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RECENSIONE

"Il carteggio Churchill Mussolini alla luce del processo Guareschi"
La "finta guerra di Mussolini e Churchill"

 

Maurizio Barozzi    ("RInascita", venerdì 24 aprile 2010)    

 

È appena uscito, per i tipi delle edizioni Settimo Sigillo, un interessante saggio di Ubaldo Giuliani-Balestrini docente universitario e avvocato di Cassazione: "Il carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi", Euro 20,00.
In questo libro abbiamo piacevolmente constatato come certe verità, già da noi sostenute (vedi articolo: "Gli scottanti contenuti del carteggio Mussolini-Churchill" pubblicato nel sito Effedieffe.com a luglio 2008 e sul quotidiano "Rinascita" il 1 settembre 2009) circa i possibili contenuti della famosa documentazione di Mussolini, spasmodicamente e dispendiosamente recuperata da Churchill nel dopoguerra, cominciano finalmente ad essere evidenti a ricercatori onesti e non soggetti a condizionamenti di alcun tipo.
Ma andiamo per ordine perchè l'autore, in realtà, sviluppa il suo saggio entrando su tre argomentazioni tra loro correlate: il processo e la condanna di Giovannino Guareschi, i possibili contenuti scottanti del Carteggio, la morte di Mussolini e la pista inglese, per i cui ultimi due argomenti ci sono considerazioni che ci preme precisare o sulle quali dissentiamo.
Tralasciamo la ineccepibile ricostruzione che fa l'autore circa le vicende del processo e della condanna al giornalista e scrittore parmense, in merito ad una presunta pubblicazione di materiale falsificato. Un processo che risentì dei condizionamenti politici dell'epoca e dove si consumarono gravissime irregolarità e pertanto, alla luce di quanto oggi si può ragionevolmente riconsiderare, non chiude il discorso sulla originalità o meno della documentazione presentata da Guareschi.
Prendiamo invece in considerazione gli altri due temi toccati dall'autore.
Sui possibili contenuti del Carteggio l'autore, in pratica, ha sviluppato gli stessi ragionamenti che a suo tempo avevamo fatto noi stessi: l'esplosività e la pericolosità per Churchill, che quanto c'era nella documentazione in possesso di Mussolini venisse alla luce, non poteva riguardare eventuali offerte all'Italia, fatte dal britannico, di territori già appartenuti alla Francia, perchè proposte di questo tipo, intanto non erano riscuotibili da un'Italia che fosse rimasta neutrale, ed in ogni caso non potevano costituire una grave compromissione per Churchill che nel corso della seconda guerra mondiale aveva commesso altre e ben più gravi spregiudicate operazioni.
Quindi in quelle carte c'era ben altro, tanto da costringere Churchill a dargli la caccia fino alla metà degli anni '50. C'era un "invito" fatto all'Italia, proprio nei giorni immediatamente precedenti il 10 giugno 1940, affinchè il nostro paese entrasse in guerra, con la scusa che si era nell'imminenza della fine delle ostilità e l'Italia avrebbe potuto essere utile al tavolo della pace.
Fin qui, possiamo dire che il sottoscritto e l'autore, sono arrivati alla stessa conclusione, con il distinguo però che viene dato alla valutazione della "intesa" che poi venne formalizzata tra Mussolini e Churchill affinchè quella fase bellica fosse una «finta guerra».
Per l'autore, si trattò di un tradimento nei confronti dell'alleato tedesco, finalizzato a condurre una guerra sostanzialmente e segretamente contro Hitler, secondo noi invece fu una intesa transitoria, non globale, concernente la fase iniziale delle operazioni belliche, affinchè non fossero subito perseguiti obiettivi ed operazioni strategiche, in vista di una millantata imminente pace.
In pratica un accordo storicamente non raro tra nazioni belligeranti, che poi venne disatteso da Churchill, ma non consumato contro i tedeschi, ma in considerazione di quella "guerra parallela" che avevamo dichiarato di voler condurre a fianco della Germania.
Resta il fatto però che quella rinuncia iniziale a condurre a fondo decisive operazioni militari, pregiudicò irreparabilmente l'esile filo di vittoria, anche se era palese che all'Italia, data la sua debolezza economica e militare, sarebbe stata oltremodo necessaria ed opportuna, una entrata in guerra del tutto nominale, proprio come era stata, di fatto, una "drôle de guerre" quella tra tedeschi ed anglo francesi, nell'inverno 1939/'40.
Del resto, se parliamo in termini di scorrettezze, cosa tra l'altro priva di senso quando sono in gioco gli interessi nazionali, già ad agosto del 1939 i tedeschi avevano disatteso gli impegni presi con l'Italia, circa l'opportunità di procrastinare di almeno tre anni eventuali iniziative che avrebbero potuto spingere irreparabilmente gli avvenimenti fino al limite della guerra, e dall'altra l'Italia si sottrasse ai suoi doveri che, come il patto d'acciaio pur prevedeva, avrebbero dovuto subito farla scendere in guerra a fianco della Germania.
Ebbene in quel mese di agosto il nostro governo venne oltretutto a sapere che sottobanco inglesi e tedeschi, all'insaputa dell'Italia, stavano anche trattando per trovare un accordo che, in caso di successo, essendo gli interressi italiani totalmente in contrasto con quelli britannici, sarebbe stato per noi disastroso. Ed anche in quell'occasione la nostra diplomazia sotterranea pensò bene di premunirsi, in vista di una guerra per noi insostenibile, con un "accordo transitorio" che facesse superare senza eccessivi danni e coinvolgimenti una fase bellica che si sperava non troppo lunga.
Infatti, in un telegramma di Mussolini al Re, dagli archivi americani fatto risalire al 28 agosto 1939 (cioè prima dello scoppio della guerra e comunque prima che l'Italia scegliesse la formula della "non belligeranza") ritroviamo un abbozzo di intese in caso di eventuale conflitto, che così recitava:
«Desidero Maestà, nell'attesa di mandarvi tutto l'epistolario scambiato con il Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l'Italia si limiterà almeno nella prima fase del conflitto ad un atteggiamento puramente dimostrativo. Francesi e inglesi ci hanno fatto sapere che faranno altrettanto».
È molto probabile che questi intenti vennero ripresi, alla vigilia della nostra entrata in guerra nel giugno del 1940, adattandoli al nostro effettivo intervento bellico.
A nostro avviso, infatti, tra fine maggio ed i primi di giugno 1940 Churchill, dopo aver nei mesi precedenti brigato molto ambiguamente per tenerci neutrali, ritenendo certo il nostro intervento in guerra, del resto già programmato da Mussolini fin dal marzo precedente, pensò di accelerarlo, mediandolo sottobanco con Mussolini attraverso un "intesa", ritenuta opportuna in vista di un imminente tavolo della pace con i tedeschi oramai praticamente vincitori.
Churchill era consapevole, stante la situazione politico-militare determinatasi in Europa, che la guerra con l'Italia era inevitabile. Probabilmente sostenne con Mussolini che non si poteva prevedere con certezza come e quanto sarebbe ancora durato il conflitto, ma era anche probabile una sua prossima conclusione ed in questa prospettiva tanto valeva che anche l'Italia avesse partecipato alla guerra, conquistandosi un ruolo di moderatore al tavolo della pace e con l'intesa che, nel frattempo, non si scatenassero le FF.AA. dei due rispettivi paesi.
Qualcosa di tutte queste proposte, scambi di pareri ed intenti tra Churchill e Mussolini, venne sicuramente messo per iscritto (documentazione del carteggio di cui abbiamo anche alcune testimonianze di parte fascista e partigiana che confermano quanto sopra).
Arrivati a quel punto della guerra non era più possibile per l'Italia stare alla finestra, visto il rischio che si sarebbe corso se Inghilterra e Germania fossero addivenuti ad una composizione del conflitto, proposta da Hitler a generose condizioni, un accordo che, con l'Italia assente, sarebbe stato deleterio per noi deleterio. Ma se la guerra, invece, fosse proseguita, estendendosi, c'era anche il rischio concreto di una futura occupazione del nostro territorio, praticamente una portaerei naturale nel mediterraneo, da parte di uno dei contendenti per necessità ed esigenze strategiche.
Nei rapporti e nella politica internazionale, con un Italia vaso di coccio tra vasi di ferro, con i tedeschi dominatori nel continente e arrivati al Brennero e gli inglesi dominatori nell'Impero e minacciosamente presenti nel mediterraneo e in Africa, Mussolini si era sempre mosso con una strategia praticamente obbligata, quella imperniata sul bilanciamento delle forze in Europa, affinchè nè tedeschi, nè inglesi potessero definitivamente prevalere.
Nella drammatica situazione internazionale che ci costringeva quindi ad entrare comunque in guerra farlo, senza eccessivi rischi, era un "offerta" allettante che anche volendo non poteva essere rifiutata.
La logica e la realtà della situazione militare di quel momento, oltretutto, facevano sicuramente ben sperare a Mussolini e non solo a lui che si stesse alle porte di una imminente pace. Tanto valeva quindi, ritenne probabilmente il Duce, accettare una iniziale fase bellica transitoria che si sarebbe consumata, scendendo in guerra, senza intraprendere, da ambo le parti, serie operazioni militari di portata strategica. In ogni caso per lo scontro a tutto campo c'era tempo visto che, viceversa, la guerra sarebbe stata lunga e dolorosa e come disse espressamente il Duce a Spampanato: «Solo un interesse italiano vale il sangue di un italiano».
Insomma Mussolini si era sempre mosso nell'ambito degli stretti interessi nazionali, facendo sua la massima degli antichi romani per cui la salvezza della Patria è la legge suprema.
In realtà il vero scopo di Churchill e delle lobby che lo manovravano era quello di allargare il teatro bellico, mossa propedeutica al non ancora prossimo intervento americano e con l'intento, anche per problemi interni alla Gran Bretagna (dove non tutti erano disposti a rifiutare le offerte di pace di Hitler e rischiare di mettere in crisi l'Impero a causa dell'approssimarsi di potenze planetarie quali gli USA e l'URSS) di rendere irreversibile la guerra.
La realtà storica di quei mesi del 1940 indica che l'entrata in guerra dell'Italia non dipese esclusivamente da quelle "intese" dell'ultimo momento, purtuttavia esse ci furono e la loro documentazione avrebbe consentito all'Italia sconfitta di non essere accusata, nè punita per aver voluto la guerra, visto che era stata la stessa Inghilterra a chiederne l'intervento.
Quel Carteggio, insomma, attestava chi erano i veri responsabili della guerra, poneva Churchill e l'Inghilterra in gravi difficoltà morali, politiche e diplomatiche (soprattutto verso la Jugoslavia) e smascherava tutta la propaganda di guerra alleata!
Di tutte le intercettazioni telefoniche ed epistolari carpite di nascosto dai tedeschi e che mostrano l'enorme l'importanza del "Carteggio" e l'intenzione del Duce di utilizzarlo nell'interesse nazionale, vale per tutti questa registrazione tra Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini):
«... lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono cinque persone!».
È bene infine ricordare che Mussolini si rese quasi subito conto della "trappola" che era stata tesa dal britannico, di certo già ai primi di luglio del 1940, quando Churchill fece affondare la flotta francese a Mers-el-Kebir procurando quasi 1.300 morti e centinaia di feriti tra i suoi ex alleati dimostrando, al di la delle stesse esigenze belliche, di voler condurre una guerra ad oltranza.
È vero che per varie cause (inettitudine, pressapochismo, sabotaggio, ecc.) l'Italia entrò in guerra senza un programma strategico di guerra e oltretutto in base all'"intesa" con gli inglesi tutto era rimasto sospeso in vista di un imminente fine delle ostilità, ma da luglio Mussolini prese a spingere affinchè si mettessero in atto progetti militari per portare un attacco decisivo agli inglesi, soprattutto in Africa settentrionale e sul mare, ma trovò davanti a sé un ostruzionismo diffuso.
Qualcosa di quell'"intesa" con gli inglesi a Mussolini dovette suonare strano se già il 28 giugno '40 Badoglio con un telegramma pressò Balbo in Libia affinchè accelerasse gli studi per l'offensiva, in quanto «il Duce sta fremendo... fa di tutto per essere pronto per il 15 luglio" e successivamente il 3 luglio confermò al subentrato Graziani nel comando libico: "Duce mi ordina di comunicarvi che est interesse vitale per l'Italia che voi siate pronti a sferrare l'offensiva per il giorno 15».
Sta di fatto che vasti settori politici, istituzionali e militari compresi alcuni vertici del fascismo, pur se ignari di eventuali accordi segreti, avevano intuito e gradito quella condotta incruenta ed innocua della guerra, concependola come un desiderio ed una volontà di non fare la guerra agli inglesi! Cioè di fare una guerra senza rischiare. Cosicché non ci fu seguito alla volontà di Mussolini, alle sue sfuriate per incitare a mettere in atto una offensiva in Africa settentrionale e sul mare.
E vediamo adesso alle deduzioni espresse dall'autore sulla morte del Duce e su una eventuale pista inglese, a nostro avviso e così come posta una forzatura questa, non necessaria, che finisce per sovrapporre due avvenimenti, pur tra loro correlati, ma non nel senso che intende l'autore.
A nostro avviso l'autore sbaglia nel considerare consequenziale e per avvenuto il concretizzarsi di una azione inglese finalizzata, attraverso un intervento delle sue Special Force, ad eliminare direttamente Mussolini.
In effetti, se questo era pur un ovvio intento degli inglesi, le contingenze del momento fecero si, da come si deduce da quel poco di testimonianze e documentazioni che ci restano, che gli inglesi utilizzarono invece per l'eliminazione di Mussolini i partigiani comunisti.
È noto come l'ufficiale di collegamento tra il CLNAI e gli Alleati, l'italo inglese Max Salvadori, venuto a conoscenza dell'arresto di Mussolini a Dongo, fece presente ai ciellenisti che loro erano padroni della situazione fino all'arrivo delle truppe Alleate e quindi, di fatto, ispirò costoro ad eliminare sbrigativamente il Duce. Lo storico Alessandro De Felice, nipote del celebre Renzo, ebbe a raccontare una confidenza che gli fece Leo Valiani: «La morte di Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così…, Londra ha suonato la musica, ed il PCI è andato a tempo!».
Non a caso ebbe ad affermare lo storico Renzo De Felice:
«La documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su sollecitazione dei servizi segreti inglesi. C'era un interesse a far si che il capo del fascismo non arrivasse mai ad un processo. Ci fu un suggerimento inglese: "Fatelo fuori", mentre le clausole dell'armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi era molto meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c'era l'interesse nazionale legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la guerra».
Sulla morte di Mussolini, su queste stesse pagine, abbiamo condotto, con molti articoli, una lunga controinformazione, dalla quale si deduce facilmente la falsità dalla storica versione di Walter Audisio (la vulgata) e si può considerare probabilmente veritiera la testimonianza della signora Dorina Mazzola, all'epoca dei fatti residente a circa 150 metri da casa De Maria, luogo in cui erano stati nascosti Mussolini e la Petacci. La testimonianza della signora Mazzola, mai smentita ed anzi confermata, da molti rilievi su vari particolari tanatologici, balistici e del vestiario e dall'incrocio con un altre testimonianze, soprattutto quella della signora Santi, la vedova di Guglielmo Cantoni Sandrino, uno dei due partigiani che era stato lasciato di guardia ai prigionieri, indicava che Mussolini era stato ucciso, sotto casa De Maria, la mattina del 28 aprile '45, mentre Claretta Petacci era stata uccisa intorno a mezzogiorno, durante un suo caotico trasferimento.
La signora Mazzola, senza sapere di chi si trattava, era stata in parte teste oculare del primo episodio e testimone diretto della uccisione della Petacci, ammazzata a pochi metri da lei. Fu Giorgio Pisanò che nel 1996, pubblicò un libro rimasto memorabile: "Gli ultimi 5 secondi Mussolini" Ed. Il Saggiatore, dove ricostruì i fatti riportando questa testimonianza.
Ci suona strano che l'autore del libro "Il carteggio Churchill Mussolini alla luce del processo Guareschi", citando e confutando alcuni lavori di autori che hanno presentato su la morte di Mussolini versioni alternative, sinceramente poco credibili, non abbia parlato del libro di Pisanò molto più difficile da contestare.
In realtà l'autore, come si evince dal suo saggio, propende a dare credito a quel "fumettone" che fu il racconto di Bruno Giovanni Lonati, Giacomo, il comandante partigiano che asserì di aver partecipato assieme a tre altri partigiani e dietro il comando di un ufficiale inglese, certo John Maccarrone o Maccarroni, alla uccisione di Mussolini e la Petacci intorno alle 11 del mattino del 28 aprile in un viottolo vicino casa dei De Maria.
Questa versione che per le sue implicazioni da spy story, ha avuto una gran cassa di risonanza nell'editoria e negli special televisivi, in realtà non ha alcun elemento che la possa confermare ed anzi, piena di contraddizioni, appare decisamente improbabile.
Su queste pagine avemmo modo di demolirla, punto per punto, con il nostro articolo del 15 agosto 2008 "Morte di Mussolini: La spy story di Giovanni Lonati e del capitano John", a cui rimandiamo senza ritornare su gli stessi argomenti.
Ora l'autore dice di riscontrare ulteriori conferme alla versione di Lonati, ma se andiamo a vedere queste "nuove conferme" , alcune delle quali già avemmo modo di confutare, ci rendiamo conto che non sono proprio così efficaci e quindi l'inattendibilità del racconto di Lonati resta tutta.
Intanto, secondo l'autore, il fatto che il Lonati abbia rivelato di aver ucciso Mussolini, non poteva portargli alcun vantaggio, ma solo pericoli e forse poteva anche coinvolgerlo penalmente, per favoreggiamento, nel proditorio assassinio di una donna, la Petacci, eseguito dall'ufficiale inglese.
Sui vantaggi o svantaggi che il rendersi pubblicamente artefici di quella impresa, ne potevano conseguire al Lonati, non intendiamo pronunciarci, anche perchè non siamo in grado di individuare e quantificare quanto e se potè eventualmente rendere, in termini remunerativi (televisioni, interviste, articoli, due edizioni di libri, ecc.) quella divulgazione, ma sull'aspetto di un possibile rischio di esserne coinvolti penalmente ci sembra una considerazione assurda, tanto che neppure Audisio, pubblicamente e storicamente autoaccusatosi di quell'assassinio, ha mai subito condanne ed un procedimento contro di lui, intentato dalla famiglia di Claretta nel 1956, cadde nel nulla.
L'autore quindi ricorda che nel racconto di Lonati si parla di una base inglese a Brunate e di uno strano personaggio definito l'"alpino" per via di un cappello di alpino che portava in testa. Si dice che si hanno conferme di una base del genere ed indirettamente anche di questo strano personaggio.
Resta il fatto che il Lonati ha pur partecipato a fatti di guerra in quel periodo e forse in quelle zone, che di basi inglesi, in tutto il comasco, ce n'erano molte e questa coincidenza vuol dire poco e niente, ed anche di questo personaggio (se non più di uno) quello "dell'alpino", se ne trovano tracce in alcuni racconti dell'epoca, ma non è detto che dobbiamo per forza metterli in relazione alla presunta impresa di Lonati.
Insomma, in questo caso, siamo in presenza di elementi del tutto labili se non inconsistenti.
Afferma ancora l'autore, che il racconto di Lonati, dove dice che una volta informata Claretta sulla decisione di uccidere il Duce, questa gli chiese il favore di fare in modo che Mussolini non se ne accorgesse, indica non solo la genuinità e bellezza di quelle parole, ma dovrebbe altresì escludersi che il Lonati fosse un raffinato romanziere o che lo stesso sia stato assistito da un abile scrittore.
Noi invece, conoscendo la personalità passionale ed emotiva di Claretta Petacci e le sue angosce, non crediamo a questo racconto, cioè che alla notizia di una imminente uccisione di Mussolini, Claretta avrebbe reagito in quel modo anzi, tutt'altro, avrebbe fatto il diavolo a quattro. Come possa essere stata partorita quella bellissima, ma assurda conversazione, può dipendere da tutto e il contrario di tutto e non vale la pena stare fare troppe ipotesi.
Altra prova della veridicità del racconto di Lonati, l'autore la dedurrebbe dal comportamento del consolato inglese di Milano e di Roma, quelli a cui si rivolse il Lonati stesso per chiedere una presunta documentazione, comprovante la sua impresa del 28 aprile, depositata nell'ambasciata inglese in Italia. Secondo l'autore, il fatto che il consolato, non contestò il contenuto delle richieste del Lonati, fatte anche per lettera, è indice che "qualcosa" di vero doveva pur esserci.
Intanto ci sembra assolutamente non credibile, che documenti (e soprattutto foto come disse il Lonati), comprovanti la uccisione del Duce, di incalcolabile valore venale e storico, ancora nel 1981, potevano essere conservati, se mai ci fossero stati, nei consolati inglesi del nostro paese, secondo poi, a nostro avviso, il fatto che l'ambasciata rispose al Lonati, senza entrare nel merito delle sue richieste, non ha una grande importanza e potrebbe anche essere una logica prassi che si segue in questi casi e non che, rispetto alle richieste del Lonati, trattasi invece di un silenzio assenso a conferma di quanto il richiedente andava cercando.
Dobbiamo supporre, invece, con più realismo e se veramente la storia con l'ambasciata è nei termini come l'ha presentata il Lonati, che questi andava probabilmente cercando, presso quella sede, qualche attestato di sue partecipazioni ad azioni, in quei giorni e in quelle stesse zone, sotto comando inglese, correlate alla vicenda di Mussolini e forse dei suoi documenti. È una congettura, ma molto più realistica e convincente di quella che l'ambasciata conservi foto e documenti sconvolgenti come quelli della fucilazione del Duce, addirittura li promette e poi non li consegna per ordini da Londra. Ma chi può crederci?
Ancora un particolare viene riportato dall'autore, a suo dire, comprovante i racconti di Lonati: il fatto che Massimo Caprara, l'ex segretario di Togliatti, confermò l'esistenza di un Carteggio, relativo a Mussolini e Churchill, passato nelle mani di Togliatti, il quale ebbe modo di "giocarselo" con gli inglesi. Come è facile osservare, questa "rivelazione" riguarda semmai l'esistenza effettiva del Carteggio, non certo, indirettamente, quella dei racconti di Lonati. Sono due fatti distinti.
Infine l'autore riporta anche le dichiarazioni della moglie di Lonati, Carla Terenzi, nonchè di un suo parente e di una ex baby sitter di casa Lonati, i quali hanno affermato che il Lonati, verso il 1981, ovvero dopo i famosi 35 anni di silenzio che lui dice gli erano stati imposti di mantenere, ebbero modo di ascoltare da lui racconti su quella vicenda.
Ma cosa significa questo? A nostro avviso unicamente che tra il 1980 e il 1981 Lonati prese a parlare e decise la divulgazione di quei racconti (va bene il segreto, ma stranamente taciuti, nei precedenti 10 anni d'intimità, anche alla moglie) che poi vennero per primi accennati da Roberto Gervaso in una sua biografia di Claretta Petacci del 1982. Non certo però che quei suoi racconti debbano essere per forza veritieri.
Di tutte le considerazioni, fatte dall'autore, circa la storia del Lonati, a nostro avviso resta solo in piedi il perchè, il non senso e la sconosciuta motivazione per la quale un uomo di apparente serietà e a quanto si dice economicamente senza problemi, che non da l'impressione di essere un mitomane, se ne sia uscito con questa incredibile storia. Per l'autore, questo è indice di autenticità, a noi ci lascia soltanto perplessi.
A questo proposito riportiamo quando dicemmo a conclusione del nostro articolo citato:
«Come sia potuta però uscir fuori tutta questa storia è veramente incomprensibile ... Visto che, comunque, noi non crediamo affatto a questa fantasiosa rivelazione, si può forse supporre che, in quei giorni del '45, il Lonati partecipò a qualche missione, da quelle parti, o qualcosa del genere, magari sotto comando inglese. Molti anni dopo il Lonati, forse dietro qualche misterioso ispiratore, forte di vari resoconti e racconti su quelle vicende, ha pensato bene, non riusciamo ancora a capire per quali motivi, di architettare tutta questa incredibile storia miscelando particolari veramente vissuti, dedotti ed elaborati dalle storie pur conosciute, ad altri totalmente inventati. Anche questo però si può solo supporre, ma non provare, come del resto non si può provare il racconto del Lonati, e pertanto è meglio stendervi sopra un velo di pietoso silenzio».
 

Maurizio Barozzi