato in proposito.
Maledetti Fregnoni!!! Quando comincerete a ragionare col cervello! Non
siamo anticlericali e non lo siamo mai stati ma è chiaro che non
possiamo consentire a nessuno, neanche a chi ci vuol bene, di cambiarci
le carte in tavola.
Ma voi quando volete cominciare a pensare che scomuniche e sillabo, in
tempi di politica del sorriso e delle audaci cortesie, non servono a
nulla e che la faccia scura di Papapaolo non è la grinta di Giulio II?
Vorremmo proprio vederlo il papa che fa il cattivo, maledetti fregnoni!
Quasi certamente voi non siete in grado di fare il conto delle pesanti
scomuniche contro il modernismo ed i suoi derivati seguite da Pio IX a
questa parte, ma chi di dovere il conto lo tiene aggiornato ed altri di
dovere, ritenuto di dover tirare le somme, ha constatato che Canossa
esiste soltanto su qualche guida turistica, che Nicola Krutscev non è
Enrico IV, che Elisabetta II non è la contessa Matelda, che Lyndon
Johnson non somiglia neanche lontanamente a Goffredo di Buglione e che,
se i Cinesi sono infedeli, Maotsè non è un califfo e non discende dal
profeta.
Ed allora, Vi pare strano se anche noi guardiamo le cose come ci pare?
Maledetti fregnoni! Volete prendere atto, almeno, che il cuore non è
fatto per ragionare e che il prete ha dimenticato tutte le benedizioni
che ha impartito a noi ed a voi? La demagogia e la retorica lasciamole
da parte, anche perchè hanno già "La rivista romana" ed il loro bravo
paladino. Teniamo presente, invece, che esiste un conto che è sempre
aperto. Lo abbiamo acceso nel 1929 d'amore e d'accordo. La scadenza
della guerra ha visto gravemente insolvente l'altro contraente e noi,
pazientissimi creditori, abbiamo "accompagnato" il nostro debitore la
sciandogli compiere, con una generosità che non trova riscontro in
nessun altro periodo della Storia patria, tutti gli atti di sleale
concorrenza che ha voluto compiere. Malauguratamente, abbiamo valutato
il rischio senza imporre interessi, diritti e commissioni di sconto e ci
siamo ritrovati sul gobbo la crisi del '43. Al nostro dissesto non è
seguito quello del nostro coobbligato che, non solo non si è preoccupato
di "accompagnarci", ma ha lasciato che pagassimo da soli le cambiali a
firma congiunta.
Ci siamo dissanguati, ma ora conviene essere pazienti perchè la
controparte ha da perdere ed i titoli sono rimasti in mano nostra. Così
annotiamo metodicamente tutto sul nostro conto, che è fortemente in
attivo per noi, ed appena alla porta della Storia busserà l'Ufficiale
giudiziario, state tranquilli, non potremo limitarci a far levare il
protesto, se la cassa contanti non avrà, come noto, registrato
l'introito nelle quarantotto ore rituali.
Archivi personali che conservano personali miserie stuzzicano la
curiosità di O.S. da Perugia che ci chiede notizie e dice di saperla più
lunga di "Continuità".
Non ne sappiamo nulla.
Il tarlo del sospetto, però, (anche noi siamo fragili creature umane) ci
ha punto in fondo all'orecchio. Non ce ne importa gran che, ma siccome
la riservatezza, nel nostro ambiente, è cosa assai rara abbiamo dato
qualche credito alla voce -e la gravità del fatto giustificherebbe il
riserbo- che in mezzo a cianfrusaglie inutili quegli archivi gelosi
custodiscano pregevoli copie delle preziose immagini di Marylin Monroe
in costume adamitico.
Povera Marylin Monroe, che ci fanno dire i luoghi comuni! Provate ad
immaginare la splendente nudità di quel che ci ricordiamo di Marylin
Monroe con … il baffo destro del Conte Teodorani, notoriamente
formidabile come quello di padre Adamo.
per la biblioteca
circolante del Gruppo romano abbiamo bisogno delle seguenti
opere, che ci vengono continuamente richieste dato il loro
carattere documentaristico:
- Roberto Farinacci
Storia della Rivoluzione Fascista - 3 voll.
- Ermanno Amicucci
I 600 giorni dì Mussolini
abbracceremo chi ce le farà avere. |
DOCUMENTI
Il 26 aprile 1954 il Tribunale Militare Supremo, accogliendo in gran
parte le tesi difensive de gli accusati, riformava la sentenza con la
quale il Tribunale Militare di Milano aveva condannato alcun Ufficiali
della "Tagliamento".
L'importanza della decisione non sfuggì alla F.N.C.R.S.I. che -quasi
subito- ad iniziativa dell'Ispettorato Alta Italia ne diffuse in decine
di migliaia di esemplari un estratto presentato con una lucida e nobile
prefazione di Piero Pisenti, Ministro Guardasigilli vivente della
Repubblica Sociale Italiana.
Il fatto non sfuggì neanche agli avversari che ne trattarono con
abbondante astio e con la faziosità che è loro propria ma senza quel
minimo di serietà che possa oggi giustificare una qualsiasi particolare
citazione.
Concludeva il Ministro Pisenti:
«(…) La sentenza ha dunque scritto un capitolo di storia prefazione e
premessa a quella completa ricostruzione obbiettiva di un drammatico
periodo della vita italiana che, se fu tumulto di lotte e di sangue, è
tuttavia illuminato dalla luce del sacrificio e della fedeltà a ideali
che non tramontano.
Può dirsi che fin qui la necessaria polemica, materiata di affermazione
e negazioni, di accuse e di rivalse, non abbia offerto da parte nostra
quella organica documentaria dimostrazione di cui la pubblica opinione è
stata sempre in attesa. Da ciò l'importanza e la necessità di far
conoscere il responso della Giustizia sulle più ardenti questioni di
fatto e di diritto scaturite dal tempo della Repubblica Sociale Italiana
(…)».
Un altro decennio si è concluso, dopo la pubblicazione di quella
sentenza, e gli avversari hanno consolidato l'uso delle vigliaccate ed
il ricorso alla violenza con le armi più sottili e spregevoli.
Quella decisione del supremo Magistrato militare italiano è quindi
sempre attuale ed acquista particolare valore, difronte alle menzogne ed
al veleno che vengono vomitati a proposito ed a sproposito, in ogni
occasione, giorno e notte, sempre, da chierici e da bolscevichi, sugli
italiani nel tentativo di camuffare per valida una situazione che essi
stessi, evidentemente, sentono tragica ed inconsistente.
Noi non possiamo sottoscrivere in bianco la decisione in questione,
perché dall'Alto Collegio giudicante, una volta poste con lucidità ed
esattezza le premesse riportate dalla sentenza, era logico e doveroso
arrivare a tutte le conclusioni, anche a quelle estreme, nello spirito
delle seguenti considerazioni che fanno parte del documento:
«(…) in questa sede non può trovare asilo passione politica alcuna.
Nell'immediato dopoguerra le divergenze politiche e Ideali, i
risentimenti delle famiglie e degli individui, il sangue sparso e la
visione della Patria umiliata, dilaniata e infranta, ebbero
indubbiamente influenza sul corso normale della giustizia, che,
attraverso l'Alta Corte e le Sezioni Speciali di Corte d'Assise
pronuncio talvolta severissime ed estreme condanne. (…) Le leggi del
vincitore avevano dettato severissime norme contro il collaborazionismo;
ma al giudice spettava e spetta di esaminare e vagliare se tradimento ci
fu. (…) Questo Tribunale Supremo Militare, giudice esclusivo del
diritto, sente l'altezza del suo compito, nell'ora in cui è doveroso
esprimere una valutazione ed un esame approfondito, sereno ed obbiettivo
delle questioni proposte, nel rispetto delle Convenzioni internazionali
e del diritto interno, (…)»
Torneremo quindi in argomento con il nostro commento organico. È
necessario intanto che i combattenti possano e sappiano usare delle
validissime argomentazioni che la decisione offre, contro le ignobili
menzogne dei preti in vena di reminiscenze temporaliste, dei
socialboches e dell'ebraismo associato,
I combattenti, dunque, tengano presente che sin dal 1954 il Supremo
Magistrato Militare Italiano, ha stabilito con la indiscussa autorità
che gli compete e con il peso della cosa giudicata, passata in
giudicato, che:
1) i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana hanno diritto ad
essere riconosciuti e trattati come belligeranti;
2) gli appartenenti alle formazioni partigiane non hanno tale diritto;
3) la Repubblica Sociale italiana, era soggetto di diritto
internazionale e quindi Stato ex pleno ]ure nei confronti delle Potenze
straniere che l'avevano riconosciuta, e tra queste alcuni Stati
neutrali;
4) la Repubblica Sociale Italiana era uno Stato di fatto nei confronti
delle Potenze Alleate e dei cobelligeranti italiani, ma poteva essere
considerata erroneamente Stato di diritto anche in questo caso, per cui
l'errore ha valore discriminante;
5) la subordinazione gerarchica militare nell'ordinamento giuridico
interno proprio della Repubblica Sociale Italiana era legittimo e
conforme alla legge italiana ed ai trattati e convenzioni
internazionali. I Combattenti della R.S.I. -tutti- dai militari
dell'Armata Liguria, alla X MAS alle Brigate Nere, alle Forze di
Polizia, anche ausiliaria, alle Formazioni della Guardia, alle SS
Italiane, al SAF, ai militarizzati, dovevano obbedienza ai loro
superiori ed hanno diritto alla discriminante dell'adempimento del
dovere;
6) le fucilazioni e le soppressioni con altri mezzi senza giudizio (e
sono centinaia di migliaia) costituiscono quindi crimini orrendi ai
sensi della legge penale militare italiana, delle Convenzioni
internazionali e degli usi di guerra;
7) le soppressioni avvenute in base a sentenze delle Corti di Assise
Speciali e delle due Sezioni della Suprema Corte di Cassazione traggono
la propria forza non dalla maestà del Re (il più piccolo dei Savoja
oltre a non essere per niente maestoso era nello stesso tempo
cobelligerante, prigioniero e nemico in stato armistiziale delle Potenze
Alleate) né dal Popolo Sovrano, né dallo stato di necessità, ma dagli
ordini del nemico, riconosciuto come tale.
Nelle pagine seguenti i passi più significativi della Sentenza del
Tribunale Supremo Militare in data 26 aprile 1954 (PRESIDENTE:
Buoncorapagni, RELATORE: Ciardi ).
«... Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 la sovranità di fatto o
meglio l'autorità del potere legale, fu nella parte dell'Italia, ove
risiedeva il Governo legittimo, esercitata dalle Potenze alleate
occupanti. Non poteva altrimenti essere, dal momento che, durante il
regime di armistizio, permaneva lo stato di guerra e l'occupante era
sempre giuridicamente «il nemico».
«Basti considerare che TUTTE LE LEGGI E TUTTI I DECRETI, COMPRESA LA
LEGGE SULLE SANZIONI CONTRO IL FASCISMO (ORDINANZA N. 2 DELLA
COMMISSIONE ALLEATA IN DATA 27 APRILE 1945), RICEVEVANO PIENA FORZA ED
EFFETTO DI LEGGE A SEGUITO DI ORDINI DEGLI ALLEATI.
«PERTANTO, IL GOVERNO DEL RE ERA UN GOVERNO CHE ESERCITAVA IL SUO POTERE
"SUB CONDICIONE", NEI LIMITI ASSEGNATI DAL COMANDO DEGLI ESERCITI
NEMICI.
«Se questi erano gli aspetti giuridici della Sovranità nell'Italia del
Sud, NON POTEVA PER CERTO IL LEGITTIMO GOVERNO ITALIANO, CHE AVEVA SOLO
QUELLA LIMITATA POTESTÀ CHE LE POTENZE OCCUPANTI GLI CONCEDEVANO,
INTERFERIRE NELL'ITALIA DEL NORD E DEL CENTRO. DOVE GLI ALLEATI NON
ERANO ANCORA PERVENUTI. LA AUTORITÀ DEL POTERE LEGALE ERA COLÀ IN ALTRE
MANI; UNA NUOVA ORGANIZZAZIONE POLITICA ERASI CREATA, CON UN PROPRIO
GOVERNO, E, CIOÈ, LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, RICONOSCIUTA COME
STATO SOLTANTO DALLA GERMANIA E DAI SUOI ALLEATI.
«Indubbiamente tale nuovo Stato non poteva essere considerato soggetto
di diritto internazionale, con gli attributi della piena sovranità dagli
Stati che non lo avevano riconosciuto; esso assumeva, almeno
formalmente, la piena personalità giuridica solo di fronte agli Stati
che gli avevano conferito detto riconoscimento. Tuttavia non poteva, nel
campo del diritto delle genti, negarsi che, comunque, un'organizzazione
statuale, sia pure di fatto, esisteva, avente capacità giuridica propria
e una propria sfera, se pur limitata, di autonomia, la quale ultima, si
rilevi, non è sinonimo di indipendenza e di sovranità che altrimenti
dovrebbe parlarsi di Stato di diritto.
«DAL PARALLELO CHE SCATURISCE TRA IL REGIME DEL CENTRO-NORD E QUELLO DEL
SUD APPARE, ADUNQUE. CHE, "DE FACTO", IL GOVERNO LEGITTIMO E QUELLO DI
MUSSOLINI AVEVANO UNA LIBERTA' LIMITATA; "DE IURE", ERA, PERALTRO,
"PRECLUSA, AL GOVERNO LEGITTIMO, OGNI INDIPENDENZA, MENTRE, INVECE, TALE
FORMALE PRECLUSIONE NON ESISTEVA PER LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA CHE
EMANAVA LE SUE LEGGI E I SUOI DECRETI SENZA L'AUTORIZZAZIONE
DELL'ALLEATO TEDESCO».
I COMBATTENTI DELLA REPUBBLICA SOCIALE DEBBONO ESSERE CONSIDERATI
BELLIGERANTI
« Mai è avvenuto nella storia di tutte le guerre, di negare tale
caratteristica alle truppe che non accettano la resa. Colpevoli i
combattenti che non obbedirono agli ordini del Re, di fronte allo Stato
italiano, ma sempre soldati e belligeranti di fronte al nemico.
I combattenti che non si arresero ritennero di dover mantenere fede
all'alleato tedesco, e fronteggiarono a viso aperto l'avversario,
venendo dal medesimo fino all'ultimo trattati come combattenti e come
belligeranti.
«L'art. 40 del citato regolamento annesso alla Convenzione dell'Aja
dichiara che ogni grave infrazione dell'armistizio, commessa da una
delle parti, dà diritto all'altra di denunciare e, in caso d'urgenza,
anche di riprendere immediatamente le ostilità. Nella specie che ci
occupa non ci fu infrazione da parte dello Stato italiano, ma solo da
parte di considerevoli unità, di terra, di mare, e dell'aria. Ed allora
il conflitto non ebbe a cessare: gli alleati fronteggiarono egualmente
truppe tedesche e italiane, e solo più tardi, molto stentatamente, si
attuò la cobelligeranza coi reparti regolari italiani, fiancheggiati
dalle formazioni partigiane.
«Ciò appartiene alla Storia!
«NON PUÒ, PERTANTO, NEGARSI, ALLA STREGUA DELL'ART. 40 SUDDETTO, CHE GLI
APPARTENENTI ALLE FORZE ARMATE DELLA R.S.I. ABBIANO CONSERVATO LA
QUALITÀ DI BELLIGERANTI, NÉ È POSSIBILE CONCEPIRE CHE TALI FORZE
AVESSERO DETTA CARATTERISTICA SOLO DI FRONTE AGLI ALLEATI E NON AL
COSPETTO DEI COBELLIGERANTI ITALIANI.
«Ecco come si spiega il trattamento di prigionieri di guerra concesso
dagli alleati -d'accordo col Governo legittimo italiano- ai militari
delle Forze Armate della Repubblica Sociale Italiana, sin dai primi mesi
del 1944. Ciò vale a smentire quelle teorie unilaterali che, ormai, sono
del tutto superate, con cui si vuole negare il carattere di belligeranti
ai combattenti della Repubblica Sociale Italiana, argomentando in
maniera erronea e fallace, in base alle norme della legislazione
italiana post-fascista, che, come si è rilevato, non ha, sotto il
profilo del diritto internazionale, alcuna veste e alcuna autorità al
riguardo.
«BELLIGERANTI, ADUNQUE, ERANO I COMBATTENTI DEL CENTRO-NORD, ANCHE SE
RIBELLI O INSORTI E, QUINDI, PUNIBILI SECONDO IL DIRITTO INTERNO IN BASE
ALLO SVOLGIMENTO DI REGOLARI GIUDIZI».
«MA PURE DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA SI CONFERMA LA TESI SUESPOSTA.
ACCERTATO CHE LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA CONCRETAVA UN GOVERNO DI
FATTO, SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE, ENTRO CERTI LIMITI, NON
POTEVA, SOTTO QUESTO RIFLESSO, NEGARSI AI SUOI COMBATTENTI LA QUALIFICA
DI BELLIGERANTI.
NON BELLIGERANZA DEI PARTIGIANI
«All'uopo si osserva:
1) I belligeranti devono avere a capo una persona responsabile per i
propri subordinati. Non si comprende come il concetto di responsabilità
possa conciliarsi con quello di clandestinità, per cui i capi del
movimento partigiano, per non farsi riconoscere, per non essere
identificati e traditi, e correre l'immediato rischio di morte, si
nascondevano sotto pseudonimi, eliminando, per tal modo, quanto meno le
responsabilità di ordine immediato.
2) I belligeranti devono avere un segno distintivo fisso, riconoscibile
a distanza. La sentenza non ha affatto dimostrato -e non lo poteva- che
esistesse un distintivo fisso di tal genere, comune a tutti i partigiani
e riconoscibile a distanza, sostitutivo, in altri termini, della
uniforme. La lotta clandestina, condotta dai partigiani senza dar
quartiere e senza riceverne, imponeva dei metodi e degli accorgimenti
che contrastavano coi segni di riconoscimento richiesti.
3) I belligeranti devono portare apertamente le armi. La stessa sentenza
riconosce che non sempre ciò era possibile, poichè tale requisito deve
essere considerato «alla luce della tecnica particolare della guerra
partigiana».
«PERTANTO DEVE CONCLUDERSI CHE I PARTIGIANI, EQUIPARATI AI MILITARI, MA
NON ASSOGGETTATI ALLA LEGGE PENALE MILITARE, PER LO ESPRESSO DISPOSTO
DELL'ARTICOLO 1 DEL DECRETO LEGGE 6 SETTEMBRE 1946 N. 93, NON POSSONO
ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI, NON RICORRENDO NEI LORO CONFRONTI LE
CONDIZIONI CHE LE NORME DI DIRITTO INTERNAZIONALE CUMULATIVAMENTE
RICHIEDONO.
* * *
È OVVIO CHE, NEI LIMITI CONSENTITI E IN OMAGGIO ALLE
ESIGENZE DELL'UMANITÀ I GOVERNI DI FATTO NON POSSONO ESSERE TRATTATI
SENZ'ALTRO COME GOVERNI AVENTI GIURISDIZIONE SU UN'ACCOLITA DI RIBELLI E
DI FUORI LEGGE; CHE' ALTRIMENTI, ACCERTATA L'ORIGINARIA E LIBERA VOLONTÀ
DI PORSI AGLI ORDINI DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, RISULTEREBBE
IMPONENTE IL NUMERO DEI COLPEVOLI DI COLLABORAZIONISMO, SIA PURE
BENEFICIATI DI AMNISTIA; IN QUESTA IPOTESI LA DELINQUENZA POLITICA SI
SAREBBE PALESATA COME GENERALITÀ DI VITA VISSUTA DA CENTINAIA DI
MIGLIAIA DI UOMINI E NON COME ECCEZIONE; IL CHE NON PUÒ ESSERE, PERCHE'
È L'ECCEZIONE CHE DELINQUE E NON LA GENERALITÀ.
«D'ALTRONDE, COME PUÒ OGGI PARLARSI PIÙ DI UNA ACCOZZAGLIA DI RIBELLI,
QUANDO LA CONVENZIONE DI GINEVRA HA INTESO PROPRIO TUTELARE I MOVIMENTI
DI RESISTENZA ORGANIZZATA, COME SOPRA E' DETTO?
« Ma v'ha di più!
«La tesi del giudice di merito non può essere accolta. UNA VOLTA
RICONOSCIUTO CHE LA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA COSTITUIVA UN GOVERNO DI
FATTO E CHE I SUOI COMBATTENTI DOVEVANO ESSERE CONSIDERATI BELLIGERANTI,
NE CONSEGUE CHE GLI ORDINI IMPARTITI DAI SUPERIORI AI LORO SUBORDINATI
DOVEVANO ESSERE ESEGUITI. NON PUÒ FAR VELO ALLA SOLUZIONE DEL QUESITO,
CHE È DI ORDINE STRETTAMENTE GIURIDICO, IL CARATTERE INSURREZIONALE DEL
GOVERNO SUDDETTO, PER TRARNE L'ILLAZIONE GENERICA DELLA ILLEGITTIMITÀ DI
TALI ORDINI.
«LA LEGITTIMITÀ O L'INTEGRITÀ NON È IN FUNZIONE DELLA INSURREZIONE,
DELLA RIBELLIONE AL POTERE REGIO, MA VA POSTA IN RELAZIONE
ALL'ORGANIZZAZIONE POLITICA E MILITARE CHE SI ERA COSTITUITA CON IL SUO
ORDINAMENTO GIURIDICO, CON LE SUE LEGGI, CON LE SUE AUTORITÀ.
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