da
RECENSIONE
"Il carteggio Churchill Mussolini alla luce del
processo Guareschi"
La "finta guerra di Mussolini e Churchill"
Maurizio Barozzi ("RInascita",
venerdì 24 aprile 2010)
È appena uscito, per i tipi delle edizioni Settimo Sigillo, un interessante
saggio di Ubaldo Giuliani-Balestrini docente universitario e avvocato di
Cassazione: "Il carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi",
Euro 20,00.
In questo libro abbiamo piacevolmente constatato come certe verità, già da noi
sostenute (vedi articolo: "Gli scottanti contenuti del carteggio
Mussolini-Churchill" pubblicato nel sito Effedieffe.com a luglio 2008 e sul
quotidiano "Rinascita" il 1 settembre 2009) circa i possibili contenuti della
famosa documentazione di Mussolini, spasmodicamente e dispendiosamente
recuperata da Churchill nel dopoguerra, cominciano finalmente ad essere evidenti
a ricercatori onesti e non soggetti a condizionamenti di alcun tipo.
Ma andiamo per ordine perchè l'autore, in realtà, sviluppa il suo saggio
entrando su tre argomentazioni tra loro correlate: il processo e la condanna di
Giovannino Guareschi, i possibili contenuti scottanti del Carteggio, la morte di
Mussolini e la pista inglese, per i cui ultimi due argomenti ci sono
considerazioni che ci preme precisare o sulle quali dissentiamo.
Tralasciamo la ineccepibile ricostruzione che fa l'autore circa le vicende del
processo e della condanna al giornalista e scrittore parmense, in merito ad una
presunta pubblicazione di materiale falsificato. Un processo che risentì dei
condizionamenti politici dell'epoca e dove si consumarono gravissime
irregolarità e pertanto, alla luce di quanto oggi si può ragionevolmente
riconsiderare, non chiude il discorso sulla originalità o meno della
documentazione presentata da Guareschi.
Prendiamo invece in considerazione gli altri due temi toccati dall'autore.
Sui possibili contenuti del Carteggio l'autore, in pratica, ha sviluppato gli
stessi ragionamenti che a suo tempo avevamo fatto noi stessi: l'esplosività e la
pericolosità per Churchill, che quanto c'era nella documentazione in possesso di
Mussolini venisse alla luce, non poteva riguardare eventuali offerte all'Italia,
fatte dal britannico, di territori già appartenuti alla Francia, perchè proposte
di questo tipo, intanto non erano riscuotibili da un'Italia che fosse rimasta
neutrale, ed in ogni caso non potevano costituire una grave compromissione per
Churchill che nel corso della seconda guerra mondiale aveva commesso altre e ben
più gravi spregiudicate operazioni.
Quindi in quelle carte c'era ben altro, tanto da costringere Churchill a dargli
la caccia fino alla metà degli anni '50. C'era un "invito" fatto all'Italia,
proprio nei giorni immediatamente precedenti il 10 giugno 1940, affinchè il
nostro paese entrasse in guerra, con la scusa che si era nell'imminenza della
fine delle ostilità e l'Italia avrebbe potuto essere utile al tavolo della pace.
Fin qui, possiamo dire che il sottoscritto e l'autore, sono arrivati alla stessa
conclusione, con il distinguo però che viene dato alla valutazione della
"intesa" che poi venne formalizzata tra Mussolini e Churchill affinchè quella
fase bellica fosse una «finta guerra».
Per l'autore, si trattò di un tradimento nei confronti dell'alleato tedesco,
finalizzato a condurre una guerra sostanzialmente e segretamente contro Hitler,
secondo noi invece fu una intesa transitoria, non globale, concernente la fase
iniziale delle operazioni belliche, affinchè non fossero subito perseguiti
obiettivi ed operazioni strategiche, in vista di una millantata imminente pace.
In pratica un accordo storicamente non raro tra nazioni belligeranti, che poi
venne disatteso da Churchill, ma non consumato contro i tedeschi, ma in
considerazione di quella "guerra parallela" che avevamo dichiarato di voler
condurre a fianco della Germania.
Resta il fatto però che quella rinuncia iniziale a condurre a fondo decisive
operazioni militari, pregiudicò irreparabilmente l'esile filo di vittoria, anche
se era palese che all'Italia, data la sua debolezza economica e militare,
sarebbe stata oltremodo necessaria ed opportuna, una entrata in guerra del tutto
nominale, proprio come era stata, di fatto, una "drôle de guerre" quella tra
tedeschi ed anglo francesi, nell'inverno 1939/'40.
Del resto, se parliamo in termini di scorrettezze, cosa tra l'altro priva di
senso quando sono in gioco gli interessi nazionali, già ad agosto del 1939 i
tedeschi avevano disatteso gli impegni presi con l'Italia, circa l'opportunità
di procrastinare di almeno tre anni eventuali iniziative che avrebbero potuto
spingere irreparabilmente gli avvenimenti fino al limite della guerra, e
dall'altra l'Italia si sottrasse ai suoi doveri che, come il patto d'acciaio pur
prevedeva, avrebbero dovuto subito farla scendere in guerra a fianco della
Germania.
Ebbene in quel mese di agosto il nostro governo venne oltretutto a sapere che
sottobanco inglesi e tedeschi, all'insaputa dell'Italia, stavano anche trattando
per trovare un accordo che, in caso di successo, essendo gli interressi italiani
totalmente in contrasto con quelli britannici, sarebbe stato per noi disastroso.
Ed anche in quell'occasione la nostra diplomazia sotterranea pensò bene di
premunirsi, in vista di una guerra per noi insostenibile, con un "accordo
transitorio" che facesse superare senza eccessivi danni e coinvolgimenti una
fase bellica che si sperava non troppo lunga.
Infatti, in un telegramma di Mussolini al Re, dagli archivi americani fatto
risalire al 28 agosto 1939 (cioè prima dello scoppio della guerra e comunque
prima che l'Italia scegliesse la formula della "non belligeranza") ritroviamo un
abbozzo di intese in caso di eventuale conflitto, che così recitava:
«Desidero Maestà, nell'attesa di mandarvi tutto l'epistolario scambiato con il
Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l'Italia si limiterà almeno nella
prima fase del conflitto ad un atteggiamento puramente dimostrativo. Francesi e
inglesi ci hanno fatto sapere che faranno altrettanto».
È molto probabile che questi intenti vennero ripresi, alla vigilia della nostra
entrata in guerra nel giugno del 1940, adattandoli al nostro effettivo
intervento bellico.
A nostro avviso, infatti, tra fine maggio ed i primi di giugno 1940 Churchill,
dopo aver nei mesi precedenti brigato molto ambiguamente per tenerci neutrali,
ritenendo certo il nostro intervento in guerra, del resto già programmato da
Mussolini fin dal marzo precedente, pensò di accelerarlo, mediandolo sottobanco
con Mussolini attraverso un "intesa", ritenuta opportuna in vista di un
imminente tavolo della pace con i tedeschi oramai praticamente vincitori.
Churchill era consapevole, stante la situazione politico-militare determinatasi
in Europa, che la guerra con l'Italia era inevitabile. Probabilmente sostenne
con Mussolini che non si poteva prevedere con certezza come e quanto sarebbe
ancora durato il conflitto, ma era anche probabile una sua prossima conclusione
ed in questa prospettiva tanto valeva che anche l'Italia avesse partecipato alla
guerra, conquistandosi un ruolo di moderatore al tavolo della pace e con
l'intesa che, nel frattempo, non si scatenassero le FF.AA. dei due rispettivi
paesi.
Qualcosa di tutte queste proposte, scambi di pareri ed intenti tra Churchill e
Mussolini, venne sicuramente messo per iscritto (documentazione del carteggio di
cui abbiamo anche alcune testimonianze di parte fascista e partigiana che
confermano quanto sopra).
Arrivati a quel punto della guerra non era più possibile per l'Italia stare alla
finestra, visto il rischio che si sarebbe corso se Inghilterra e Germania
fossero addivenuti ad una composizione del conflitto, proposta da Hitler a
generose condizioni, un accordo che, con l'Italia assente, sarebbe stato
deleterio per noi deleterio. Ma se la guerra, invece, fosse proseguita,
estendendosi, c'era anche il rischio concreto di una futura occupazione del
nostro territorio, praticamente una portaerei naturale nel mediterraneo, da
parte di uno dei contendenti per necessità ed esigenze strategiche.
Nei rapporti e nella politica internazionale, con un Italia vaso di coccio tra
vasi di ferro, con i tedeschi dominatori nel continente e arrivati al Brennero e
gli inglesi dominatori nell'Impero e minacciosamente presenti nel mediterraneo e
in Africa, Mussolini si era sempre mosso con una strategia praticamente
obbligata, quella imperniata sul bilanciamento delle forze in Europa, affinchè
nè tedeschi, nè inglesi potessero definitivamente prevalere.
Nella drammatica situazione internazionale che ci costringeva quindi ad entrare
comunque in guerra farlo, senza eccessivi rischi, era un "offerta" allettante
che anche volendo non poteva essere rifiutata.
La logica e la realtà della situazione militare di quel momento, oltretutto,
facevano sicuramente ben sperare a Mussolini e non solo a lui che si stesse alle
porte di una imminente pace. Tanto valeva quindi, ritenne probabilmente il Duce,
accettare una iniziale fase bellica transitoria che si sarebbe consumata,
scendendo in guerra, senza intraprendere, da ambo le parti, serie operazioni
militari di portata strategica. In ogni caso per lo scontro a tutto campo c'era
tempo visto che, viceversa, la guerra sarebbe stata lunga e dolorosa e come
disse espressamente il Duce a Spampanato: «Solo un interesse italiano vale il
sangue di un italiano».
Insomma Mussolini si era sempre mosso nell'ambito degli stretti interessi
nazionali, facendo sua la massima degli antichi romani per cui la salvezza della
Patria è la legge suprema.
In realtà il vero scopo di Churchill e delle lobby che lo manovravano era quello
di allargare il teatro bellico, mossa propedeutica al non ancora prossimo
intervento americano e con l'intento, anche per problemi interni alla Gran
Bretagna (dove non tutti erano disposti a rifiutare le offerte di pace di Hitler
e rischiare di mettere in crisi l'Impero a causa dell'approssimarsi di potenze
planetarie quali gli USA e l'URSS) di rendere irreversibile la guerra.
La realtà storica di quei mesi del 1940 indica che l'entrata in guerra
dell'Italia non dipese esclusivamente da quelle "intese" dell'ultimo momento,
purtuttavia esse ci furono e la loro documentazione avrebbe consentito
all'Italia sconfitta di non essere accusata, nè punita per aver voluto la
guerra, visto che era stata la stessa Inghilterra a chiederne l'intervento.
Quel Carteggio, insomma, attestava chi erano i veri responsabili della guerra,
poneva Churchill e l'Inghilterra in gravi difficoltà morali, politiche e
diplomatiche (soprattutto verso la Jugoslavia) e smascherava tutta la propaganda
di guerra alleata!
Di tutte le intercettazioni telefoniche ed epistolari carpite di nascosto dai
tedeschi e che mostrano l'enorme l'importanza del "Carteggio" e l'intenzione del
Duce di utilizzarlo nell'interesse nazionale, vale per tutti questa
registrazione tra Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta
parlando di Pavolini):
«... lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo
rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti
accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato
con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta
questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono cinque
persone!».
È bene infine ricordare che Mussolini si rese quasi subito conto della
"trappola" che era stata tesa dal britannico, di certo già ai primi di luglio
del 1940, quando Churchill fece affondare la flotta francese a Mers-el-Kebir
procurando quasi 1.300 morti e centinaia di feriti tra i suoi ex alleati
dimostrando, al di la delle stesse esigenze belliche, di voler condurre una
guerra ad oltranza.
È vero che per varie cause (inettitudine, pressapochismo, sabotaggio, ecc.)
l'Italia entrò in guerra senza un programma strategico di guerra e oltretutto in
base all'"intesa" con gli inglesi tutto era rimasto sospeso in vista di un
imminente fine delle ostilità, ma da luglio Mussolini prese a spingere affinchè
si mettessero in atto progetti militari per portare un attacco decisivo agli
inglesi, soprattutto in Africa settentrionale e sul mare, ma trovò davanti a sé
un ostruzionismo diffuso.
Qualcosa di quell'"intesa" con gli inglesi a Mussolini dovette suonare strano se
già il 28 giugno '40 Badoglio con un telegramma pressò Balbo in Libia affinchè
accelerasse gli studi per l'offensiva, in quanto «il Duce sta fremendo... fa di
tutto per essere pronto per il 15 luglio" e successivamente il 3 luglio confermò
al subentrato Graziani nel comando libico: "Duce mi ordina di comunicarvi che
est interesse vitale per l'Italia che voi siate pronti a sferrare l'offensiva
per il giorno 15».
Sta di fatto che vasti settori politici, istituzionali e militari compresi
alcuni vertici del fascismo, pur se ignari di eventuali accordi segreti, avevano
intuito e gradito quella condotta incruenta ed innocua della guerra,
concependola come un desiderio ed una volontà di non fare la guerra agli
inglesi! Cioè di fare una guerra senza rischiare. Cosicché non ci fu seguito
alla volontà di Mussolini, alle sue sfuriate per incitare a mettere in atto una
offensiva in Africa settentrionale e sul mare.
E vediamo adesso alle deduzioni espresse dall'autore sulla morte del Duce e su
una eventuale pista inglese, a nostro avviso e così come posta una forzatura
questa, non necessaria, che finisce per sovrapporre due avvenimenti, pur tra
loro correlati, ma non nel senso che intende l'autore.
A nostro avviso l'autore sbaglia nel considerare consequenziale e per avvenuto
il concretizzarsi di una azione inglese finalizzata, attraverso un intervento
delle sue Special Force, ad eliminare direttamente Mussolini.
In effetti, se questo era pur un ovvio intento degli inglesi, le contingenze del
momento fecero si, da come si deduce da quel poco di testimonianze e
documentazioni che ci restano, che gli inglesi utilizzarono invece per
l'eliminazione di Mussolini i partigiani comunisti.
È noto come l'ufficiale di collegamento tra il CLNAI e gli Alleati, l'italo
inglese Max Salvadori, venuto a conoscenza dell'arresto di Mussolini a Dongo,
fece presente ai ciellenisti che loro erano padroni della situazione fino
all'arrivo delle truppe Alleate e quindi, di fatto, ispirò costoro ad eliminare
sbrigativamente il Duce. Lo storico Alessandro De Felice, nipote del celebre
Renzo, ebbe a raccontare una confidenza che gli fece Leo Valiani: «La morte di
Mussolini deve rimanere un mistero. Ed è meglio che sia così…, Londra ha suonato
la musica, ed il PCI è andato a tempo!».
Non a caso ebbe ad affermare lo storico Renzo De Felice:
«La documentazione in mio possesso porta tutta ad una conclusione: Benito
Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su sollecitazione dei
servizi segreti inglesi. C'era un interesse a far si che il capo del fascismo
non arrivasse mai ad un processo. Ci fu un suggerimento inglese: "Fatelo fuori",
mentre le clausole dell'armistizio ne stabilivano la consegna. Per gli inglesi
era molto meglio se Mussolini fosse morto. In gioco c'era l'interesse nazionale
legato alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier
britannico avrebbe scambiato con Mussolini prima e durante la guerra».
Sulla morte di Mussolini, su queste stesse pagine, abbiamo condotto, con molti
articoli, una lunga controinformazione, dalla quale si deduce facilmente la
falsità dalla storica versione di Walter Audisio (la vulgata) e si può
considerare probabilmente veritiera la testimonianza della signora Dorina
Mazzola, all'epoca dei fatti residente a circa 150 metri da casa De Maria, luogo
in cui erano stati nascosti Mussolini e la Petacci. La testimonianza della
signora Mazzola, mai smentita ed anzi confermata, da molti rilievi su vari
particolari tanatologici, balistici e del vestiario e dall'incrocio con un altre
testimonianze, soprattutto quella della signora Santi, la vedova di Guglielmo
Cantoni Sandrino, uno dei due partigiani che era stato lasciato di guardia ai
prigionieri, indicava che Mussolini era stato ucciso, sotto casa De Maria, la
mattina del 28 aprile '45, mentre Claretta Petacci era stata uccisa intorno a
mezzogiorno, durante un suo caotico trasferimento.
La signora Mazzola, senza sapere di chi si trattava, era stata in parte teste
oculare del primo episodio e testimone diretto della uccisione della Petacci,
ammazzata a pochi metri da lei. Fu Giorgio Pisanò che nel 1996, pubblicò un
libro rimasto memorabile: "Gli ultimi 5 secondi Mussolini" Ed. Il Saggiatore,
dove ricostruì i fatti riportando questa testimonianza.
Ci suona strano che l'autore del libro "Il carteggio Churchill Mussolini alla
luce del processo Guareschi", citando e confutando alcuni lavori di autori che
hanno presentato su la morte di Mussolini versioni alternative, sinceramente
poco credibili, non abbia parlato del libro di Pisanò molto più difficile da
contestare.
In realtà l'autore, come si evince dal suo saggio, propende a dare credito a
quel "fumettone" che fu il racconto di Bruno Giovanni Lonati, Giacomo, il
comandante partigiano che asserì di aver partecipato assieme a tre altri
partigiani e dietro il comando di un ufficiale inglese, certo John Maccarrone o
Maccarroni, alla uccisione di Mussolini e la Petacci intorno alle 11 del mattino
del 28 aprile in un viottolo vicino casa dei De Maria.
Questa versione che per le sue implicazioni da spy story, ha avuto una gran
cassa di risonanza nell'editoria e negli special televisivi, in realtà non ha
alcun elemento che la possa confermare ed anzi, piena di contraddizioni, appare
decisamente improbabile.
Su queste pagine avemmo modo di demolirla, punto per punto, con il nostro
articolo del 15 agosto 2008 "Morte di Mussolini: La spy story di Giovanni Lonati
e del capitano John", a cui rimandiamo senza ritornare su gli stessi argomenti.
Ora l'autore dice di riscontrare ulteriori conferme alla versione di Lonati, ma
se andiamo a vedere queste "nuove conferme" , alcune delle quali già avemmo modo
di confutare, ci rendiamo conto che non sono proprio così efficaci e quindi
l'inattendibilità del racconto di Lonati resta tutta.
Intanto, secondo l'autore, il fatto che il Lonati abbia rivelato di aver ucciso
Mussolini, non poteva portargli alcun vantaggio, ma solo pericoli e forse poteva
anche coinvolgerlo penalmente, per favoreggiamento, nel proditorio assassinio di
una donna, la Petacci, eseguito dall'ufficiale inglese.
Sui vantaggi o svantaggi che il rendersi pubblicamente artefici di quella
impresa, ne potevano conseguire al Lonati, non intendiamo pronunciarci, anche
perchè non siamo in grado di individuare e quantificare quanto e se potè
eventualmente rendere, in termini remunerativi (televisioni, interviste,
articoli, due edizioni di libri, ecc.) quella divulgazione, ma sull'aspetto di
un possibile rischio di esserne coinvolti penalmente ci sembra una
considerazione assurda, tanto che neppure Audisio, pubblicamente e storicamente
autoaccusatosi di quell'assassinio, ha mai subito condanne ed un procedimento
contro di lui, intentato dalla famiglia di Claretta nel 1956, cadde nel nulla.
L'autore quindi ricorda che nel racconto di Lonati si parla di una base inglese
a Brunate e di uno strano personaggio definito l'"alpino" per via di un cappello
di alpino che portava in testa. Si dice che si hanno conferme di una base del
genere ed indirettamente anche di questo strano personaggio.
Resta il fatto che il Lonati ha pur partecipato a fatti di guerra in quel
periodo e forse in quelle zone, che di basi inglesi, in tutto il comasco, ce
n'erano molte e questa coincidenza vuol dire poco e niente, ed anche di questo
personaggio (se non più di uno) quello "dell'alpino", se ne trovano tracce in
alcuni racconti dell'epoca, ma non è detto che dobbiamo per forza metterli in
relazione alla presunta impresa di Lonati.
Insomma, in questo caso, siamo in presenza di elementi del tutto labili se non
inconsistenti.
Afferma ancora l'autore, che il racconto di Lonati, dove dice che una volta
informata Claretta sulla decisione di uccidere il Duce, questa gli chiese il
favore di fare in modo che Mussolini non se ne accorgesse, indica non solo la
genuinità e bellezza di quelle parole, ma dovrebbe altresì escludersi che il
Lonati fosse un raffinato romanziere o che lo stesso sia stato assistito da un
abile scrittore.
Noi invece, conoscendo la personalità passionale ed emotiva di Claretta Petacci
e le sue angosce, non crediamo a questo racconto, cioè che alla notizia di una
imminente uccisione di Mussolini, Claretta avrebbe reagito in quel modo anzi,
tutt'altro, avrebbe fatto il diavolo a quattro. Come possa essere stata
partorita quella bellissima, ma assurda conversazione, può dipendere da tutto e
il contrario di tutto e non vale la pena stare fare troppe ipotesi.
Altra prova della veridicità del racconto di Lonati, l'autore la dedurrebbe dal
comportamento del consolato inglese di Milano e di Roma, quelli a cui si rivolse
il Lonati stesso per chiedere una presunta documentazione, comprovante la sua
impresa del 28 aprile, depositata nell'ambasciata inglese in Italia. Secondo
l'autore, il fatto che il consolato, non contestò il contenuto delle richieste
del Lonati, fatte anche per lettera, è indice che "qualcosa" di vero doveva pur
esserci.
Intanto ci sembra assolutamente non credibile, che documenti (e soprattutto foto
come disse il Lonati), comprovanti la uccisione del Duce, di incalcolabile
valore venale e storico, ancora nel 1981, potevano essere conservati, se mai ci
fossero stati, nei consolati inglesi del nostro paese, secondo poi, a nostro
avviso, il fatto che l'ambasciata rispose al Lonati, senza entrare nel merito
delle sue richieste, non ha una grande importanza e potrebbe anche essere una
logica prassi che si segue in questi casi e non che, rispetto alle richieste del
Lonati, trattasi invece di un silenzio assenso a conferma di quanto il
richiedente andava cercando.
Dobbiamo supporre, invece, con più realismo e se veramente la storia con
l'ambasciata è nei termini come l'ha presentata il Lonati, che questi andava
probabilmente cercando, presso quella sede, qualche attestato di sue
partecipazioni ad azioni, in quei giorni e in quelle stesse zone, sotto comando
inglese, correlate alla vicenda di Mussolini e forse dei suoi documenti. È una
congettura, ma molto più realistica e convincente di quella che l'ambasciata
conservi foto e documenti sconvolgenti come quelli della fucilazione del Duce,
addirittura li promette e poi non li consegna per ordini da Londra. Ma chi può
crederci?
Ancora un particolare viene riportato dall'autore, a suo dire, comprovante i
racconti di Lonati: il fatto che Massimo Caprara, l'ex segretario di Togliatti,
confermò l'esistenza di un Carteggio, relativo a Mussolini e Churchill, passato
nelle mani di Togliatti, il quale ebbe modo di "giocarselo" con gli inglesi.
Come è facile osservare, questa "rivelazione" riguarda semmai l'esistenza
effettiva del Carteggio, non certo, indirettamente, quella dei racconti di
Lonati. Sono due fatti distinti.
Infine l'autore riporta anche le dichiarazioni della moglie di Lonati, Carla
Terenzi, nonchè di un suo parente e di una ex baby sitter di casa Lonati, i
quali hanno affermato che il Lonati, verso il 1981, ovvero dopo i famosi 35 anni
di silenzio che lui dice gli erano stati imposti di mantenere, ebbero modo di
ascoltare da lui racconti su quella vicenda.
Ma cosa significa questo? A nostro avviso unicamente che tra il 1980 e il 1981
Lonati prese a parlare e decise la divulgazione di quei racconti (va bene il
segreto, ma stranamente taciuti, nei precedenti 10 anni d'intimità, anche alla
moglie) che poi vennero per primi accennati da Roberto Gervaso in una sua
biografia di Claretta Petacci del 1982. Non certo però che quei suoi racconti
debbano essere per forza veritieri.
Di tutte le considerazioni, fatte dall'autore, circa la storia del Lonati, a
nostro avviso resta solo in piedi il perchè, il non senso e la sconosciuta
motivazione per la quale un uomo di apparente serietà e a quanto si dice
economicamente senza problemi, che non da l'impressione di essere un mitomane,
se ne sia uscito con questa incredibile storia. Per l'autore, questo è indice di
autenticità, a noi ci lascia soltanto perplessi.
A questo proposito riportiamo quando dicemmo a conclusione del nostro articolo
citato:
«Come sia potuta però uscir fuori tutta questa storia è veramente
incomprensibile ... Visto che, comunque, noi non crediamo affatto a questa
fantasiosa rivelazione, si può forse supporre che, in quei giorni del '45, il
Lonati partecipò a qualche missione, da quelle parti, o qualcosa del genere,
magari sotto comando inglese. Molti anni dopo il Lonati, forse dietro qualche
misterioso ispiratore, forte di vari resoconti e racconti su quelle vicende, ha
pensato bene, non riusciamo ancora a capire per quali motivi, di architettare
tutta questa incredibile storia miscelando particolari veramente vissuti,
dedotti ed elaborati dalle storie pur conosciute, ad altri totalmente inventati.
Anche questo però si può solo supporre, ma non provare, come del resto non si
può provare il racconto del Lonati, e pertanto è meglio stendervi sopra un velo
di pietoso silenzio».
Maurizio Barozzi
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