10 giungo 1940: le vere motivazioni della guerra
italiana
La guerra del sangue
contro l'oro
Maurizio Barozzi
Risalire oggi, a 70 anni dal 10 giugno 1940, alle vere motivazioni dell'entrata
in guerra dell'Italia, dopo che le potenze Alleate hanno sequestrato i nostri
archivi di Stato e militari, mentre al contempo non hanno reso accessibili i
propri, non è certo un compito agevole.
Oltretutto si è anche costretti a lavorare a fronte di una "storiografia di
parte" che cerca di presentare la seconda guerra mondiale come il risultato dei
sogni di dominio mondiale della Germania hitleriana quando, viceversa, è
indubbio che se Hitler giocò con il fuoco, portando il punto di crisi in Europa
fino alle soglie della guerra, sperando che gli anglo francesi, dopo il patto
Molotov-Ribentropp (che gli copriva le spalle), alla fin fine gli avrebbero
lasciato campo libero con i polacchi, è altrettanto vero che furono invece le
"democrazie occidentali", forti di un futuro appoggio statunitense, che dopo
aver conseguito con la prudente politica dell'appeasement, il tempo necessario
per un riarmo bellico, fecero soffiare i venti di guerra usando la Polonia e
puntando decisamente allo scontro.
Partendo da questo presupposto, palesemente sottaciuto, ma storicamente
inoppugnabile (già solo considerando la limitata struttura "continentale" delle
FF.AA. tedesche), occorre tener presente che qualunque analisi storica che
voglia risalire alle cause di un conflitto di portata mondiale, deve trovare in
qualche modo conferma nelle grandi linee geopolitiche della Storia.
Se infatti potiamo lo sguardo oltre i particolari contingenti, dalle ideologie,
dagli interessi economici divergenti, ecc., troveremo che il "motore" della
Storia è quello della geopolitica, laddove Stati e Nazioni si dividono, si
scontrano, e si compattano dietro i grandi interessi geopolitici, gli unici che
possono garantire nel tempo lo sviluppo futuro e la sicurezza militare ai poli
antagonisti della terra: le realtà continentali e quelle talassocratiche.
Valutazione questa, assolutamente vera per il passato, forse un po' meno vera da
quando, nel secolo XX, un secolo dagli enormi progressi soprattutto nel campo
dei trasporti e delle comunicazioni che hanno "globalizzato" le economie e le
culture del pianeta, sono entrate pesantemente in gioco Lobby e Consorterie
transnazionali, tendenti al dominio mondiale svincolato da un riferimento etnico
e geografico, perché forti di una potenza finanziaria cosmopolita mai vista in
passato.
In ogni caso la corrispondenza tra gli sviluppi e le tendenze militari,
economiche ed ideologiche e la geopolitica resta sempre un presupposto
irrinunciabile per avere la controprova della giustezza delle analisi storiche.
Ed è appunto su questi presupposti che cercheremo di spiegare molti aspetti
oscuri della nostra partecipazione alla guerra.
Come noto l'Italia entrò in guerra con una formula, coniata da Mussolini, di
"guerra parallela", quindi sostanzialmente sganciata dalle strategie dei
tedeschi (questa la formula che il Duce ebbe anche ad illustrare al Re: «non per
la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania»).
L'evidente "accordo" che poi, come vedremo, intercorse all'ultimo momento tra
Mussolini e Churchill (accordo nascosto nel famoso "Carteggio" fatto sparire dal
britannico) che determinò un inizio blando delle nostre operazioni belliche, ha
fatto avanzare da molti il sospetto che tutto sommato, l'entrata in guerra di
Mussolini era, paradossalmente, più contro la Germania che contro l'Inghilterra
e del resto, svariate esternazioni del Duce farebbero sospettare anche l'ipotesi
di un Mussolini "segreto nemico" di Hitler. In realtà, che Mussolini possa
essere stato un "segreto nemico di Hitler" è una forzatura interpretativa di
alcuni fatti, analizzati senza conoscere i retroscena geopolitici, perché le
cose non stanno affatto in questi termini.
Vero invece che l'Italia giocò le sue carte strategiche indipendentemente dagli
interessi tedeschi e Mussolini aderì all'ultimo momento alle "proposte segrete"
di Churchill, non per sabotare la guerra tedesca, anche se poi in effetti ne
derivò un danno per una possibile vittoria, ma semplicemente perché quell'intesa
sembrava risolvere di colpo tutti i nostri problemi.
La strategia geopolitica di Mussolini, infatti, restò sempre, nonostante gli
alti e bassi di una difficile alleanza tra partner di sbilanciata potenzialità
economica e militare, una geopolitica antibritannica, e non poteva essere
diversamente mantenendosi, al contempo, distinta e guardinga nei confronti dei
tedeschi.
Oggi, finalmente, gli storici stanno, a poco a poco, arrivando a individuare i
veri contenuti del Carteggio Churchill Mussolini, tranne che, magari, ancora non
possono dire certe cose con chiarezza (non si fa carriera, divergendo troppo
dalle linee ideologiche che sono alla base del "regime"). Per le vicende del
"Carteggio", comunque, ci sono due testi che bisogna assolutamente conoscere e
ai quali rimandiamo: F. Andriola: "Mussolini Churchill il carteggio segreto",
SugarCo 2007 e U. Giuliani Balestrino: "Il carteggio Churchill Mussolini alla
luce del processo Guareschi", Ed. Settimo Sigillo 2010.
In realtà, quello che avvenne tra il Duce e Churchill, a livello di diplomazia
sotterranea, più
che un "accordo" fu un reciproco stato di necessità proprio al momento della
nostra entrata in guerra.
La geopolitica di Mussolini
Tutto scaturisce dalla nostra situazione storica e geopolitica, laddove è noto
che Mussolini lavorava per elevare l'Italia al rango di una piccola - media
potenza nel Sud Europa, trovando la soluzione demografica e degli
approvvigionamenti di materie prime (atavica nostra deficienza strutturale)
nelle colonie africane.
Il dramma era che la nostra geopolitica non poteva che essere espressione di una
potenza marittima, ma contemporaneamente con uno sguardo al continente: insulare
e peninsulare. Il che per una nazione economicamente debole, priva di risorse
energetiche e militarmente scarsa e per di più con l'Africa settentrionale
scollegata, era un vero e proprio dramma. Ma il dramma più grosso era
l'irriducibile avversione degli inglesi.
Fotografando la situazione, così si espresse Mussolini con il suo medico Georg
Zachariae: «L'Inghilterra [che] ha molti interessi nel mediterraneo, quale via
di comunicazione con l'Egitto e l'India, era invidiosa dell'influenza che
l'Italia andava prendendo nel bacino mediterraneo, nei Balcani, nel vicino
Oriente e in Africa. L'ostilità britannica non poteva certo farmi desistere dai
miei piani, perché tanto valeva che me ne andassi abbandonando l'Italia al suo
destino».
Scrive oggi Franco Cardini, riassumendo perfettamente la situazione del tempo:
«Se si considera che l'Italia unitaria era stata fondata, ottant'anni prima di
allora, con l'appoggio non disinteressato di una Francia prima e di
un'Inghilterra poi che ambivano a piazzare le loro pedine commerciali e portuali
in una penisola che, con l'apertura del canale di Suez, sarebbe divenuta un molo
mediterraneo importante sulla via degli oceani, l'entrata in guerra del '40
acquista una prospettiva sulla quale di solito non si riflette: quella della
definitiva liberazione del paese da un ruolo subalterno nel panorama politico
europeo. Il tragico era che tale disegno era destinato a inquadrarsi nel
contesto del profilarsi di una subordinazione ancora più forte e tragica: quella
alla Germania nazista. Qui l'abile giocoliere Mussolini, che aveva avuto fino ad
allora la fortuna e l'abilità di costruire il mito della potenza italiana su una
serie di colpi di mano e di bluff ben giocati -l'ultimo dei quali era quello di
mediatore degli accordi di Monaco del '38-, si trovava adesso a doversi
confrontare con il vero nodo irrisolto della sua politica» (F. Cardini: "Una
riflessione nel settantesimo dell'entrata dell'Italia in guerra").
Mussolini quindi, partendo da una geopolitica sostanzialmente antibritannica,
scelse giustamente di diventare junior partner della Germania proiettando in tal
modo l'approdo futuro della sua geopolitica in una prospettiva euroasiatica.
Nel contingente, come tutti gli junior partner, egli non poteva che augurarsi
che in Europa permanesse uno stato di equilibrio, senza dominatori assoluti ed
evitando il più possibile la guerra e così infatti si mosse a Locarno 1925,
Stresa 1935 e Monaco 1938, barcamenandosi poi, a guerra purtroppo iniziata
(settembre 1939), con la formula della "non belligeranza".
Quanto dovette pesargli quella politica, di fatto, di disimpegno dagli obblighi
previsti dal Patto d'acciaio e da quella "propaganda combattentistica" che il
fascismo aveva sempre propugnato, è risultato a tutti evidente. Ma non c'era
scelta.
A gennaio del 1940, in un rapporto inviato all'alleato tedesco, Mussolini cercò
di indurlo a preservare uno Stato polacco indipendente, quale ragionevole via di
uscita con gli anglo francesi, anche nel presupposto, scriveva con lungimiranza
il Duce, che gli Stati Uniti, in futuro, sarebbero sicuramente intervenuti, non
potendo consentire la sconfitta delle democrazie europee.
Oggi, a posteriori, sappiamo che questi intenti di Mussolini erano
irrealizzabili perché gli occidentali avevano un unico e pervicace scopo: la
liquidazione degli Stati fascisti e la disintegrazione dell'Europa (che
realizzeranno a Jalta) e per di più, dietro gli Occidentali c'erano le grandi
Consorterie internazionali che da tempo perseguivano quel dominio finanziario
mondiale, supportato da quella visione ideologica che oggi chiamiamo
"mondialismo".
La geopolitica di Hitler
Resta il fatto che Mussolini, oltre all'estendersi del conflitto, paventava
anche che inglesi e tedeschi si mettessero d'accordo tra loro su dimensioni
globali (cosa ben diversa da un accordo Europeo, auspicato anche dall'Italia,
che evitasse o che interrompesse il conflitto in corso).
In effetti la Germania di Hitler aveva una visione geopolitica classica, per
così dire semplice, finalizzata ad uno spazio ad Est, unico modo per una potenza
continentale di dominare il continente e garantirsi le fonti energetiche e
alimentari. In quest'ottica l'Italia era considerata un alleata indispensabile
per coprire il sud Europa ed in questo senso Hitler era anche disposto a
rinunciare all'Alto Adige (pomo di discordia con gli italiani).
Questa geopolitica però era complicata dalla visione pangermanica del Fueher,
oltretutto impostata su basi razziali e quindi confacente al popolo tedesco (e
sappiamo quante complicazioni questa visione razzista causò nei territori
occupati in Russia, ma sopratutto coltivava anche un sogno ambizioso, anzi un
fine preciso, quello di addivenire ad un accordo su larga scala con gli inglesi,
considerati "fratelli di razza": alla Germania il continente, all'Inghilterra
l'Impero, garantendogli anche i suoi punti strategici come Gibilterra, Suez,
Aden, Singapore, Hong Kong, Città del Capo e le Isole Falkland. Accordo che
Hitler perseguì fino all'ultimo contando sul fatto che l'apparire all'orizzonte
di due superpotenze planetarie, gli USA e l'URSS, assurte in pochissimo tempo al
rango di potenze talassocratiche (gli USA) o di genere misto (i sovietici), con
mire di dominio mondiale, costringesse l'Inghilterra a rivedere la sua
ricorrente politica, quella di attaccare e distruggere la nazione europea
emergente nel continente: da Luigi XIV, a Napoleone a Guglielmo II,
l'Inghilterra, nazione talassocratica, si era sempre mossa, e non poteva fare
diversamente, in questo senso: dividendo gli avversari, attaccandoli o
alleandosi con nazioni continentali o marittime (come l'Italia nella prima
guerra mondiale).
In questa situazione l'Italia, seppur alleata della Germania, qualora l'accordo
globale anglo tedesco, fosse andato in porto, avendo gli inglesi tutti i loro
interessi in opposizione ai nostri, tale accordo non poteva che essere contro
gli interessi italiani (è una legge storica inevitabile).
Si immagini quindi in quale difficile situazione venne a trovarsi Mussolini:
alleato della Germania non poteva che augurarsi il successo militare della
stessa, ma al tempo stesso che questo successo non fosse troppo eccessivo;
interessato alla pace in Europa, non poteva che sollecitare un accordo -
armistizio tra gli anglo francesi e i tedeschi, ma al tempo stesso che questo
"accordo" non fosse monopolio anglo tedesco e proiettato su scala planetaria;
dover essere presente nel teatro bellico, al fine di evitare l'esclusione
dell'Italia dalla definizione di quanto sopra, ma al tempo stesso non essere in
grado di affrontare una guerra di quella portata, e così via.
Il dramma di Mussolini
Questo il dramma che al tempo viveva il Duce, oltretutto a capo di una nazione
"riottosa" a certe scelte impegnative anche perché, erede del Risorgimento
massonico, aveva una industria, una finanza e buona parte di una cultura (tranne
quella cattolica) in sintonia con gli anglo francesi e si aggiungano poi gli
interessi non certo "italiani" di Casa Savoia e del Vaticano!
E le conseguenze di questa situazione si palesarono quasi subito, già
dall'autunno del 1940 quando Mussolini, dopo i primi rovesci dell'esercito
italiano, si trovò praticamente solo, a difendere gli interessi della nazione.
Basta leggere quanto egli ebbe a dire ad Hitler nel corso di un loro incontro
presso la "Tana del Lupo", nell'agosto del 1941 nel pieno dell'offensiva contro
la Russia.
In quell'occasione il Duce confidò al Führer che ne rimase sconvolto:
«Mi dica cosa farebbe lei se avesse degli ufficiali che hanno dei dubbi sul
regime e sulle sue ideologie… e che dicono, mentre lei parla della sua ideologia
o della ragion di Stato, che loro sono monarchici e che devono lealtà solo al
Re?».
Si spiega così il comportamento contraddittorio e ondivago di Mussolini durante
la non belligeranza e tutto il resto.
Proprio lo scorso aprile il bravissimo giornalista storico Fabio Andriola nel
corrente numero della rivista Storia in Rete ha pubblicato un articolo ("Dai
nemici mi salvi Dio che dagli amici mi guardo io") che mostra come Mussolini,
ancora in piena guerra, si premuniva anche rispetto ad una possibile aggressione
dei tedeschi (che aveva messo in conto e pur paventava) e comunque si teneva
circospetto ed ambiguo rispetto alla politica dell'Asse.
Una storia tutta da riscrivere e che dimostra come l' Asse era nella propaganda,
ma non nei fatti, ed in effetti se la geopolitica di Mussolini era
sostanzialmente antinglese, al contempo il Duce temeva l'affermarsi in Europa di
una egemonia tedesca e quindi agiva di conseguenza.
Andriola, infatti, ha rievocato lo "strano" (a dir poco) comportamento
dell'Italia, non solo durante il periodo della nostra non belligeranza, ma
addirittura fino al 1942 inoltrato, quando si procedeva alacremente a costruire
imponenti fortificazioni (confidenzialmente soprannominate la "linea non mi
fido") in Cadore, Carnia e al Tarvisio, a protezione dell'Italia da una
eventuale invasione tedesca.
Incredibilmente, mentre si combatteva una guerra a fianco della Germania, al
contempo l'Italia si premuniva e si attrezzava come se, prima o poi, dovesse far
fronte alla nazione amica.
Il gerarca Tullio Cianetti che andò in visita a quei cantieri, scrisse nel suo
diario che gli era venuto il dubbio se si stava lavorando per la guerra
dell'Asse oppure contro.
Cosa stava accadendo? Quali furono le conseguenze di questa politica dal "doppio
binario" che, per esempio, a dicembre del 1939, dopo il discorso di Ciano alla
Camera (ispirato da Mussolini), con il quale si presero le distanze dalle
ragioni di guerra dei tedeschi, rischiò seriamente di incrinare l'alleanza con
la Germania?
La risposa stava semplicemente in quella massima degli antichi romani, per cui:
« la salvezza della Patria è la legge suprema» e per le conseguenze purtroppo,
oggi possiamo dire che sono state nefaste.
La geopolitica e la ragion di Stato, spesso non vanno di pari passo con gli
ideali di partito (vale a dire che le similitudini ideologiche tra fascismo e
nazionalsocialismo non ebbero affatto un peso prevalente, ma questo non toglie
che, nella considerazione storica, che trascende i particolari e le contingenze,
in definitiva il 10 giugno 1940 fu proprio quello che affermarono gli ex
combattenti della FNCRSI in un loro volantino: «Il sangue contro l'oro; il
lavoro contro la speculazione e l'intrigo; schiavisti anglossassoni e sovietici
contro proletari che volevano i frutti del proprio lavoro»).
Scrive ancora Franco Cardini: «Quell'"Italia proletaria e fascista" evocata in
termini al tempo stesso tanto laconici e tanto retorici non veniva affatto
presentata come vittoriosa e potente. Al contrario: essa si metteva dalla parte
dei poveri, dei "dannati della terra", degli sfruttati. Dietro al Duce chiuso
nell'orbace dalle spalline dorate si profilava ancora e nonostante tutto l'ombra
del giovane Benito Mussolini agitatore socialista-interventista: la guerra
destinata a rovesciare i destini del mondo, a rovesciare i troni dei potenti e
ad esaltare il destino dei diseredati. Una guerra ch'era davvero la prosecuzione
di quella del '14-'18, il saldo dei conti ch'essa non aveva saputo chiudere, la
reazione contro gli inganni e le ingiustizie della "pace ingiusta" di
Versailles. Una guerra il conclamato scopo della quale era la rottura della
prigione geopolitica mediterranea che rinserrava una giovane potenza entro il
lago sorvegliato dalle due porte di Gibilterra e di Suez, saldamente in mano
britannica».
E venne la guerra
Arriviamo così alla guerra (1 settembre 1939), conflitto dove l'Italia non
poteva rimanere neutrale all'infinito senza rinunciare a tutto, anzi correndo
addirittura grossi rischi. Sia che prevalesse uno dei due contendenti e sia che,
invece, fossero addivenuti ad un accordo su larga scala l'Italia, senza aver
combattuto, avrebbe di colpo dovuto rinunciare a tutte le sue mire. Proseguendo
ed estendendosi il conflitto, invece, c'era anche il reale rischio che uno dei
contendenti, per ragioni strategico militari, poteva invadere la nostra penisola
ideale portaerei nel mediterraneo.
Mussolini procrastinò il nostro intervento fino all'impossibile, pur avendolo
definitivamente deciso a marzo 1940 come ampiamente documentato, ma
operativamente previsto, salvo sviluppi imprevisti del momento, all'incirca per
il settembre di quell'anno. Oltre sarebbe stato un suicidio.
Nel "Memoriale panoramico al Re" Mussolini scrisse il 31 marzo 1940:
«Se si avverrà la più improbabile delle eventualità, cioè una pace negoziata nei
prossimi mesi, l'Italia potrà, malgrado la sua non belligeranza, avere voce in
capitolo e non essere esclusa dalle negoziazioni: ma se la guerra continua
credere che l'Italia possa rimanere estranea fino alla fine. È assurdo e
impossibile. L'Italia non è accantonata in un angolo di Europa come la Spagna,
non è semiasiatica come la Russia, non è lontana dai teatri di operazione come
il Giappone o gli Stati Uniti; l'Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in
terra, quanto in mare,. Anche se l'Italia cambiasse atteggiamento e passasse
armi e bagagli ai franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra immediata con la
Germania, guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola. E' solo l'alleanza con
la Germania, cioè con uno Stato che non ha ancora bisogno del nostro concorso
militare e si contenta dei nostri aiuti economici e della nostra solidarietà
morale, che ci permette il nostro attuale stato di non belligeranza.... L'Italia
non può rimanere neutrale per tutta la guerra, senza dimissionare dal suo ruolo,
senza squalificarsi, senza ridursi al livello di un Svizzera moltiplicata per
dieci. Il problema non è quindi sapere se l'Italia entrerà in guerra o non
entrerà in guerra, perchè l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra.
Si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta di ritardare il più a
lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in
guerra: a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la
decisione; b) perchè l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè
spendere centinaia di miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente
belligeranti».
Quando a maggio la Francia, crollò inaspettatamente ed in quella misura poi, il
nostro intervento non poteva più essere rinviato perché i tedeschi, che dal 1938
erano arrivati al Brennero e si erano riaffacciati anche nell'Adriatico adesso,
spazzata via la Francia, minacciavano una ingerenza anche sul Tirreno, ponendo
in forse quegli equilibri che garantivano la nostra geopolitica sul continente
(anche in questo caso le leggi storiche dimostrano che alleanze ideologiche ed
eventuali accordi, da soli, senza esercitare una influenza sul territorio, non
sono mai una garanzia).
Dovevamo quindi entrare in guerra subito, pur senza forza economica e
finanziaria e con un esercito non all'altezza. Solo la marina avrebbe potuto
svolgere una sua parte (ma non lo fece).
Riassumiamo ora cosa accadde in quel periodo precedente la nostra entrata in
guerra.
Il criminale progetto di Churchill
Churchill fino a circa la metà del maggio 1940, nei suoi contatti segreti con il
Duce (la classica "diplomazia sotterranea" tipica di tutte le nazioni), ha
cercato di tenere l'Italia fuori della guerra, promettendo in cambio ampie
concessioni territoriali a spese della Francia (e poi consenziente la Francia
stessa, quando cominciò a trovarsi in difficoltà). E anche questo è abbastanza
documentato.
Ma non è tutto, perché poi la situazione internazionale e militare precipitò in
pochi giorni, quando, a causa dell'improvviso e imprevisto crollo militare dei
francesi Churchill sostenuto, sull'asse Londra - New York, da certe Consorterie
guerrafondaie, si trovò nella necessità di fronteggiare un eventuale assalto
delle correnti pacifiste che potevano ritenere vantaggiose le generose offerte
di pace avanzate da Hitler, anzi consideravano ora opportuno conseguire
quell'"accordo globale" anglo tedesco, che Hitler aveva sempre prospettato.
Pertanto adesso (siamo ai primi di giugno '40) in attesa di un sicuro, ma ancora
lontano nel tempo, intervento americano, Churchill aveva la assoluta necessità
di allargare il teatro bellico e rendere la guerra irreversibili. Era una
strategia, nella sua ottica guerrafondaia, rischiosa, ma necessaria, una
strategia che lo portò a massacrare la flotta francese a Mars el Kebir i primi
di luglio, anche al fine di mandare un messaggio di "guerra a oltranza" ad
Hitler e, prima ancora, di giocare di furbizia e d'audacia con Mussolini,
invitandolo a scendere subito in guerra (sia pure contro gli inglesi),
proponendo un accordo a "non farsi troppo male" (cosa che in effetti è avvenuta
nei primi tempi) in vista di un garantito prossimo tavolo della pace dove
l'Italia, sostenne probabilmente e in mala fede Churchill, avrebbe avuto tutto
da guadagnare e la sua presenza sarebbe stata anche utile per gli stessi
inglesi.
Oltretutto Churchill sapeva benissimo che oramai Mussolini non poteva più
rimanere neutrale, quindi tanto valeva che egli "mediasse" in qualche modo il
nostro inevitabile intervento.
Non è azzardato ipotizzare che le basi di questa "intesa a non farsi troppo
male" erano un estensione bellica di un altra intesa che già era avvenuta alla
vigilia della seconda guerra mondiale, quando, intorno al 28 agosto 1939,
Mussolini ebbe ad inviare questo telegramma segreto al Re:
«Desidero Maestà, nell'attesa di mandarvi tutto l'epistolario scambiato con il
Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l'Italia si limiterà almeno nella
prima fase del conflitto ad un atteggiamento puramente dimostrativo. Francesi e
inglesi ci hanno fatto sapere che faranno altrettanto».
Questo è il "terribile segreto" del Carteggio, ovvero Churchill che aveva
chiesto e ottenuto, il nostro intervento in guerra!
Lo si evince chiaramente dalla lettura delle intercettazioni telefoniche ed
epistolari carpite di nascosto dai tedeschi su Mussolini, i cui contenuti
mostrano l'enorme l'importanza del "Carteggio" e l'intenzione del Duce di
utilizzarlo nell'interesse nazionale. Vale per tutti questa registrazione tra
Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini):
«... lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo
rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti
accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato
con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta
questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono cinque
persone!» (per il contenuto e la grande importanza che rivestono queste
intercettazioni si veda: R. Lazzero: "Il sacco d'Italia", Mondatori 1994).
In sostanza Mussolini, non è che dovette credere a tutte le sciocchezze del
britannico (tra l'altro non poteva ignorare che ad un eventuale "tavolo della
pace" gli inglesi non avevano di certo bisogno del nostro appoggio per mitigare
Hitler anzi, l'Italia addirittura, con i suoi interessi in contrasto con quelli
inglesi sarebbe stata un ulteriore carico su la Gran Bretagna), ma si trovava
nella tremenda situazione di dover ora e subito entrare in guerra. Una guerra
che, è bene ripeterlo, non rifiutava per principio, ma paventava per la nostra
debolezza.
In questa prospettiva, il Duce non si lasciò sfuggire l'occasione della proposta
segreta, chiamiamola di "accordo" transitorio, che gli avanzava Churchill e che
apparentemente gli consentiva di ottenere il massimo rischiando pochissimo.
Il tutto probabilmente venne formalizzato, pochi giorni prima del nostro
intervento del 10 giugno 1940, forse in un paio di lettere che Mussolini, come
attesta Elena Curti, portava indosso al momento che venne catturato a Dongo. Due
altre valige invece contenevano un Carteggio precedente alla nostra entrata in
guerra, probabilmente si trattava di quei 62 fogli che in qualche modo riuscì a
leggere Luigi Carissimi-Priori, al tempo a capo dell'ufficio politico della
questura di Como. Ovviamente sparì tutto (vedesi: "Nuova Storia Contemporanea"
N. 5 del 2004, e R. Festorazzi "Mussolini Churchill Le carte segrete" Datanews
1998).
Quella tra Mussolini e Churchill, quindi, fu più che altro una "intesa" resa
possibile dalla inconfessata esigenza inglese di allargare il teatro bellico e
dalla reale necessità italiana di scendere in guerra facendo finta di farla. Di
fatto una convergenza di interessi. Il do ut des, di questa intesa è più che
altro qui, ed eventuali offerte di future concessioni all'Italia (che in qualche
modo non mancavano) sono del tutto secondarie, anche perché avrebbero dovuto
fare i conti con la Germania.
Mussolini oltretutto non si preoccupò di fare il gioco degli inglesi, perché il
suo interesse era quello che dalla guerra non uscisse fuori un vincitore
assoluto.
Comunque, come sappiamo, l'Italia scese effettivamente in guerra senza impartire
direttive strategiche offensive, in pratica facendo purtroppo il gioco in
malafede di Churchill. Scrisse Dino Campini, già segretario del ministro RSI C.
Biggini: «Se i fatti consentono interpretazioni, se è valida la catena delle
cause e degli effetti, si deve ammettere che l'Italia cominciò la guerra non per
farla, ma soltanto per inserirsi in un gioco politico» (D. Campini, Piazzale
Loreto, Il Conciliatore 1972).
La guerra parallela
Ma anche successivamente, almeno fino al 1942, la strategia bellica italiana,
benchè non più condizionata dall'accordo segreto del "Carteggio", seguì una sua
linea, quella della guerra parallela, logica e consequenziale, in considerazione
delle nostri esigenze geopolitiche, ma decisamente nefasta per le sorti della
guerra (in particolare a causa del nostro intervento in Grecia).
Quel che accadde nel teatro bellico (o meglio "non accadde"), in quei giorni del
giugno 1940, lasciò sconcertato anche Hitler il quale, seppur dimentico che
anche lui, pochi giorni prima e per analoghe ragioni geopolitiche, di fatto,
aveva risparmiato quasi 350.000 uomini del contingente inglese a Dunkerque, così
osservò con il suo addetto militare a Roma che lo ha poi ricordato:
«Quando il Duce gli aveva dichiarato di non poter ritardare l'annuncio della sua
entrata in guerra a una data posteriore all'11 giugno, lui aveva creduto che
l'Italia avesse preparato un'azione fulminea contro la Corsica, Tunisi o Malta e
che il segreto militare ne impedisse naturalmente un rinvio. Di conseguenza,
dopo il discorso di Piazza Venezia, gli era sembrato logico aspettarsi che
accadesse qualcosa. Invece, nessuno si era mosso. Questo, aveva concluso il
Führer, gli aveva ricordato ciò che accadeva nel Medio Evo, quando le città si
scambiavano messaggi di sfida e tutto finiva lì" (S. Corvaja: Mussolini nella
tana del lupo, Ed. Dall'Oglio, 1982).
Ma di questa, "strana", situazione e delle sue conseguenze, Hitler ebbe a
tornarci su con delle considerazioni nelle sue note segrete a febbraio del 1945,
considerazioni che fanno anche capire
meglio quelli che erano stati gli interessi di Churchill a spingere l'Italia in
guerra:
«Ah, se gli italiani fossero rimasti fuori dalla guerra!. Se fossero rimasti in
stato di non belligeranza.! Gli stessi alleati si sarebbero rallegrati, perchè
seppur non avevano un opinione molto elevata della potenza militare dell'Italia,
non potevano immaginare una tale debolezza da parte di quest'ultima. Avrebbero
considerato un guadagno la neutralizzazione della forza che le attribuivano. Ma
siccome non potevano darle fiducia, ciò li avrebbe obbligati a immobilizzare
numerose truppe in prossimità dei suoi confini, al fine di evitare il rischio di
un intervento sempre minaccioso, sempre possibile, se non probabile. Questo
significava, per noi, soldati britannici immobilizzati, i quali non avrebbero
fatto né l'esperienza della guerra né quella della vittoria-insomma una sorta di
"strana guerra" che si sarebbe prolungata a nostro esclusivo vantaggio» (A.
Hitler: Ultimi discorsi, Ed. di AR, 1988).
Oltre al testo base di Renzo De Felice: "Mussolini l'alleato, L'Italia in
guerra. 1940-'43", Einaudi, 1990, ci sono tre testi, importantissimi che, a
saperli leggere, mostrano molto bene lo strano comportamento militare italiano
nel primo mese di guerra e il "segreto del Carteggio".
Questi testi sono: Dino Campini, "Strano gioco di Mussolini", Editoriale PG -
Milano 1952; Franco Bandini "Tecnica della sconfitta", Sugar 1963 e Longanesi
1969; e Pietro Sella "L'occidente contro l'Europa", Ed, Uomo Libero 1985.
Per concludere occorre aggiungere che Churchill, oramai coinvolta l'Italia nel
conflitto, gettò ben presto la maschera e Mussolini dovette capirlo subito
perché, come documentazioni ci attestano, già i primi di luglio '40, cominciò a
tempestare Badoglio invitandolo a spronare Balbo in Libia (e poi, alla morte di
questi, Graziani) affinchè sferrasse un offensiva decisiva verso l'Egitto e lo
stesso fece con Supermarina perché intraprendesse qualche azione di rilievo nel
mediterraneo.
Tutto fu inutile perché, accordo o non accordo, in Italia, a cominciare dal Re,
da Badoglio e da Supermarina (e anche da certe gerarchie del fascismo, come per
esempio i filo "occidentali" Grandi e Ciano), ben pochi avevano la voglia di
fare la guerra sul serio agli inglesi, ma questo è un altro discorso.
A fine aprile Mussolini, di fatto abbandonato dai comandanti fascisti desiderosi
di arrendersi al più presto agli Alleati e magari riciclarsi nel dopoguerra come
anticomunisti e antisovietici, si trovò inevitabilmente a passare in un crocevia
di morte:
Morto lo volevano gli inglesi, per nascondere l'intesa con Churchill, una intesa
che una volta svelata, avrebbe rivoltato tutta l'interpretazione storiografia
della seconda guerra mondiale, squalificato il britannico agli occhi del mondo e
complicato la politica internazionale degli inglesi soprattutto rispetto alla
Jugoslavia di Tito.
Morto lo volevano gli americani, come ben sappiamo da una registrazione
telefonica intercontinentale tra Churchill e Roosevelt del 29 luglio 1943, e
questo nonostante che apparentemente e ufficialmente, gli americani dicevano, ma
non facevano niente!, di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo.
Morto lo volevano i comunisti, che non muovevano foglia che Stalin non voglia, e
sappiamo bene come Stalin voleva tenere nascoste certe "intese segrete" con
l'Italia del ventennio, risalenti fin dal 1924 e che, praticamente, preservarono
il nostro paese da attentati delle cellule comuniste (gli unici attentati furono
quelli dei massoni e di Giustizia e Libertà), ma anche si voleva nascondere
certi contatti, avvenuti nel primo semestre del 1943, quando l'Italia e l'URSS
si trovarono concordi a sondare le possibilità di far uscire i sovietici dalla
guerra.
Morto lo voleva il Re che paventava che venissero fuori le sue responsabilità
nella guerra, che lui aveva condiviso, eccome!, l'"intesa" con Churchill (il Re
era sicuramente una di quelle 5 persone, indicate da Mussolini e al corrente
degli accordi con il britannico).
Morto infine non dispiaceva neppure ai tedeschi di Wolff, che lo avevano tradito
con la loro ignobile resa.
Ci meravigliamo che finì a Piazzale Loreto?
Maurizio Barozzi
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