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Benedetto XV e "I Protocolli dei Savi Anziani di Sion"

L'operazione gatto selvatico

 

Giuseppe A. Spadaro   

       

Parlare dell'«operazione gatto selvatico», ricordata da Massimo Caprara, che fu il segretario personale di Togliatti ("Quando le Botteghe erano Oscure"; Il Saggiatore 1997), non può non sortire oggi un effetto comico, nell'era del cattocomunismo. Il gatto selvatico doveva essere rinchiuso in una stanza senza mobili e senza finestre, e a furia di randellate doveva esser lasciato stecchito sul terreno. Il gatto selvatico non era altro che la Chiesa cattolica (o se più piace il Vaticano), e l'idea era di Palmiro Togliatti, segretario del PCI. Un episodio ormai rimosso, ma che lo storico deve tener presente, per valutare le difficoltà che un uomo di Stato incontra nell'attuare in Italia un suo programma politico. Perfino uomini come De Gasperi trovarono intralci nel loro tentativo di costruire una democrazia laica, da parte di chi dopo la vittoria elettorale del 18 aprile 1948 aveva accarezzato l'idea della ricostituzione d'uno Stato confessionale.
Detto ciò, dobbiamo chiederci perché Togliatti, pur avendo in mente sì truci propositi, nel '46 si dichiarò favorevole a recepire nella Costituzione i Patti Lateranensi. L'atteggiamento di Togliatti è solo in apparenza contraddittorio, in realtà dimostra che il segretario del PCI aspettava solo il momento favorevole per rinchiudere il gatto selvatico dentro una stanza. Diversamente da Mussolini, che tuttavia ebbe a sperimentare nel '31 la difficoltà a convivere col Vaticano. Don Romolo Murri rivelò ne "L'ulivo di Sàntena" i retroscena di quella crisi che rischiò di mettere in forse la Conciliazione: «Il disegno di legge sulla libertà dei culti gettò l'allarme tra i cattolici. L'on. Mussolini aveva detto: "Nel Concordato si assicura alla Chiesa cattolica il libero esercizio del suo potere spirituale, e le si conferisce altresì una posizione di speciale prestigio... Ma la piena libertà dell'esercizio degli altri culti e l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, non è e non poteva essere menomamente toccata"»
Quale la materia del contendere? La modifica dell'articolo 1 dello Statuto albertino: «Gli altri culti sono tollerati», in: «Gli altri culti sono ammessi». Don Romolo Murri proseguiva: «Ma del disegno di legge furono spiacentissimi i cattolici. Vero è che il ministro Rocco dichiara non esservi rottura di continuità, ma la spiegazione non soddisfa quanti vogliono lo Stato cattolico, cioè confessionale. Tra gli altri l'on. Gilberto Martire chiedeva che il primo articolo fosse modificato, in modo che restasse aperta la via ad impedire la propaganda degli altri culti o a limitarne il proselitismo. Quanto all'art. 5: "La discussione in materia religiosa è pienamente libera, non ne vediamo l'opportunità, mentre non possiamo nasconderne il pericolo"». Erano conciliabili tali pretese con una visione moderna dello Stato?

La Croce e i Fasci
La tendenza a vedere il fascismo come braccio secolare a cui affidare i lapsi, andava di pari passo con il disegno di rendere confessionale lo Stato, ed è questo l'errore che lo storico Pietro Scoppola imputa a Pio XI. Le parole pronunciate da Mussolini alla Camera e al Senato erano state chiare: «La distanza che separa il Vaticano da Roma non deve essere minore di quella che separa il Vaticano da Madrid, da Berlino o da Varsavia». Ma nei suoi colloqui con Ludwig il Duce si ricrede: «Libera Chiesa in libero Stato? È irrealizzabile con la Chiesa cattolica. L'una e l'altro hanno davanti a sè la stessa materia, l'uomo: in un caso come credente, nell'altra come cittadino... Se poi la Chiesa risiede nella capitale, allora bisogna affrontare anche questioni topografiche. Una capitale, e ad un tempo una città che appartiene a un altro Stato ...».
Tuttavia la simbiosi fra la Croce e i Fasci fu per volontà di Mussolini fino a un certo punto perfetta. Quando uscì la voce fascismo sulla Enciclopedia, scritta a quattro mani da Gentile e Mussolini, P. Tacchi Venturi corse a Palazzo Venezia: «Duce, Sua Santità è su tutte le furie, perché la voce fascismo tradisce troppo apertamente il suo carattere idealistico». Mussolini ordinò di ritirare il volume, e riscrisse di suo pugno le parti più pregnanti della voce fascismo, dimodoché potesse essere gradito al Papa.
Sono gli anni dell'intesa fra Pio XI e Mussolini. Del Papa che definì il Duce «Uomo della Provvidenza», Giancarlo Zizola descrive «il carattere autoritario, lo stile decisionistico, la freddezza calcolatrice che si rovescia a volte in repentini scoppi di collera». Egli passava nei confronti del Duce dal «dilettissimo figlio» a toni più burberi, ma non arrivò mai, neppure al tempo dell'enciclica "Non abbiamo bisogno", all'aperta condanna del Fascismo, che non ci fu nemmeno per il Nazismo, guardato solo «Mit Brennender Sorge» («Con cocente preoccupazione»). Sapeva bene che l'alternativa erano le democrazie massoniche o il bolscevismo «intrinsecamente perverso». Di Mussolini si è parlato d'una segreta conversione, ma è preferibile giudicarlo soltanto come statista. È nel vero P. Giovanni Sale, quando parla di «una pagina di storia nazionale che vede contrapposti Mussolini e Pio XI»? E la "Divini Redenptoris"? In quell'enciclica il Pontefice legittimò l'ordinamento corporativo come Restaurazione dell'ordine sociale secondo la legge evangelica: «Lo Stato riconosce giuridicamente il sindacato, non senza carattere monopolistico in quanto esso solo può rappresentare gli operai e i padroni, esso solo concludere contratti e patti di lavoro». P. Giovanni Sale vada a rileggerla.
Mussolini fece di tutto per non turbare quell'intesa faticosamente raggiunta, che sanava il conflitto di coscienza in cui si trovavano tanti italiani. C'era certo una differenza fra fascisti- cattolici e cattolici-fascisti, e nei secondi al momento della scelta prevarrà il primo termine. Ma questo appartiene al senno del poi. Per il momento sono insieme, fascisti-cattolici e cattolici-fascisti, impegnati nella conquista dell'Impero, benedetta dal Pontefice perché diretta ad estirpare l'eresia eutichiana del clero Copto. Di rincalzo arriva l'Alzamiento in Spagna. L'Italia fascista non può non intervenire, rispondendo all'appello lanciato il 14 settembre 1936 dal Pontefice per «salvare la civiltà europea dal pericolo comunista». Il Fronte Popolare dell'ebreo Lèon Blum schiera la Francia accanto all'Unione Sovietica, la Gran Bretagna finge un non-intervento, e alla mischia partecipa l'aviazione tedesca. Matura così l'alleanza con la Germania.

"I Protocolli dei Savi Anziani di Sion"
In questo clima "Civiltà Cattolica" non manca di risfoderare il mai accantonato antisemitismo, ma insiste in modo particolare sul rapporto giudaismo-bolscevismo. A tale spirito è improntato l'articolo del fasc. 2071 del 1936: «In fondo all'accanimento del giudeo nell'arricchire e speculare sul denaro, sta la sua concezione materialistica e temporalistica della vita... Nel giudeo razionalista e rivoluzionario, il messianismo latente nell'animo diventa l'aspirazione al regno ideale di giustizia che sognano i comunisti, da conseguire anche a costo di stragi e di rovine, come confessa Rathenau e come hanno dimostrato i sanguinari Bela Kun [Abele Coen] e Szamuelly in Ungheria, i giudei bolscevichi in Russia e gli agenti stranieri che imperversano orrendamente in Spagna». Parole che non differiscono molto da quelle del "Mein Kampf" di Adolf Hitler, se non per l'accenno, che sarà fatto tra gli altri da P. Gemelli (9 gennaio 1939), alle colpe del popolo deicida: «Tragica dunque, e dolorosa, la situazione di coloro che non possono far parte, e per il loro sangue e per la loro religione, di questa magnifica patria; tragica situazione in cui vediamo attuarsi quella terribile sentenza che il popolo deicida ha chiesto su di sè e per la quale va ramingo per il mondo, incapace di trovare una patria, mentre le conseguenze dell'orribile delitto lo perseguitano sempre.»
Fabio De Felice ("Storia degli Ebrei italiani sotto il fascismo", Einaudi 1961) ricorda alcuni fatti salienti che avevano rinfocolato l'antisemitismo: «Innanzitutto le congratulazioni di Benedetto XV e del segretario di Stato cardinal Gasparri a monsignor Jouin, curato di Sant'Agostino in Parigi, fondatore nel 1912 della Revue Internationale des Sociétés Secrètes indirizzata a combattere il pericolo giudaico (che tra l'altro curò la traduzione dei "Protocolli dei Savi Anziani di Sion") e autore di "La judéo-maçonnerie et la domination du monde". Poi il sistematico accoppiamento, dopo la rivoluzione d'Ottobre, dell'ebraismo e del bolscevismo. E per finire nel 1928 la condanna e l'abolizione della "Società degli amici di Israele", che operava per la conversione degli ebrei».
La prima traduzione dal russo dei "Protocolli", il libro più pericoloso e nefasto per l'ebraismo, che, nonostante sia riconosciuto un falso, ha contribuito maggiormente alla propagazione dell'antisemitismo nel mondo, è dunque dovuta a monsignor Jouin, complimentato per questo da un Pontefice di Santa Romana Chiesa. I "Protocolli" li ritroviamo citati da padre Massimiliano Kolbe, che pubblicava la rivista "Il Cavaliere dell'Immacolata", in cui accusava gli Ebrei di tutti i crimini possibili e immaginabili. È soltanto nel 1920 che don Giovanni Preziosi, che s'era spretato per protesta contro l'indifferenza della Chiesa nei confronti del dramma degli emigranti, impressionato dai "Protocolli" avuti da Maffeo Pantaleoni, dà un taglio antiebraico alla sua rivista "La Vita Italiana", facendone la caratteristica più essenziale della sua azione politica.

P. Brucculeri e il "Manifesto della Razza"
«Mentre sulla nozione di razza si sono ammucchiate nebulosità d'ogni sorta, i docenti fascisti hanno enunciato un contenuto del razzismo, in cui si fa giustizia sommaria dei detriti irrazionali, con cui si è costruita una teoria della razza, che documenta il disorientamento del pensiero contemporaneo. "Il concetto di razza è un concetto puramente biologico"». È questo il concetto di razza approvato dal Brucculeri, e questo è il concetto che impone Mussolini al Gran Consiglio del Fascismo: «Sono io che, praticamente l'ho dettato». Egli lascia intendere che ci sono esigenze superiori che impongono di approvarlo. E mentre da parte fascista si levano le voci di dissenso di due quadrunviri della Rivoluzione: De Bono e Balbo (De Vecchi si astenne avendo la moglie ebrea), oltre che di Federzoni e Acerbo, il quale dichiarò che quel "Manifesto" «era desunto da sorpassate proposizioni della scuola tedesca dell'Ottocento», nessuna voce si levò in campo cattolico, nemmeno quella del Nunzio Apostolico presso il Regno d'Italia, né di monsignor Beccaria, Cappellano maggiore del Re, al quale in ultima istanza era demandata la firma perché il provvedimento diventasse Legge dello Stato.
«La Santa Sede, non solo mantenne sempre la polemica sul terreno strettamente giuridico-concordatario, ma avallò nelle coscienze di molti cattolici il principio della persecuzione degli Ebrei», afferma il De Felice, e Mauriac denunziò: «Per circa un anno e mezzo mancò del tutto il conforto di sentire il successore di Pietro condannare la crocifissione di tanti fratelli del Signore». Il Vaticano lascia che la campagna antisemita vada avanti, finché il divieto dei matrimoni misti lo decide a denunciare il vulnus al Concordato: «Più difficile si presenta il caso del matrimonio quando si tratta di ebrei convertiti. i quali di fronte alla Chiesa sono cattolici come gli altri... È questo l'unico punto, sul quale la Chiesa formulerebbe obbiezioni», scrive a Mussolini l'ambasciatore presso la Santa Sede Galeazzo Ciano. Ma se il concetto di razza è puramente biologico, come può riguardare la conversione?

Il fascismo tradì gli ebrei italiani
Come reagiscono i gerarchi fascisti alle recriminazioni vaticane? «Se come cattolici siamo divenuti antisemiti, lo dobbiamo agli insegnamenti che ci furono dati dalla Chiesa durante venti secoli» scrive Farinacci il 7 dicembre del '39: «Noi non possiamo nel giro di poche settimane rinunciare a quella coscienza antisemita che la Chiesa ci ha formato lungo due millenni». In "Il fascismo, crocevia della modernità" (Settimo Sigillo 1998) arrivavo invece a queste conclusioni: «Il Fascismo, diversamente dal nazismo nato antisemita, tradì gli Ebrei italiani. Attenuanti e giustificazioni non bastano a modificare questo giudizio. Ancora una volta l'ipoteca cattolica aveva falsato la vera natura di quei provvedimenti, dando loro l'impronta biologica esaltata da P. Brucculeri». Scrisse Curzio Malaparte ("Mamma Marcia", Vallecchi 1959): «Gli Ebrei italiani sono stati, fino al 1938, ferventi fascisti nella quasi totalità. Nella lista dei martiri fascisti i nomi di Ebrei sono frequenti. Ammiragli ebrei, generali ebrei, altissimi gerarchi ebrei, ministri ebrei... Nel 1943, quando i Tedeschi occuparono l'Italia, gli Ebrei italiani subirono persecuzioni, ma furono i Tedeschi a perseguitarli: ed è onesto osservare che i processi intentati contro delatori di Ebrei, furono processi quasi tutti contro delatori ebrei ...»
Mussolini rimase prigioniero di quel "Manifesto della Razza", che non era né del tutto biologico, né religioso, né politico. Diede istruzioni perché fossero salvati quanti più Ebrei, sottraendoli alla deportazione, ma non sempre quei provvedimenti verranno accettati. Ettore Ovazza, ex-combattente, squadrista e marcia su Roma, preferì seguire la sorte dei correligionari, finendo trucidato insieme alla famiglia. L'on Aldo Finzi, sottosegretario nel primo governo fascista, fu fucilato alle Fosse Ardeatine. Ma cosa intende P. Sale quando afferma che «la Segreteria di Stato assunse un atteggiamento piuttosto prudente... per non contribuire a rendere ancora più dura la legislazione antiebraica... in particolare degli ebrei convertiti al cattolicesimo»? Su quel periodo Curzio Malaparte attesta: «Le conversioni di Ebrei fascisti erano frequenti, presentando un carattere pubblicitario assai significativo». Ciò rivela le vere intenzioni del Vaticano facendo proprio il razzismo biologico: lasciar perseguitare gli Ebrei, per poi accoglierli sotto la sua grande ala. Così avvenne infatti: gli istituti religiosi accoglieranno gli Ebrei fuggiaschi, salvando la reputazione del Vaticano.
Ma se in Italia è facile addossare tutte le colpe al fascismo e a Mussolini, diamo uno sguardo alla Francia, dove nel 1944 arriva come Delegato apostolico monsignor Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII. «La Chiesa francese non ha avuto un atteggiamento chiaro durante l'occupazione, e ora la Resistenza minaccia di sottoporla a massiccia epurazione», leggiamo sulla rivista cattolica "Fêtes & Saisons" (N° 547 - agosto 2000): «Il cardinale Baudrillart, il più compromesso coi Tedeschi, è morto nel '43, ma De Gaulle vuole punire i colpevoli, in primo luogo il Nunzio pontificio, monsignor Valerio Valeri, costretto a rientrare precipitosamente a Roma. Il ministro dell'Interno Georges Bidault dichiara che bisogna “bazarder” almeno trenta vescovi, e porge la lista a Roncalli, che con calma taglia lo zero e negozia. Egli ottiene che nessuno dei cardinali sia toccato e che il numero dei vescovi da dimissionare sia ridotto a tre: monsignor de la Villerabel, che aveva denunziato il terrorismo dei resistenti, monsignor Auvity, che aveva proibito ai seminaristi di aderire alla Resistenza, e monsignor Dutoit, che aveva apertamente sostenuto la collaborazione coi Tedeschi». Domandiamoci allora: questi trenta Vescovi, con monsignor Suhard, arcivescovo di Parigi alla testa, avevano di loro iniziativa aderito allo Stato Nazionale del maresciallo Pétain, alleato dei Tedeschi, il cui trinomio era: Dio, Patria, Famiglia, o non avevano piuttosto seguito le direttive vaticane?

Giuseppe A. Spadaro