Italia - Repubblica - Socializzazione

 

bollettino interno di informazione e di orientamento della F.N.C.R.S.I.

a cura della direzione nazionale di ROMA - Via Domenico Fontana, 12

(32 pagine - formato 16 x 22)

 

SETTEMBRE 1966


 

riservato agli iscritti

ne è vietata la diffusione all'esterno dell'organizzazione

propria della Federazione Nazionale Combattenti della RSI

 

 

Un giovane camerata, attento e valoroso, ci ha scritto tempo fa, una lunga lettera a proposito della nostra presa di posizione sul MSI nel periodo che ha immediatamente preceduto il congresso di Pescara.

La lettera è lunga e non ci è possibile qui recepirla per intiero. Desideriamo però rispondere alle due posizioni che giudichiamo la parte centrale dei quesiti rivoltici:

«l'articolo mi ha lasciato perplesso, da un aspetto ho dovuto ammettere la veridicità di quanto era scritto, dall'altro ho considerato che l'articolo, pur nella sua stretta logica, peccava, non poco, di semplicismo. È sostanzialmente vero che oggi credere in Almirante o in Michelini, dopo tante esperienze, sarebbe sciocco, è però vero che migliaia di camerati all'esterno ed all'interno del MSI vedono nella "secessione" almirantiana l'unica possibilità di sbocco da una situazione disperata».

«Cosa propone "Emme Rossa"? Quale strategia politica? È troppo facile parlare di ''lotta a! sistema"; questa frase così grossa e onnipresente, nei discorsi di tanti camerati, non rappresenta il succo di una impostazione politica, ma una vaga ed indefinita posizione ideologica: anche altra gente di tutt'altri schieramenti parla di lotta al sistema, solo che questi sanno con precisione in che modo intendono fare ciò; altri non lo sanno. Quello che i fascisti dovrebbero capire è che le battaglie politiche si fanno con una tematica politica, seguita da una strategia e da una tattica».

Raramente è capitato, nelle nostre polemiche, di vedere centrato il problema con precisione e con uguale pienezza.

Dunque:

1) La semplicità è cosa diversa dal semplicismo. Essa è una componente positiva nel colloquio che abbiamo spesso aperto su fatti di costume politico e su atteggiamenti politici di gente che ha la sola funzione di far continuamente scadere ciò che impersona. Se siamo riusciti a bandire -almeno sull'argomento- gli orpelli siamo certi di poter segnare a nostro vantaggio un risultato utile. L'accusa di semplicismo la respingiamo. I fatti sono quelli che sono e se è semplice collegarli in rapporto di causa ed effetto i semplicioni non siamo noi ma chi non lo fa.

2) Ben diverso è invece il nostro atteggiamento per la parte costruttiva del discorso, alla quale ci reclama perentoriamente il nostro interlocutore.

Vi è manifesto un nostro interesse specifico, dal momento che quell'atteggiamento sintetizza la posizione politica mantenuta dalla FNCRSI da tempo ormai antico, e di solito, quando abbiamo interessi del genere, ci teniamo a coltivarli. L'esposizione si fa complicata e corriamo il rischio -in materia da trattato siamo costretti ad esprimere l'essenziale- di apparire involuti mentre vogliamo mantenerci nella semplicità. La nostra risposta deve essere necessariamente plurima e dobbiamo studiarci di darla chiara.

Una premessa, largamente concessiva, ci consente di sgombrare il campo da alcuni pregiudizi. Non abbiamo mai affermato che il padrone del MSI manchi di idee; L'on. Michelini ha una sua statura politica -cosa che non può concedersi ai suoi reali o presunti antagonisti- ma non ci consta che abbia fatto ricorso ai mezzi notevoli che il Padreterno gli ha messo a disposizione per guidare una battaglia qualsiasi, politicamente intesa a fare del MSI l'alternativa al sistema e neanche ad intaccarlo. Ha dichiarato di volerlo fare, ma non lo ha fatto. Del resto neghiamo che il «partito MSI» stia svolgendo una sua battaglia politica; la palude immota è la suprema legge cui la politica delle cose ha subordinato ogni aspirazione missista e nessuno che vi sia ammesso si azzarda a lanciarci un sasso.

Possiamo quindi tirare una prima conclusione. Non basta avere idee; occorrono uomini che avendo ben chiare determinate idee, siano intenzionati con fermezza a portarle avanti. Sempre in tema di concessioni riconosciamo che parlare su un piano di genericità di «lotta al sistema» vuoi dire soltanto enunciare un aforisma. Ma se dobbiamo metterci a discettare su una «tematica», su «una strategia», su una «tattica» politiche corriamo il rischio di enunciare una infinita serie di aforismi inutili. Ciò non significa che vogliamo evadere, in termini politici parlare di «lotta al sistema» significa proporne la liquidazione e proporsi per la sostituzione.

I temi della propaganda debbono prendere le mosse da codesto assunto e debbono puntare all'avvenire con lungimiranza e con esattezza, avuto riguardo a ciò che è essenziale, abbandonando per strada gli orpelli.

Essi dovranno assolvere ad una funzione negativa, quella dell'attacco alle tesi proprie delle oligarchie parlamentari, tesi oggi assunte a suprema legge del vivere civile. Essi dovranno assolvere ad una funzione positiva, di ricostruzione dall'interno dei valori tradizionali, in Italia ed in Europa.

Possiamo quindi tirare una seconda conclusione. Non è sufficiente avere idee chiare ed uomini pronti ad attuarle: è necessario che questi uomini si preparino con serietà alla sostituzione della classe dirigente imperante

La tattica? Altro campo per inutili aforismi. Una volta fissato fermamente lo sguardo ai traguardi ed alle scadenze che la lotta al sistema impone, bisogna smetterla con la politica delle cose e cominciare a trattare la politica degli uomini. Perché, è chiaro. Se oggi il MSI può permettersi, nonostante tutti, di invigliacchirsi e di intristire, le responsabilità non sono soltanto del MSI. Al di fuori del MSI, sul piano della concretezza, non c'è che un preciso moto di ripulsa e di ribellione ma, oltre, soltanto un indistinto vociare ed un agitarsi incomposto. Quando saremo riusciti a fare dell'animus suscitatore della ripulsa e della ribellione una precisa norma di vita e di costume politici e dall'agitarsi incomposto avrà preso coscienza una classe dirigente nuova, lucida ed ardente, quello sarà il momento che vedrà il MSI sparire dalla scena. E lo scopo non sarà il MSI, né Michelini o Almirante, Romualdi o Di Marzio, Turchi o Gonella, Delfino o Caradonna. Una ventata di giovinezza sarà sufficiente a spazzar via irresistibilmente tutto ciò. II compito immane saranno allora l'Italia e l'Europa.

Per ottenere tutto questo occorre intanto indirizzare tutte le energie e tutte le volontà disponibili ad una chiara e precisa visione unitaria, in un contesto unitario dei fatti della organizzazione e dei temi della propaganda e tutto dovrà porsi in atto perché la presa di coscienza della classe dirigente di cui abbiamo discorso sia un fatto politicamente apprezzabile, se non subito, presto; al più presto.

Possiamo tirare la terza ed ultima conclusione. Quel giorno sarà chiaro, che non avremo seminato invano.

 

 

L'obiezione di coscienza

punto di approdo della sovversione democratica

 

Prevedevamo con certezza che l'obiezione di coscienza si sarebbe imposta negli stati democratici fino al punto di ottenere un riconoscimento di carattere giuridico. Credevamo tuttavia che all'Italia venisse risparmiata questa sorte, forse in considerazione della scarsa presa che le ideologie democratiche ed i loro valori hanno sul popolo italiano. Invece, pare che gli attuali gruppi dirigenti intendano imporre l'accettazione nelle leggi dello Stato dell'obiezione di coscienza, saltando a pie' pari ogni giudizio popolare, per definire la cosa nel giro ristretto delle segreterie di partito, nel giuoco delle contrattazioni e dei reciproci compensi ai quali ci ha abituato l'accordo governativo di centro-sinistra.

È quasi impossibile, in questo contesto, sperare di arginare la manovra che tende al riconoscimento dell'obiezione di coscienza; tuttavia, riteniamo utile spendere poche parole per definire ai nostri lettori la questione nelle sue posizioni di principio, soprattutto considerando l'opportunità di controbattere la marea montante delle pressioni psicologiche, delle argomentazioni opportunistiche, del clima di acquiescenza e in una parola del conculcamento dei princìpi, perseguito attraverso la stampa, la televisione, il cinema e il pulpito.

Innanzitutto, fissiamo i termini della questione. L'obiettore sostiene di aver diritto da parte dello Stato al rispetto della propria coscienza e, nel caso specifico, al rispetto del convincimento che le armi non debbano essere portate. A questa posizione si aggiunge quella dell'obiettore cristiano secondo il quale questo convincimento è patrimonio del cristiano in quanto tale e quindi, per quest'ultimo, l'obiezione non è tanto una posizione di coscienza quanto di dottrina.

Ora in ordine alla prima posizione si pone il problema fondamentale, quello dei rapporti fra l'individuo e lo Stato.

La conquista democratica e giacobina fondamentale in materia è quella della dottrina contrattualistica dello Stato. L'autorità nasce dal consenso e dall'incontro delle volontà dei cittadini. L'individuo sacrifica di sua volontà una parte della propria libertà sull'altare della convivenza civile.

Da questa premessa è lecito poi attendersi ogni sviluppo delle pretese della coscienza. Infatti, storicamente, finita la stagione del liberalismo autoritario, terminata l'età del dominio della grande borghesia, che aveva tentato di dare un fondamento allo Stato democratico in nome della competenza, della capacità, della operosità e nell'accordo con il prestigio delle casate aristocratiche, finita insomma la «belle époque» dell'Europa ottocentesca, si aprono le stagioni dell'avanzata individualistica e della distruzione dello Stato.

Agli obiettori va pertanto riconosciuta la qualifica di veri e coerenti democratici, poiché proprio l'aver spostato il rapporto coscienza-Stato in favore del primo termine -anzi l'aver affermato che lo Stato nasce dalla coscienza- significa aver posto le basi per ogni ulteriore svolgimento dell'area individualistica rispetto a quella statuale.

L'obiettore è quindi in perfetta linea con i princìpi democratici, anzi è l'interprete avanzato di essi. Va da sè che questa estremizzazione delle premesse democratiche non può trovare pieno accoglimento negli stati democratici, poiché essa pone in evidenza soprattutto l'aspetto utopistico delle dottrine democratiche che segna il limite della loro utilizzazione per una costruzione statuale. Attuando integralmente se stessa la democrazia genera anarchia, non Stato. Ecco quindi che gli Stati democratici dinanzi a quésto processo di estremizzazione dei loro princìpi ricorrono al sistema del compromesso, dell'accordo e della mezza misura. Non sorprende perciò che in gran parte degli stati occidentali l'obiezione sia stata legalizzata, con l'intento, appunto, di non doverla accogliere sul piano estremizzato dei princìpi e di stemperarne invece il potenziale sovversivo, in un quadro legalistico.

È questa .proprio la strada che si prepara in Italia, dove una borghesia di mezze maniche, provinciale, priva di luce intellettuale, tesa alla conservazione delle piccole comodità materiali e psicologiche della vita quotidiana è pronta ad accogliere e ad inglobare la punta estremistica e coerente delle concezioni democratiche. È questa la vera Italietta, per la quale il compromesso è stile di vita, fede e credo. Non è neppure una classe; è piuttosto un ambiente al quale partecipano tutti coloro che ritengono di reggere lo Stato con il voto, e che quindi sono abituati a disimpegnare la propria vita da tutte le attività civili che richiedono passione, carattere, princìpi, tenuta interiore. Per essi depositare la scheda nell'urna significa esaurire la propria partecipazione alla vita civile.

È questo ambiente che consente agli attuali governanti di trovare gli indispensabili punti di appoggio e di base per il loro potere e nel contempo determina un fenomeno di recessione delle idee e dei valori veramente popolari e quindi tradizionali. Per questo riteniamo che tutta la impalcatura razionalistica ed economicistica con la quale é stato ricoperto il popolo italiano debba essere sbaraccata, per poter ritrovare quei valori perenni della razza la cui riscoperta è stata il motivo autentico delle grandi rivoluzioni moderne, da Mussolini a Mao-tse-tung.

Perciò il nostro rifiuto dell'obiezione di coscienza è principalmente rifiuto della dottrina democratica e delle sue enunciazioni politiche, in particolare. Occorre riconfermare i princìpi di diritto naturale in ordine all'uomo privato e sociale. Famiglia, Stato, proprietà privata sono i termini della concezione nella quale non si troverà mai nessuno spazio per le tendenze individualistiche e sovversive.

Soltanto in tal modo potrà essere riscoperta alla radice l'assurdità di una dottrina che vuol fondare un organismo (lo Stato) sul suo opposto (gli Individui). Allora apparirà per lo meno comica la pretesa degli obiettori di coscienza secondo la quale, in sostanza, lo Stato dovrebbe svolgere un'azione (ad esempio, la guerra) consentendo ai suoi membri di esimersi da quell'impegno. Uno Stato cioè che dovrebbe riconoscere la prevalenza del suo opposto (cioè l'individuo) in tutte le sue attività, per cui in fin dei conti queste stesse attività dovrebbero presentarsi volta per volta come delle offerte rivolte al singolo e lasciate alla sua accettazione.

Circa le tesi di quei cristiani che hanno fatto propria l'obiezione di coscienza, ed anzi pretendono di vederla riconosciuta come dottrina fondamentale della Chiesa, si deve rispondere con la citazione degli atti che nel Vecchio e riel Nuovo Testamento dimostrano invece il sostanziale accoglimento del principio di violenza, Dalle guerre bibliche ai mercanti scacciati dal tèmpio; dalla parola di Gesù («non sono venuto a portare la pace, ma la guerra»; «chi non ha la spada venda il mantello e ne compri una») fino alla definizione dei padri della Chiesa della «militia Christi», dalle Crociate a S. Giovanna d'Arco; da S. Bernardo a Bastian-Thiry tutto il cristianesimo è una riconferma che l'impegno spirituale può ed anzi deve manifestarsi, quando occorra, sul piano della violenza.

Abbiamo letto, in contrario, le argomentazioni che l'obiettore Fabrizio Fabbrini, recentemente condannato dal Tribunale militare, ha raccolto in un volumetto a sostegno della sua posizione. Potremmo confutare una per una le tesi del Fabbrini ma ce ne manca la voglia e lo spazio. Possiamo comunque fornire un criterio di giudizio su quanto da lui scritto, criterio che potrà essere applicato da chiunque avrà l'occasione di leggere l'opuscolo. Equivoco fondamentale delle posizioni dell'obiettore cattolico è quello di confondere il discorso sulla violenza con quello sull'odio. La casistica elencata nello scritto fa perno sulla condanna evangelica e cristiana dell'odio e sulla riaffermazione dell'amore come base dei rapporti umani. Da ciò scaturisce la condanna di tutti gli atti ispirati dall'odio, dall'invidia e in genere dalle cattive passioni e l'esaltazione al contrario degli atti ispirati al perdono e all'amore. Su questo piano si rimane però sempre entro il cerchio dei motivi che hanno ispirato gli atti, mentre è chiaro che la condanna di questi motivi non coinvolge necessariamente i mezzi usati negli atti stessi. Ad esempio il Fabbrini scrive: «Ci accorgeremo allora che verrà a cadere il luogo comune che il Vecchio Testamento sia una storia di violenze e di vendette. Anche nel Vecchio Testamento è sempre l'amore e la misericordia, non la vendetta la caratteristica fondamentale di Dio...» ed ancora: «Per quanto riguarda i rapporti umani, Dio insiste prima sull'amore per il fratello, poi sull'amore per il prossimo, infine sull'amore per il nemico». Questa continua confusione fra l'odio e la violenza, fra i fini e i mezzi, è il leit-motiv dello scritto.

L'assunto fondamentale dell'opuscolo, che cioè la violenza in sé è condannata da Dio, non è mai dimostrato ed è invece solo dimostrata la condanna della violenza che si è fatta strumento di nequizia.

Il che, è chiaro, non è la stessa cosa, poiché risulta evidente che in questo secondo caso la giusta condanna della violenza è dovuta al riverbero gettato su di essa dal male di cui è stata strumento.

In questo senso anche la non violenza applicata al male è coinvolta nella condanna di tutta l'azione malvagia. E, al contrario, la violenza applicata al bene è giusta e legittima.

Altresì equivoca è la tesi secondo cui la condanna della violenza sarebbe confortata dalla azione di quei Santi e Martiri della Chiesa primitiva che si rifiutarono di prestare servizio nell'esercito romano.

Anche qui è facile vedere che la polemica cristiana era contro lo stato romano, non contro la violenza. Cioè: non si militava, per non servire Roma; mentre il Fabbrini crede di dimostrare che: non si serviva Roma, per non militare.

Infine, il pezzo forte dello scritto: il perdono delle offese è insegnamento del Cristo e costume naturale del Cristiano: «la tecnica della non violenza è quella di umiliarsi al violento». A prescindere da un doveroso rilievo su questa masochistica umiliazione che è appunto una estremizzazione patologica, equivoca ed innaturale del giusto perdono, anche qui c'è un salto logico nella pretesa di estendere alla violenza in generale la condanna di quella effettuata in spregio al comandamento evangelico del perdono. Tralasciamo l'infinità di strafalcioni, di forzature e di false interpretazioni con le quali il Fabbrini ha cercato di dimostrare la sua tesi. e che non possono non saltare agli occhi del lettore appena attento. Eppure lo scritto è stato approvato e la pubblicazione è stata incoraggiata dal vescovo di Frascati, Mons. Luigi Liverzani, come risulta da una inequivocabile lettera scritta dal prelato e pubblicata come prefazione.

Non è neppure il caso di dire che la Direzione del movimento giovanile DC ha caldamente approvato l'azione del Fabbrini, manifestando inoltre l'idea di farla sostenere in sede parlamentare da deputati e senatori democristiani. Ma è proprio la nutrita casistica degli appoggi e delle solidarietà che vi sono nella Chiesa e nella DC a favore dell'obiezione, che ci spinge a chiedere da parte della gerarchia una parola chiarate definitiva.

L'equivoco non giova a nessuno, a meno che la Chiesa non si sia posta in quella comoda posizione di disponibilità al compromesso, che poi, in ultima analisi, è il marchio degli organismi che tramontano.

La questione va definita nei princìpi, in linea di dottrina, almeno per chi ha ancora la forza dei tagli netti e delle posizioni precise, il che, se non erriamo, è oltretutto un preciso comando evangelico.

La Chiesa non può da una parte dare corda agli obiettori e dall'altra sostenere partiti che reggono degli Stati. A meno che la mezza misura non le sia ormai diventata abituale, come quella più adatta ai tempi e al colloqui.

Ed allora sarebbero stagioni liete per Fabbrini che, nel segno del compromesso ed in virtù dei suoi meriti di obiettore, potrebbe trovarsi con i titoli necessari per fare, magari, il Ministro della Difesa. Dopotutto non dovrebbe neppure vestire la divisa militare.

 

E. Malinski e L. De Poncins

La guerra occulta

 

Esiste della storia una terza dimensione che la storiografia ufficiale ignora o finge di ignorare.

Già Disraeli ebbe a scrivere che «il mondo è governato da personaggi molto diversi da quelli che si immaginano quando non si è dietro le quinte del teatro».

In verità è possibile oggi affermare, sulla base di una documentazione precisa, che il crollo degli Stati Tradizionali europei fu determinato dall'azione occulta di organizzazioni sovversive, facenti capo alle centrali segrete della massoneria e dell'alta finanza internazionale.

Quest'opera è da considerarsi come il primo serio tentativo di porre nella loro giusta prospettiva i momenti cruciali degli ultimi 150 anni di storia. Si vedrà così come tutte le rivoluzioni libertarie, dalla rivoluzione francese alla rivoluzione russa, che ci vengono gabellate o in termini storicistici o economico-materialistici, altro non sono che le fasi e gli sviluppi di una azione sovversiva diabolicamente orchestrata e in tanto più efficace in quanto occulta.

  

 

Pietose adunanze preelettorali

 

Alle ore 10 circa del 13 marzo u.s., nella sala del Cinematografo Moderno, alla presenza di un pubblico quanto mai eterogeneo e privo di entusiasmo, composto dei soliti vecchietti (immancabili il Gen. Scala e l'aiutante di B.glia Setzu), di giovani attivisti del MSI e di qualche rara signora (la Comandante Gatteschi giunse in ritardo), si aprì l'adunanza per la «riconferma» delle cariche sociali della ormai nota organizzazione missista UNCRSI alla quale non si comprende bene perché sia stato imposto il nome sonante e purissimo di Ettore Muti.

Avvenuta, in maniera ostentatamente pignolesca e ragionieristica, l'esposizione dei fatti amministrativi, nel merito dei quali non possiamo entrare non esistendo ancora la legge riguardante la sovvenzione ai partiti politici, (non possiamo non notare però che con tutte le entrate in bilancio. a sala piena, si sarebbero potute sostenere le spese della pietosa riunione: manifesti, noleggio della sala, ecc), si è passati alle attività sociali vere e proprie le quali, per l'anno passato, sono costituite unicamente da un certo numero di pellegrinaggi e da qualche riunione mangereccia.

Il fatto della marcata vocazione a pellegrinaggio mortuario dell'organizzazione in parola, mal dispose l'animo smaliziato dei giovani attivisti missini, i quali (e ciò torna a loro onore) sono già abbondantemente scoglionati per le ignobili rivalità interne e per l'andamento assai poco energico del loro cosiddetto partito.

A preparazione della «tirata» finale della M. d'O. J. V. Borghese hanno brevemente detto poche e non troppo buone parole Orlandini (il cui unico merito fascista negli ultimi 2 anni consiste nell'essere venuto con una commissione di camerati nella sede della FNCRSI a promettere cose che sapeva di non poter mantenere) ed un certo Languasco, di cui qualcuno ci deve aver detto assai bene quale comandante dei «Cacciatori degli Appennini», ma che, come raccattavoti oltre tutto, non ci sa fare a tal punto che si ritiene probabile un suo licenziamento da parte di Michelini.

Ad un certo momento, avvertimmo serie difficoltà: per ordine dell'oratore di turno, tutti i presenti avrebbero dovuto alzarsi in piedi e «sbattersi» sull'attenti all'unico e faceto scopo di «rinnovare la fedeltà» ... indovinate un po' a chi??... a J. V. Borghese, il quale, tra breve avrebbe rivelato a tanta assemblea che l'intervento degli Americani nel Vietnam avrebbe lo stesso valore storico, morale e politico dell'intervento fascista nella guerra di Spagna.

In ogni caso la pretesa era almeno grottesca. Infatti rimanemmo comodamente seduti e ci rattristammo alquanto nel vedere che quei poveri diavoli avevano preso sul serio tutta la faccenda e che -veramente- come ai vecchi tempi, s'erano quasi tutti piantati sull'attenti come tanti legionari. La cosa ci portò a ripensare a certe leggi sulla suggestione collettiva ed a certi cani a tre zampe di recente memoria.

Ancora una volta J. V. Borghese, con l'attuale «giocherello» personale (altro non ci pare essere l'UNCRSI) essendo clamorosamente fallito con la FNCRSI (dalla quale come è noto, fu espulso per indegnità proprio per ragioni elettoralistiche) ha fatto il gioco di una strana massoneria.

Tale riunione è stata seguita da un'altra dei Mutilati ed invalidi della RSI i quali si sono riuniti in un ristorante in onore indovinate di chi... di A. Baccelli, la quale pare abbia il merito oratorio di far «piangere» anche i rari lampioni di Piazza dei Mirti.

 

 

Combattentismo o combattimento

 

Negli ultimi 300 anni, in Europa, si sono verificati 286 conflitti armati e, secondo ineccepibili fonti storiche, si apprende che, quasi certamente, da che mondo è mondo, non ci sia stato mai un solo anno in cui da qualche parte non si combattesse una guerra.

Si fa un gran parlare di «dialoghi» e di «colloqui».

Rimane però il fatto incontrovertibile che le attività politiche, con i loro trattati, accordi, convenzioni ecc, intese solo alla regolamentazione di questioni singole, ed esaltando l'arte del compromesso, diminuiscono la dedizione al senso di giustizia, al culto della verità e delle responsabilità, essenziali al mantenimento di ogni vera pace.

Le guerre, del resto, ora prendendo nome da motivazioni politiche o religiose, dalle fazioni, dai popoli, dalla durata o da luoghi in cui vennero combattute, pur nella loro non incoraggiante frequenza, nella storia dell'umanità ebbero però sempre un certo numero di dati comuni. Uno di questi consisteva appunto nella uguale maniera di concludersi di quasi tutti i conflitti.

Prima dell'ultima guerra mondiale, ogni conflitto si concluse quando la parte soccombente, cedendo ad una violenza superiore ad ogni sua possibilità di resistenza, accettava le condizioni dei vincitori.

Nella storia degli ultimi secoli, mai nessuna guerra, assumendo l'aspetto di una grottesca crociata, si era conclusa con lo sterminio dei vinti.

Le guerre, fino al 1945, avevano portato a contrazioni territoriali, mutamenti dinastici, spostamenti di frontiere, ampliamenti di stati esistenti o creazione di nuovi, ma assai raramente avevano provocato un così profondo scardinamento delle condizioni di vita non solo dell'Europa ma dell'intero mondo.

Sia per la sua spiccata caratterizzazione ideologica, sia per la sua insolita maniera di concludersi, la guerra 1939-1945, ha aperto su scala mondiale un nuovo ciclo di guerre, le guerre rivoluzionarie.

I bombardamenti indiscriminati sulle nostre città del nord, il fosforo gettato su Amburgo e su Dresda, la mobilitazione dei Marocchini in Europa e dei tagliatori di teste in Malesia, il bombardamento atomico su Nagasaki quando il Giappone aveva già capitolato, la tragi-commedia di Norimberga e di Soganno e i tanti «piazzale Loreto» allestiti a guerra finita, costituiscono prove inconfutabili di una volontà di sterminio, per altro premeditato da lungo tempo (Piano Morgentau, ecc).

«La vita ha mille possibilità di vendicarsi» di chi facilmente dimentica... magari per un atto di buona volontà teso alla «spregiudicata ricerca della via e dei modi per migliorare la situazione».

Ci nasce spontanea la domanda: ma la situazione di chi?

Ove, puta caso, si tratti della situazione delle residue forze fasciste in Italia, il discorso è ben più serio e drammatico e non può essere fatto da chi ha dimenticato che il combattentismo, prima e dopo il 1922, svolse una feconda azione sinergica di appoggio al Fascismo e alla nuova Italia, che con il Fascismo stava sorgendo.

II Fascismo, per 20 anni, protesse e incoraggiò le forze del combattentismo che concorsero a preparare l'animo dei Giovani Fascisti a battersi contro l'intero mondo coalizzato per conquistare la «pace con giustizia».

Sul piano militare non poteva capitarci sconfitta più completa; su quello dello spirito abbiamo perso una battaglia e la guerra non può che continuare.

Un tale discorso, inoltre, non può essere fatto da chi, pur continuando a blaterare di «organizzazioni parallele», ama dimenticare che, dal Combattentismo fascista, dopo la MVSN, sorsero la GNR, le Brigate Nere e il SAF (Servizio Ausiliare Femminile).

II discorso sul «combattentismo attivo» è un discorso nuovo che non ci convince. Il nostro scetticismo al riguardo deriva dal fatto che il «combattentismo attivo» (come se ve ne fosse stato ma uno passivo) viene ventilato da uomini che, pur essendo stati certamente assai attivi a Bir el Gobi, oggi subiscono passivamente prima la strumentalizzazione di Andreotti e poi quella di Tremelloni

Pare, inoltre, che questa nuovi specie di combattentismo abbia i compito di fungere da contraltare elettorale ad un movimento politico che, nell'immediato dopoguerra, nel combattentismo, trovò la sua fortuna e che poi tradì in pieno le aspettative dei combattenti.

I combattenti della RSI, escluso qualche gruppetto ancora ligio agli allettamenti dei Turchi, non hanno mai fatto del reducismo o del combattentismo. Le loro attività, essenzialmente politiche e rivoluzionarie (la scheda bianca è il primo e solo atto politico rivoluzionario compiuto in Italia negli ultimi venti anni) furono sempre e sempre saranno tese a tener viva la Fede nell'avvenire delle nuove generazioni educandole «... affinchè esse siano adeguatamente preparate a realizzare una lotta ad oltranza per l'affermazione e la difesa dei valori dello spirito contro ogni manifestazione del dilagante materialismo». (Art. 5 dello Statuto).

In ogni caso, in tempo di fioritura di obiettori di coscienza, nessun combattente della RSI si sentirebbe di sottoscrivere un attacco, anche al più squallido reducismo.

Per noi combattenti della RSI e per chiunque ancora ragioni con la propria testa, il nemico non è cambiato, né pare abbia la minima intenzione di cambiare. Le celebrazioni e le contro-celebrazioni del ventennale della resistenza (che hanno visto assenti troppi dei nostri) lo dimostrano con chiarezza.

La guerra fascista e lo spirito legionario della RSI è storia Nazionale. Solo nello spirito legionario della RSI vediamo le basi di una possibile ricostruzione della Patria e della continuità della lotta per la Causa.

Sul nostro gagliardetto c'è scritto ancora un bel «me ne frego», come nel nostro cuore c'è sempre una grande volontà di lotta per la giustizia e la dignità di tutti, uniche garanzie di pace e di serenità per tutti.

Il nostro non potrà mai essere combattentismo, ma combattimento.

Che la nostra debba essere una guerra di 300, di 30 o di 3 anni, poco c'importa: in tre, in tremila o in tre milioni, l'ora suprema ci troverà sereni, anche perché avremo pregato lo stesso Iddio di sempre, che ci dia una «Bella morte».

Il Cuore ci dice che quel giorno non saremo soli, ma ci dice pure che non saranno con noi tanti ex camerati, passati alle salmerie nemiche con «l'orologio» al collo e, probabilmente. ... con gli orecchini al naso.

 

 

Paul Rassinier

La menzogna di Ulisse

 

Lo scrittore socialista Paul Rassinier, noto sostenitore del «pacifismo integrale», è un ex deportato di Buchenwald e di Dora, Lager nei quali visse due anni; dal 1943 fino al termine della guerra.

Ne "La menzogna di Ulisse", Paul Rassinier esamina con spietato occhio critico la vasta letteratura concentrazionaria. La profonda conoscenza dell'argomento e la sua personale, diretta esperienza gli consentono di passare al vaglio le più importanti ed impressionanti opere e testimonianze. Crollano, così, ad uno ad uno, dai loro piedistalli di cartapesta i più grossi nomi del martirologio concentrazionario; svanisce come un miraggio il pauroso scenario dei campi detti di sterminio. Cosa resta?

Resta il nauseante spettacolo di una moltitudine di piccoli uomini che trovano nel Lager, in cui vengono rinchiusi, la possibilità di manifestare il fondo limaccioso del loro animo. Risulta allora che, se e quando infamie furono commesse nei campi, queste furono, per larga parte, compiute dagli stessi deportati ai danni dei loro compagni di sventura, quando non anche di fede.

Per guadagnarsi e mantenere il favore, della SS e, conseguentemente, il controllo del campo (il quale era diretto dagli stessi deportati), dell'infermeria e del magazzino dei viveri, gruppi di prigionieri compivano con inaudito cinismo, crimini nefandi. E la consorteria, quasi sempre formata da comunisti, che riusciva ad ottenere la direzione del campo, vi esercitava una spietata tirannia. Gli odi politici e il giuoco delle simpatie personali creavano odiose discriminazioni.

Le razioni alimentari, le sigarette, i medicinali, i pacchi viveri, venivano sottratti per alimentare la borsa nera.

La bastonatura era riservata a quanti avessero osato protestare presso la SS che, quasi sempre ignara, viveva, come è noto, fuori del campo propriamente detto. Ebbene, proprio gli uomini di quelle consorterie diventarono in Francia, dopo la guerra, i corifei di tutte le lamentazioni, i beneficiari dei grossi risarcimenti in denaro ed in «onori».

Paul Rassinier, attraverso le pagine de "La menzogna di Ulisse", racconta tutto questo, e anche di peggio, al lettore. Il quale, tra l'altro, riuscirà a dare un fondamento concreto ai suoi dubbi sulla equivoca e sfuggente realtà delle camere a gas, e a sciogliere l'enigma dei prodigiosi forni, capaci di incenerire 2500 unità al giorno (!) e suscettibili, dopo la guerra e con la presenza taumaturgica dei Liberatori, di moltiplicarsi come già i pani e i pesci nel racconto evangelico.

 

 

Il Papa all'ONU

Considerazioni tardive

 

Da più parti abbiamo ricevuto garbate reprimende, né sono mancati i rimproveri sciocchi, con l'accusa di aver omesso la nostra opinione su tanto argomento; chi più ha calcato la mano -la solita gente per bene- naturalmente aspira a sentire un nostro canto, accordato sulle vibrazioni più alte del plauso e dell'applauso.

Una volta ancora dobbiamo deludere la gente per bene.

Premettiamo di non esserci inariditi. Il nostro animo è capace di vibrare sugli accordi gravi e su quelli acuti e siamo capaci di levare verso il sole canti al creato e lodi a Dio, ma non ce la sentiamo di unire a quello di tutti il nostro consenso.

Potremmo fermarci qui e sarebbe sufficiente. Invece vogliamo motivare il nostro punto di vista ad uso della gente per bene,

II fatto è stato dato ed accettato come una novità; una regia sapiente .è riuscita a presentarlo all'insegna di un «kolossal» inedito (la messa allo Yankee Stadium) facendo presa facilmente sulla fantasia popolare e sull'animo schietto della povera gente.

Questo preciso risultato non è sfuggito alle imperanti oligarchie politiche, preoccupate di mantenere all'altrui livello la fabbrica di voti del proprio partito e le deformazioni immaginabili sono state scodellate in tutte le salse possibili.

Papa Pacelli -di non felice memoria- ha regnato a lungo; il ricordo della autocratica solitudine che ne caratterizzò il pontificato, non è stato spento dalle gite extraterritoriali di Papa Roncalli. Rispetto al primo, quindi, gli aero-viaggi intercontinentali di Papa Montini assumono facilmente il sapore dell'inedito e del nuovo. Passare quel sapore al pensiero politico ed alle iniziative politiche di tanto pellegrino è cosa che non ha tenuto preoccupato nessuno, tanto è stato facile.

Il Vaticano ha sempre svolto un suo ruolo, sia nella politica di equilibrio attraverso il giuoco delle diplomazie, sia nelle iniziative di organizzazione supernazionale. Non interessa qui la storia della diplomazia vaticana; riteniamo sufficiente prendere le mosse dalla fine del Regno pontificio per non risalire ai tempi in cui Berta filava.

È Leone XIII che -alle prese con la realtà- inizia a trafficare con Di Rudinì (1891) fino a sbattere la testa contro il muro della massoneria, né si lascia impressionare dai tuoni e dai fulmini di Francesco Giuseppe quando, per ritrovare un equilibrio turbato dall'adesione italiana alla Triplice Alleanza, rompe gli indugi e normalizza i rapporti con la Francia. Vittima inutile, anche se di estrazione borbonica, il Segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro, che nel 1903 vedrà opporre alla sua elevazione alla Cattedra di San Pietro il veto dell'Imperatore, veto portato in conclave dal Cardinale Puzyna, arcivescovo di Cracovia; vittima inutile perché l'anno successivo i rapporti con la Francia torneranno a tendersi fino alla completa rottura conseguente alla visita in Italia del Presidente Loubet. Documento conclusivo e drastico l'enciclica "Vehementer nos" del mite Pio X. Nel contempo appaiono in Francia le prime lotte tra cattolici (Action Francaise e Abbés démocrates). Sono soltanto grandi linee, perché non ci interessa, ripetiamo, occuparci qui della storia diplomatica vaticana e quel che seguì è cronaca per noi. Ma quelli sono gli anni che vedono la Santa Sede presente e vigilante ovunque, nelle contese internazionali, lanciata ad acquistare prestigio ed una dimensione nuova, dopo la fine di Pio IX.

Qualche fatto. Nel 1886 si concluse felicemente l'azione mediatrice della Santa Sede per comporre il conflitto insorto tra i Governi di Berlino e di Madrid sul possesso delle isole Caroline e Palaos. La sentenza arbitrale veniva accettata il 15 febbraio e Leone XIII ne potè dare immediata notizia al Sacro Collegio riunito in Concistoro, commentando -per la prima volta- che l'azione della Chiesa traeva efficacia da forza meramente spirituale essendo la Chiesa stessa senza interessi temporali, e quindi estranea agli interessi contingenti che possono dividere i popoli. Poi l'allocuzione al Concistoro dell'11 febbraio 1889 che mette in evidenza il pensiero pontificio sugli armamenti e sulla pace armata. Poi ancora l'Enciclica "Praeclara gratulationis" pubblicata il 20 giugno 1894, senza le inutili chiacchiere che oggi Immancabilmente accompagnano gli analoghi atti pontifici, enciclica che quel pensiero ribadì in maniera più solenne. Quindi tutto il lavorio diplomatico (protagonisti -per quel che ci riguarda- Costantino Nigra, Pio X, lo Zar di tutte le Russie Nicola II, Gugllelmina d'Olanda, il Conte Moravioff, il Cardinale Segretario di Stato Rampolla del Tindaro) per la prima Conferenza dell'Aja e per superare l'opposizione italiana all'ammissione dei rappresentanti del Vaticano. Abilmente Costantlno Nigra ed il Conte Zanlni erano riusciti ad associarsi la Delegazione della Germania ed ebbero partita vinta ma non si riuscì ad impedire che, per le interferenze di Guglielmina, venisse letto il 30 luglio 1899, nell'ultima seduta plenaria della conferenza, un vero e proprio "motu proprio" pontificio di cui ci interessano le seguenti testuali parole:

«Noi crediamo che rientri in modo particolare nella nostra missione non solo di dare un sostegno morale a tali iniziative, ma anche di cooperarvi effettivamente perché si tratta di uno scopo intimamente legato al nostro ministero».

Non erano parole a vuoto. Nel novembre 1909 il Nunzio Pontificio Mons. Bavona, a conclusione di tutta una serie di trattative iniziatesi nel maggio 1905, pronunciava in nome di S.S. Pio X una sentenza arbitrale la cui accettazione chiuse i contrasti tra il Brasile e la Bolivia, ed ancora soltanto qualche mese più tardi, (giugno 1910) lo stesso prelato, nella stessa forma, componeva definitivamente le rivalità tra il Brasile e il Perù. Ed ancora, sempre soltanto qualche mese più tardi, (siamo al giugno 1911) Pio X, nel rispondere a chi lo aveva invitato ad ferire al "Carnegie Endowmen for international peace" superando le perplessità di chi temeva l'iniziativa protestante, si indirizzava a Mons. Falconio -Delegato pontificio a Washington- per dare la propria approvazione di principio a ricordare che la Chiesa, superiore, perché ne à estranea, agli interessi particolari di tutti gli Stati, non è straniera -questo motivo non sarà più ripreso- in alcun luogo. Poi la Guerra mondiale cui hanno fatto seguito le cronache ci hanno visto testimoni.

Niente di eccezionale -quindi- nella visita di Papa all'ONU. E questo nostro giudizio negativo è oggi suffragato dalla sterilità dei risultati. Lo straordinario, il grandioso restano per i modi, le forme e soprattutto per il vuoto e dannoso battage pubblicitario.

Sul discorso di Papa Montini il nostro atteggiamento non può essere diverso.

Sfrondato degli elementi fideistici e caritativi, tagliate le abbondanti parti occupate dagli elogi sperticati e dalle rievocazioni di gloria, omesse le considerazioni sulla guerra e gli armamenti (il Papapaolo bellicoso farebbe soltanto ridere) perché non hanno portato nessun accento che non sia stato già posto dalla Chiesa a partire da Leone XIII, tutta la tirata politica di fondo resta ancorata alla seguente personale opinione del Santo Padre, despota del suo stato, democratico fervente e sinistro a casa altrui: «Voi non siete uguali, ma qui vi fate uguali. Può essere per parecchi di voi atto di grande virtù».

Ciò significa che, in un momento di raccolta solennità, è balenata agli occhi del Papa la verità, tutta intera, ma è del suo contrario che si è tessuto l'elogio e per fini che con la verità, evidentemente, non hanno nulla da spartire

Voi non siete uguali. È vero. E la disuguaglianza -non vogliamo assumere la difesa d'ufficio degli immortali princìpi ma mettere in evidenza le contraddizioni degli assertori più pericolosi- non è soltanto tra gli uomini presenti sui banchi, essa è evidente nelle strutture (il genio dello statuto) interne dell'ONU e non manca nelle finalità che il mondialismo e la fratellanza universale perseguono attraverso l'ONU stessa. Due esempi: 1) il Comitato di Sicurezza, 2) la discriminazione per l'ammissione.

Insuperato modello di alchimia internazionale, il Comitato di Sicurezza comprende, a titolo permanente, i rappresentanti dei quattro grandi, ciascuno dei quali può dire di no e basta, agli altri tre ed alla assemblea multicolore. Non ha importanza, ai fini del nostro assunto, il fatto che i grandi sono tali perché gli altri sono piccoli e se li meritano, ma perché la diversa statura ha un solo mètro: la vittoria che la prepotenza materialista (del dollaro e della bomba atomica) ha conseguito sul Tripartito nel 1945, e l'ha conseguita sul sangue versato, sulle sofferenze inaudite, a mezzo di stragi tremende, quanto inutili. (Gorla, Dresda, Hiroshima).

Le discriminazioni non sono che le conseguenze della situazione sopra illustrata. Dove c'è caccia libera ben venga chiunque, perché le loro maestà il dollaro ed il rublo sapranno portare i neofiti a battere le stesse identiche strade. Quando le posizioni sono preordinate e sono ben tracciate le strade che si vogliono battere, il pericolo è evidente e non se ne fa niente, Queste cose il Papa le sa, statene certi. E sapeva anche, la Santità di Nostro Signore -come seguita ad esprimersi "l'Osservatore Romano"- quando ha solennemente affermato «Voi sancite il grande principio che i rapporti tra i popoli debbono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura e dall'inganno», che le restaurazioni più retrive sono tornate sulle Nazioni europee con la guerra e con la violenza, che la Germania spaccata in due vive sotto occupazione militare all'ovest ed all'est, sotto due regimi invisi ai tedeschi da oltre venti anni, che nell'est europeo da oltre vent'anni civìlissime nazioni vivono sotto un regime che rifiutano, nonostante la sopraffazione e la violenza erette a sistema, che, dove non è giudicata opportuna la violenza, il pugno guantato può fare il resto attraverso la corruzione e l'inganno. Queste cose certamente sa Papa Montini eppure la Santità di Nostro Signore (come -ripetiamo- continua ad esprimersi "l'Osservatore Romano"), non ha esitato a proclamare: «Noi quali esperti in umanità rechiamo a questa organizzazione il suffragio dei nostri ultimi predecessori, quello di tutto l'Episcopato cattolico ed il Nostro». Un brutto scherzo, come vedete. Noi a questo gioco non ci stiamo, puramente e semplicemente.

Per concludere il quadro, giudichiamo interessante mettere in evidenza come il tempo e gli uomini abbiano lavorato a favore della tenacia continua ed intelligente della diplomazia vaticana. Ironia della sorte! A Palazzo dì vetro, ad accogliere il Papa presiedeva il rappresentante italiano, quasi a cancellare il ricordo dell'Aja di 65 anni prima.

 

 

Italo Belletti

 

Abbiamo avuto la ventura di conoscere e amare migliaia di Italo Belletti.

Giovani di età e di spirito;

Belli nel portamento, nell'anima e nell'intelletto;

Puri, perché capaci di obliarsi e di darsi con gioia alla Patria e all'Idea;

Sereni nei giudizi e nella condotta, perché ancora privi del tragico contrasto tra la carne e lo spirito;

Decisi a qualsiasi rischio e ad affrontare la morte cantando;

Ubbidienti per vocazione guerriera e per concezione eroica della vita e del mondo;

Docili, perché gli eroi non agiscono per dovere, ma per amore;

Maschi, perché solo dei maschi è la guerra.

Giovinezza era la loro canzone.

Essi ci fecero vivere in una superiore, luminosissima, armonia umana e ci fornirono la testimonianza del decadimento del genere umano da una primitiva altezza divina.

In loro abbiamo conosciuto e amato l'unica umanità che vogliamo conoscere e amare.

A loro vorremmo che rassomigliassero i nostri figli.

Negli occhi di Italo Belletti ci pare di scorgere la stessa superiore armonia di sentimenti e la stessa fiera e ingenua spregiudicatezza che leggemmo in quelli di Salvatore Morelli.

Giovanissimi Legionari della RSI.

L'uno caduto il 27 settembre 1943 a Roma, senza aver avuto l'onore di combattere, abbattuto vilmente dai bastardi interni, l'altro barbaramente ucciso il 5 maggio 1945 a Montona, sua città natale, dopo averla difesa oltre il possibile da quei "Lupi di Croazia" che «vanno in preda con ogni vento».

Si, una Bandiera a Roma: una Bandiera che dobbiamo e vogliamo onorare con il saluto di Roma e che dobbiamo e vogliamo difendere anche per chi, come Italo e Salvatore, rimasero sul posto «coscienti di far dono all'Italia della loro vita».

 

 

 

La morte di un giovane non ammazzato

 

28 aprile 1966: i tromboni ciellenisti hanno nuovamente fatto laido concerto. Un giovanotto -Paolo Rossi- era morto in conseguenza di una banale caduta da un muretto della Facoltà di Lettere dell'Università di Roma. L'incidente che doveva provocare la morte del giovinotto in questione era avvenuto mentre nello Studium Urbis si svolgevano le elezioni per il rinnovo dell'ORUR; alcuni minuti prima dell'incidente un gruppo di giovani di "destra" -per la cronaca pacciardiani del gruppo "Primula"- avevano tentato di disperdere le schede contenute in alcune urne provocando tumulti; ai tumulti originati dai pacciardiani erano seguiti altri tumulti provocati dall'azione risoluta di alcuni studenti fascisti, estranei -per vocazione e per temperamento- alla competizione elettorale. Tali fatti non avrebbero di per sé provocato un bel nulla; ma il caso volle che Paolo Rossi fosse un tesserato del PSI. Pur mancando quindi una qualsiasi relazione causa-effetto tra tumulti e caduta, ì sovversivi governativi e quelli antigovernativi di comodo potettero gridare all'assassinio. Cosi ebbe origine la voce dello «studente democratico assassinato dalla teppaglia fascista».

Ai democratici delle varie estrazioni non parve vero avere tra le mani un «morto» su cui speculare. Ai democristiani faceva gran comodo sostenere la imminente campagna elettorale agitando verso i benpensanti le «nefandezze» della «destra»; ai socialcomunisti serviva avere un ulteriore strumento di pressione sugli alleati ancora riottosi. per spingere verso un governo da fronte popolare; gli stessi liberali avevano un mezzo validissimo per ottenere voti a spese dei missini sempre da parte dei benpensanti destrofili. Così avvenne che i democratici diedero inizio ad una spietata quanto sconcia campagna di propaganda in senso antifascista, ricostituendo per l'occasione i CLN. Tutta la grossa stampa e la TV di Stato hanno ripetuto i più grossolani slogans propagandistici sfornati per la bisogna dal settore propaganda delle Botteghe Oscure.

* * *

Un autentico banchetto di avvoltoi e di sciacalli si è tenuto sulla carogna del giovane Paolo Rossi, morto per mero accidente e non ammazzato.

* * *

I comunisti hanno immediatamente creato un'atmosfera da sommossa aiutati in questo dai sinistri di tutti i partiti. Sotto la scorta e la protezione più totale della PS -ormai chiaramente e scopertamente al servizio del Regime- gruppi di studenti, professori e parlamentari socialcomunisti hanno occupato alcune Facoltà dello Studium Urbis ed analoga occupazione si è tentata nelle altre Università d'Italia. I socialcomunisti hanno imposto, dopo una ben concertata campagna di linciaggio morale, le dimissioni del Magnifico Rettore Papi minacciando la crisi di Governo nel caso questo non fosse stato in grado di soddisfare a tale imposizione.

Si è dato inizio ad opera degli attivisti rossi alle aggressioni al «fascista» isolato nelle varie parti d'Italia. Si è andato cosi creando, in linea con la tecnica della guerra sovversiva, un diffuso clima di paura e dì intimidazione.

* * *

E come ha reagito ad una tale manovra, intesa in primo luogo al suo soffocamento, il MSI? Nella maniera più scomposta e meno virile a livello direzionale, egualmente scomposta ma ovviamente più virile a livello della base.

Alcuni deputati del MSI venivano aggrediti in Parlamento mentre tentavano, balbettando scuse, di escludere le responsabilità missine dagli incidenti dell'Università di Roma (ed in certo senso avevano ragione: la difesa del Fascismo nello Studium Urbis contro la canaglia rossa scatenata e protetta dalla Polizia veniva lasciata al coraggio ed alla decisione di una pattuglia di giovani non aderenti al MSI).

Il miliziano Pacciardi giuocava nello stesso momento la sua carta migliore rivendicando al suo gruppo la responsabilità degli incidenti e denunciando all'opinione pubblica per brogli elettorali i rappresentanti dei gruppi universitari Caravella (MSI), AGIR (liberali), G.A. (socialcomunisti), Intesa (DC).

* * *

L'incapacità di intervenire nella mischia nella maniera forte e di reagire adeguatamente alle violenze altrui, permetteva tra l'altro che nello Studium Urbis alcuni gruppi di "impegnati" e di "sgualdrinelle" bivaccassero sconciamente (nelle ultime ore della "occupazione", «un preservativo» veniva acquistato alla borsa nera al prezzo di lire 1.000) giuocando, sotto la guida di Ingrao, di Codignola e di Donat Cattin al soviet. Per giorni e giorni l'apparato attivistico del MSI ha mostrato le sue paurose falle; soltanto allo scadere dell'occupazione sovversiva dell'Università e dopo che il Rettore Magnifico Papi era stato costretto a dimettersi, i deputati Delfino, Caradonna e Turchi sono riusciti a trascinare un centinaio di missistì ad uno svogliato quanto inadeguato ed inutile assalto all'Università di Roma.

Nelle varie città d'Italia il MSI ha dovuto subire -incapace a reagire- le violenze rosse: giovani, consiglieri comunali e provinciali, federali sono stati ovunque aggrediti. A Cerignola un giovane diciannovenne della "Giovane Italia" è stato accoltellato e versa in fin di vita; a Genova un Gruppo di Universitari del FUAN ha subito l'aggressione dei portuali; a Torino Universitari del Gruppo Fuan "Federico Barbarossa" sono stati -senza ragione- cacciati fuori dall'Università ad opera dei socialcomunisti. L'elenco delle violenze potrebbe essere molto lungo. In ogni episodio si è purtroppo costretti a notare l'inconsistenza attivistica e la scarsa combattività dei missini.

* * *

Sia ben chiaro che queste vogliono essere delle semplici constatazioni. Constatazioni tristi, ma comunque constatazioni. Il Fascismo ufficiale è giunto in Italia alla inettitudine grazie al comportamento passivo, quando non delittuoso dei dirigenti. Alla scarsa e svogliata forza attivistica del PCI, il MSI dopo vent'anni di rinunce, di abbandono, di «aperture» e di tradimento, non è in grado di opporre nulla in senso organizzativo. Dalla constatazione si giunge alla critica, dalla critica è necessario salire alla edificazione.

L'episodio di guerra rivoluzionaria messo in atto dai sovversivi in questi giorni ci ha permesso di osservare:

1) l'abilità manovriera dei comunisti e la disposizione alla resa dei democratici che si definiscono anticomunisti;

2) impossibilità di reazione da parte del MSI ai soprusi ed alle sopraffazioni dei sovversivi.

* * *

Il senso del reale e la conoscenza delle situazioni politiche e rivoluzionarie ci consentono di prospettare senza iattanza ciò che deve essere immediatamente fatto, da quanti ancora si sentono di dover difendere il nostro mondo di valori e di tradizioni.

Una sola è la necessità impellente del momento: riunire un numero adeguato di forze che, svincolate dal mercato elettoralistico e parlamentare, siano in grado -ben dirette- di reagire prima e di agire dopo contro i conati rivoluzionari dei sovversivi: sovversivi che, dopo tutto, -ci sia consentito- sono elementi di quarto ordine, come si suol dire «da strapazzo».

 

LA MASCHERA

 

«Voi sancite il grande principio che i rapporti tra i popoli debbono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza non dalla guerra, e nemmeno dalla paura e dall'inganno».

Papapaolo all'ONU

 

... E IL VOLTO

 

"Il Messaggero", Sabato 27 agosto 1966

Sempre più aspra la guerra nel Vietnam

 

«È stato uno scontro durissimo, nel quale noi abbiamo ucciso vietcong in numero maggiore di quanto loro abbiano ucciso americani, ma non ne abbiamo uccisi tanti quanti avremmo desiderato. Per il momento, abbiamo trovato sul terreno 53 vietcong morti».

 

Risposta per:

 

Prof. F. P. = Perugia

Il francobollo per la risposta è una rarità cui ci eravamo disabituati; lo adoperiamo per la spedizione del presente fascicolo. Per il resto ... perché volete indurci in tentazione? Un documento è tale per il suo contenuto d'insieme e non può accettarsi o respingersi a pezzi. Maurizio resta bollato fino all'inferno ed oltre, senza possibilità di appelli. L'estensore della lettera è un ingenuo. Lo «strappa subito» in poscritto è un poema in questo senso. Quella ingenuità fu un peccato capitale come i fatti dimostrarono. Chi è? Si dice, è prassi, il peccato, non il peccatore che Voi, d'altronde, conoscete molto bene, a meno che la lettera non sia stata scritta da mano mancina dall'autore, la destra legata sul dorso.

 

G. G. = Palermo

Jan Smith «non è» un fascista e c'è chi, sulla propria pelle, giura che durante la RSI su paracadutò in Liguria per fungere da elemento di collegamento tra i partigiani ed il comando alleato del Sud. La contraria affermazione di tanta gente, o è una impostura o è demagogia inutile. Smith è un democratico antifascista e gli stanno a cuore gli interessi economici che gravitano sul suo paese. Questa, del resto, è la sola corda che ha vibrato all'unisono con quella del socialista Wilson, sbracciatosi alla ricerca di un modus vivendi con il ribelle ex sottoposto.

 

Corrispondenza Repubblicana

 

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