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10 giungo 1940: le vere motivazioni della guerra italiana

La guerra del sangue contro l'oro

Maurizio Barozzi     

 

Risalire oggi, a 70 anni dal 10 giugno 1940, alle vere motivazioni dell'entrata in guerra dell'Italia, dopo che le potenze Alleate hanno sequestrato i nostri archivi di Stato e militari, mentre al contempo non hanno reso accessibili i propri, non è certo un compito agevole.
Oltretutto si è anche costretti a lavorare a fronte di una "storiografia di parte" che cerca di presentare la seconda guerra mondiale come il risultato dei sogni di dominio mondiale della Germania hitleriana quando, viceversa, è indubbio che se Hitler giocò con il fuoco, portando il punto di crisi in Europa fino alle soglie della guerra, sperando che gli anglo francesi, dopo il patto Molotov-Ribentropp (che gli copriva le spalle), alla fin fine gli avrebbero lasciato campo libero con i polacchi, è altrettanto vero che furono invece le "democrazie occidentali", forti di un futuro appoggio statunitense, che dopo aver conseguito con la prudente politica dell'appeasement, il tempo necessario per un riarmo bellico, fecero soffiare i venti di guerra usando la Polonia e puntando decisamente allo scontro.
Partendo da questo presupposto, palesemente sottaciuto, ma storicamente inoppugnabile (già solo considerando la limitata struttura "continentale" delle FF.AA. tedesche), occorre tener presente che qualunque analisi storica che voglia risalire alle cause di un conflitto di portata mondiale, deve trovare in qualche modo conferma nelle grandi linee geopolitiche della Storia.
Se infatti potiamo lo sguardo oltre i particolari contingenti, dalle ideologie, dagli interessi economici divergenti, ecc., troveremo che il "motore" della Storia è quello della geopolitica, laddove Stati e Nazioni si dividono, si scontrano, e si compattano dietro i grandi interessi geopolitici, gli unici che possono garantire nel tempo lo sviluppo futuro e la sicurezza militare ai poli antagonisti della terra: le realtà continentali e quelle talassocratiche.
Valutazione questa, assolutamente vera per il passato, forse un po' meno vera da quando, nel secolo XX, un secolo dagli enormi progressi soprattutto nel campo dei trasporti e delle comunicazioni che hanno "globalizzato" le economie e le culture del pianeta, sono entrate pesantemente in gioco Lobby e Consorterie transnazionali, tendenti al dominio mondiale svincolato da un riferimento etnico e geografico, perché forti di una potenza finanziaria cosmopolita mai vista in passato.
In ogni caso la corrispondenza tra gli sviluppi e le tendenze militari, economiche ed ideologiche e la geopolitica resta sempre un presupposto irrinunciabile per avere la controprova della giustezza delle analisi storiche. Ed è appunto su questi presupposti che cercheremo di spiegare molti aspetti oscuri della nostra partecipazione alla guerra.
Come noto l'Italia entrò in guerra con una formula, coniata da Mussolini, di "guerra parallela", quindi sostanzialmente sganciata dalle strategie dei tedeschi (questa la formula che il Duce ebbe anche ad illustrare al Re: «non per la Germania, né con la Germania, ma a fianco della Germania»).
L'evidente "accordo" che poi, come vedremo, intercorse all'ultimo momento tra Mussolini e Churchill (accordo nascosto nel famoso "Carteggio" fatto sparire dal britannico) che determinò un inizio blando delle nostre operazioni belliche, ha fatto avanzare da molti il sospetto che tutto sommato, l'entrata in guerra di Mussolini era, paradossalmente, più contro la Germania che contro l'Inghilterra e del resto, svariate esternazioni del Duce farebbero sospettare anche l'ipotesi di un Mussolini "segreto nemico" di Hitler. In realtà, che Mussolini possa essere stato un "segreto nemico di Hitler" è una forzatura interpretativa di alcuni fatti, analizzati senza conoscere i retroscena geopolitici, perché le cose non stanno affatto in questi termini.
Vero invece che l'Italia giocò le sue carte strategiche indipendentemente dagli interessi tedeschi e Mussolini aderì all'ultimo momento alle "proposte segrete" di Churchill, non per sabotare la guerra tedesca, anche se poi in effetti ne derivò un danno per una possibile vittoria, ma semplicemente perché quell'intesa sembrava risolvere di colpo tutti i nostri problemi.
La strategia geopolitica di Mussolini, infatti, restò sempre, nonostante gli alti e bassi di una difficile alleanza tra partner di sbilanciata potenzialità economica e militare, una geopolitica antibritannica, e non poteva essere diversamente mantenendosi, al contempo, distinta e guardinga nei confronti dei tedeschi.
Oggi, finalmente, gli storici stanno, a poco a poco, arrivando a individuare i veri contenuti del Carteggio Churchill Mussolini, tranne che, magari, ancora non possono dire certe cose con chiarezza (non si fa carriera, divergendo troppo dalle linee ideologiche che sono alla base del "regime"). Per le vicende del "Carteggio", comunque, ci sono due testi che bisogna assolutamente conoscere e ai quali rimandiamo: F. Andriola: "Mussolini Churchill il carteggio segreto", SugarCo 2007 e U. Giuliani Balestrino: "Il carteggio Churchill Mussolini alla luce del processo Guareschi", Ed. Settimo Sigillo 2010.
In realtà, quello che avvenne tra il Duce e Churchill, a livello di diplomazia sotterranea, più
che un "accordo" fu un reciproco stato di necessità proprio al momento della nostra entrata in guerra.

La geopolitica di Mussolini
Tutto scaturisce dalla nostra situazione storica e geopolitica, laddove è noto che Mussolini lavorava per elevare l'Italia al rango di una piccola - media potenza nel Sud Europa, trovando la soluzione demografica e degli approvvigionamenti di materie prime (atavica nostra deficienza strutturale) nelle colonie africane.
Il dramma era che la nostra geopolitica non poteva che essere espressione di una potenza marittima, ma contemporaneamente con uno sguardo al continente: insulare e peninsulare. Il che per una nazione economicamente debole, priva di risorse energetiche e militarmente scarsa e per di più con l'Africa settentrionale scollegata, era un vero e proprio dramma. Ma il dramma più grosso era l'irriducibile avversione degli inglesi.
Fotografando la situazione, così si espresse Mussolini con il suo medico Georg Zachariae: «L'Inghilterra [che] ha molti interessi nel mediterraneo, quale via di comunicazione con l'Egitto e l'India, era invidiosa dell'influenza che l'Italia andava prendendo nel bacino mediterraneo, nei Balcani, nel vicino Oriente e in Africa. L'ostilità britannica non poteva certo farmi desistere dai miei piani, perché tanto valeva che me ne andassi abbandonando l'Italia al suo destino».
Scrive oggi Franco Cardini, riassumendo perfettamente la situazione del tempo:
«Se si considera che l'Italia unitaria era stata fondata, ottant'anni prima di allora, con l'appoggio non disinteressato di una Francia prima e di un'Inghilterra poi che ambivano a piazzare le loro pedine commerciali e portuali in una penisola che, con l'apertura del canale di Suez, sarebbe divenuta un molo mediterraneo importante sulla via degli oceani, l'entrata in guerra del '40 acquista una prospettiva sulla quale di solito non si riflette: quella della definitiva liberazione del paese da un ruolo subalterno nel panorama politico europeo. Il tragico era che tale disegno era destinato a inquadrarsi nel contesto del profilarsi di una subordinazione ancora più forte e tragica: quella alla Germania nazista. Qui l'abile giocoliere Mussolini, che aveva avuto fino ad allora la fortuna e l'abilità di costruire il mito della potenza italiana su una serie di colpi di mano e di bluff ben giocati -l'ultimo dei quali era quello di mediatore degli accordi di Monaco del '38-, si trovava adesso a doversi confrontare con il vero nodo irrisolto della sua politica» (F. Cardini: "Una riflessione nel settantesimo dell'entrata dell'Italia in guerra").
Mussolini quindi, partendo da una geopolitica sostanzialmente antibritannica, scelse giustamente di diventare junior partner della Germania proiettando in tal modo l'approdo futuro della sua geopolitica in una prospettiva euroasiatica.
Nel contingente, come tutti gli junior partner, egli non poteva che augurarsi che in Europa permanesse uno stato di equilibrio, senza dominatori assoluti ed evitando il più possibile la guerra e così infatti si mosse a Locarno 1925, Stresa 1935 e Monaco 1938, barcamenandosi poi, a guerra purtroppo iniziata (settembre 1939), con la formula della "non belligeranza".
Quanto dovette pesargli quella politica, di fatto, di disimpegno dagli obblighi previsti dal Patto d'acciaio e da quella "propaganda combattentistica" che il fascismo aveva sempre propugnato, è risultato a tutti evidente. Ma non c'era scelta.
A gennaio del 1940, in un rapporto inviato all'alleato tedesco, Mussolini cercò di indurlo a preservare uno Stato polacco indipendente, quale ragionevole via di uscita con gli anglo francesi, anche nel presupposto, scriveva con lungimiranza il Duce, che gli Stati Uniti, in futuro, sarebbero sicuramente intervenuti, non potendo consentire la sconfitta delle democrazie europee.
Oggi, a posteriori, sappiamo che questi intenti di Mussolini erano irrealizzabili perché gli occidentali avevano un unico e pervicace scopo: la liquidazione degli Stati fascisti e la disintegrazione dell'Europa (che realizzeranno a Jalta) e per di più, dietro gli Occidentali c'erano le grandi Consorterie internazionali che da tempo perseguivano quel dominio finanziario mondiale, supportato da quella visione ideologica che oggi chiamiamo "mondialismo".

La geopolitica di Hitler
Resta il fatto che Mussolini, oltre all'estendersi del conflitto, paventava anche che inglesi e tedeschi si mettessero d'accordo tra loro su dimensioni globali (cosa ben diversa da un accordo Europeo, auspicato anche dall'Italia, che evitasse o che interrompesse il conflitto in corso).
In effetti la Germania di Hitler aveva una visione geopolitica classica, per così dire semplice, finalizzata ad uno spazio ad Est, unico modo per una potenza continentale di dominare il continente e garantirsi le fonti energetiche e alimentari. In quest'ottica l'Italia era considerata un alleata indispensabile per coprire il sud Europa ed in questo senso Hitler era anche disposto a rinunciare all'Alto Adige (pomo di discordia con gli italiani).
Questa geopolitica però era complicata dalla visione pangermanica del Fueher, oltretutto impostata su basi razziali e quindi confacente al popolo tedesco (e sappiamo quante complicazioni questa visione razzista causò nei territori occupati in Russia, ma sopratutto coltivava anche un sogno ambizioso, anzi un fine preciso, quello di addivenire ad un accordo su larga scala con gli inglesi, considerati "fratelli di razza": alla Germania il continente, all'Inghilterra l'Impero, garantendogli anche i suoi punti strategici come Gibilterra, Suez, Aden, Singapore, Hong Kong, Città del Capo e le Isole Falkland. Accordo che Hitler perseguì fino all'ultimo contando sul fatto che l'apparire all'orizzonte di due superpotenze planetarie, gli USA e l'URSS, assurte in pochissimo tempo al rango di potenze talassocratiche (gli USA) o di genere misto (i sovietici), con mire di dominio mondiale, costringesse l'Inghilterra a rivedere la sua ricorrente politica, quella di attaccare e distruggere la nazione europea emergente nel continente: da Luigi XIV, a Napoleone a Guglielmo II, l'Inghilterra, nazione talassocratica, si era sempre mossa, e non poteva fare diversamente, in questo senso: dividendo gli avversari, attaccandoli o alleandosi con nazioni continentali o marittime (come l'Italia nella prima guerra mondiale).
In questa situazione l'Italia, seppur alleata della Germania, qualora l'accordo globale anglo tedesco, fosse andato in porto, avendo gli inglesi tutti i loro interessi in opposizione ai nostri, tale accordo non poteva che essere contro gli interessi italiani (è una legge storica inevitabile).
Si immagini quindi in quale difficile situazione venne a trovarsi Mussolini: alleato della Germania non poteva che augurarsi il successo militare della stessa, ma al tempo stesso che questo successo non fosse troppo eccessivo; interessato alla pace in Europa, non poteva che sollecitare un accordo - armistizio tra gli anglo francesi e i tedeschi, ma al tempo stesso che questo "accordo" non fosse monopolio anglo tedesco e proiettato su scala planetaria; dover essere presente nel teatro bellico, al fine di evitare l'esclusione dell'Italia dalla definizione di quanto sopra, ma al tempo stesso non essere in grado di affrontare una guerra di quella portata, e così via.

Il dramma di Mussolini
Questo il dramma che al tempo viveva il Duce, oltretutto a capo di una nazione "riottosa" a certe scelte impegnative anche perché, erede del Risorgimento massonico, aveva una industria, una finanza e buona parte di una cultura (tranne quella cattolica) in sintonia con gli anglo francesi e si aggiungano poi gli interessi non certo "italiani" di Casa Savoia e del Vaticano!
E le conseguenze di questa situazione si palesarono quasi subito, già dall'autunno del 1940 quando Mussolini, dopo i primi rovesci dell'esercito italiano, si trovò praticamente solo, a difendere gli interessi della nazione. Basta leggere quanto egli ebbe a dire ad Hitler nel corso di un loro incontro presso la "Tana del Lupo", nell'agosto del 1941 nel pieno dell'offensiva contro la Russia.
In quell'occasione il Duce confidò al Führer che ne rimase sconvolto:
«Mi dica cosa farebbe lei se avesse degli ufficiali che hanno dei dubbi sul regime e sulle sue ideologie… e che dicono, mentre lei parla della sua ideologia o della ragion di Stato, che loro sono monarchici e che devono lealtà solo al Re?».
Si spiega così il comportamento contraddittorio e ondivago di Mussolini durante la non belligeranza e tutto il resto.
Proprio lo scorso aprile il bravissimo giornalista storico Fabio Andriola nel corrente numero della rivista Storia in Rete ha pubblicato un articolo ("Dai nemici mi salvi Dio che dagli amici mi guardo io") che mostra come Mussolini, ancora in piena guerra, si premuniva anche rispetto ad una possibile aggressione dei tedeschi (che aveva messo in conto e pur paventava) e comunque si teneva circospetto ed ambiguo rispetto alla politica dell'Asse.
Una storia tutta da riscrivere e che dimostra come l' Asse era nella propaganda, ma non nei fatti, ed in effetti se la geopolitica di Mussolini era sostanzialmente antinglese, al contempo il Duce temeva l'affermarsi in Europa di una egemonia tedesca e quindi agiva di conseguenza.
Andriola, infatti, ha rievocato lo "strano" (a dir poco) comportamento dell'Italia, non solo durante il periodo della nostra non belligeranza, ma addirittura fino al 1942 inoltrato, quando si procedeva alacremente a costruire imponenti fortificazioni (confidenzialmente soprannominate la "linea non mi fido") in Cadore, Carnia e al Tarvisio, a protezione dell'Italia da una eventuale invasione tedesca.
Incredibilmente, mentre si combatteva una guerra a fianco della Germania, al contempo l'Italia si premuniva e si attrezzava come se, prima o poi, dovesse far fronte alla nazione amica.
Il gerarca Tullio Cianetti che andò in visita a quei cantieri, scrisse nel suo diario che gli era venuto il dubbio se si stava lavorando per la guerra dell'Asse oppure contro.
Cosa stava accadendo? Quali furono le conseguenze di questa politica dal "doppio binario" che, per esempio, a dicembre del 1939, dopo il discorso di Ciano alla Camera (ispirato da Mussolini), con il quale si presero le distanze dalle ragioni di guerra dei tedeschi, rischiò seriamente di incrinare l'alleanza con la Germania?
La risposa stava semplicemente in quella massima degli antichi romani, per cui: « la salvezza della Patria è la legge suprema» e per le conseguenze purtroppo, oggi possiamo dire che sono state nefaste.
La geopolitica e la ragion di Stato, spesso non vanno di pari passo con gli ideali di partito (vale a dire che le similitudini ideologiche tra fascismo e nazionalsocialismo non ebbero affatto un peso prevalente, ma questo non toglie che, nella considerazione storica, che trascende i particolari e le contingenze, in definitiva il 10 giugno 1940 fu proprio quello che affermarono gli ex combattenti della FNCRSI in un loro volantino: «Il sangue contro l'oro; il lavoro contro la speculazione e l'intrigo; schiavisti anglossassoni e sovietici contro proletari che volevano i frutti del proprio lavoro»).
Scrive ancora Franco Cardini: «Quell'"Italia proletaria e fascista" evocata in termini al tempo stesso tanto laconici e tanto retorici non veniva affatto presentata come vittoriosa e potente. Al contrario: essa si metteva dalla parte dei poveri, dei "dannati della terra", degli sfruttati. Dietro al Duce chiuso nell'orbace dalle spalline dorate si profilava ancora e nonostante tutto l'ombra del giovane Benito Mussolini agitatore socialista-interventista: la guerra destinata a rovesciare i destini del mondo, a rovesciare i troni dei potenti e ad esaltare il destino dei diseredati. Una guerra ch'era davvero la prosecuzione di quella del '14-'18, il saldo dei conti ch'essa non aveva saputo chiudere, la reazione contro gli inganni e le ingiustizie della "pace ingiusta" di Versailles. Una guerra il conclamato scopo della quale era la rottura della prigione geopolitica mediterranea che rinserrava una giovane potenza entro il lago sorvegliato dalle due porte di Gibilterra e di Suez, saldamente in mano britannica».

E venne la guerra
Arriviamo così alla guerra (1 settembre 1939), conflitto dove l'Italia non poteva rimanere neutrale all'infinito senza rinunciare a tutto, anzi correndo addirittura grossi rischi. Sia che prevalesse uno dei due contendenti e sia che, invece, fossero addivenuti ad un accordo su larga scala l'Italia, senza aver combattuto, avrebbe di colpo dovuto rinunciare a tutte le sue mire. Proseguendo ed estendendosi il conflitto, invece, c'era anche il reale rischio che uno dei contendenti, per ragioni strategico militari, poteva invadere la nostra penisola ideale portaerei nel mediterraneo.
Mussolini procrastinò il nostro intervento fino all'impossibile, pur avendolo definitivamente deciso a marzo 1940 come ampiamente documentato, ma operativamente previsto, salvo sviluppi imprevisti del momento, all'incirca per il settembre di quell'anno. Oltre sarebbe stato un suicidio.
Nel "Memoriale panoramico al Re" Mussolini scrisse il 31 marzo 1940:
«Se si avverrà la più improbabile delle eventualità, cioè una pace negoziata nei prossimi mesi, l'Italia potrà, malgrado la sua non belligeranza, avere voce in capitolo e non essere esclusa dalle negoziazioni: ma se la guerra continua credere che l'Italia possa rimanere estranea fino alla fine. È assurdo e impossibile. L'Italia non è accantonata in un angolo di Europa come la Spagna, non è semiasiatica come la Russia, non è lontana dai teatri di operazione come il Giappone o gli Stati Uniti; l'Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra, quanto in mare,. Anche se l'Italia cambiasse atteggiamento e passasse armi e bagagli ai franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra immediata con la Germania, guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola. E' solo l'alleanza con la Germania, cioè con uno Stato che non ha ancora bisogno del nostro concorso militare e si contenta dei nostri aiuti economici e della nostra solidarietà morale, che ci permette il nostro attuale stato di non belligeranza.... L'Italia non può rimanere neutrale per tutta la guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza squalificarsi, senza ridursi al livello di un Svizzera moltiplicata per dieci. Il problema non è quindi sapere se l'Italia entrerà in guerra o non entrerà in guerra, perchè l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra. Si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta di ritardare il più a lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra: a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la decisione; b) perchè l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti».
Quando a maggio la Francia, crollò inaspettatamente ed in quella misura poi, il nostro intervento non poteva più essere rinviato perché i tedeschi, che dal 1938 erano arrivati al Brennero e si erano riaffacciati anche nell'Adriatico adesso, spazzata via la Francia, minacciavano una ingerenza anche sul Tirreno, ponendo in forse quegli equilibri che garantivano la nostra geopolitica sul continente (anche in questo caso le leggi storiche dimostrano che alleanze ideologiche ed eventuali accordi, da soli, senza esercitare una influenza sul territorio, non sono mai una garanzia).
Dovevamo quindi entrare in guerra subito, pur senza forza economica e finanziaria e con un esercito non all'altezza. Solo la marina avrebbe potuto svolgere una sua parte (ma non lo fece).
Riassumiamo ora cosa accadde in quel periodo precedente la nostra entrata in guerra.

Il criminale progetto di Churchill
Churchill fino a circa la metà del maggio 1940, nei suoi contatti segreti con il Duce (la classica "diplomazia sotterranea" tipica di tutte le nazioni), ha cercato di tenere l'Italia fuori della guerra, promettendo in cambio ampie concessioni territoriali a spese della Francia (e poi consenziente la Francia stessa, quando cominciò a trovarsi in difficoltà). E anche questo è abbastanza documentato.
Ma non è tutto, perché poi la situazione internazionale e militare precipitò in pochi giorni, quando, a causa dell'improvviso e imprevisto crollo militare dei francesi Churchill sostenuto, sull'asse Londra - New York, da certe Consorterie guerrafondaie, si trovò nella necessità di fronteggiare un eventuale assalto delle correnti pacifiste che potevano ritenere vantaggiose le generose offerte di pace avanzate da Hitler, anzi consideravano ora opportuno conseguire quell'"accordo globale" anglo tedesco, che Hitler aveva sempre prospettato.
Pertanto adesso (siamo ai primi di giugno '40) in attesa di un sicuro, ma ancora lontano nel tempo, intervento americano, Churchill aveva la assoluta necessità di allargare il teatro bellico e rendere la guerra irreversibili. Era una strategia, nella sua ottica guerrafondaia, rischiosa, ma necessaria, una strategia che lo portò a massacrare la flotta francese a Mars el Kebir i primi di luglio, anche al fine di mandare un messaggio di "guerra a oltranza" ad Hitler e, prima ancora, di giocare di furbizia e d'audacia con Mussolini, invitandolo a scendere subito in guerra (sia pure contro gli inglesi), proponendo un accordo a "non farsi troppo male" (cosa che in effetti è avvenuta nei primi tempi) in vista di un garantito prossimo tavolo della pace dove l'Italia, sostenne probabilmente e in mala fede Churchill, avrebbe avuto tutto da guadagnare e la sua presenza sarebbe stata anche utile per gli stessi inglesi.
Oltretutto Churchill sapeva benissimo che oramai Mussolini non poteva più rimanere neutrale, quindi tanto valeva che egli "mediasse" in qualche modo il nostro inevitabile intervento.
Non è azzardato ipotizzare che le basi di questa "intesa a non farsi troppo male" erano un estensione bellica di un altra intesa che già era avvenuta alla vigilia della seconda guerra mondiale, quando, intorno al 28 agosto 1939, Mussolini ebbe ad inviare questo telegramma segreto al Re:
«Desidero Maestà, nell'attesa di mandarvi tutto l'epistolario scambiato con il Führer, anticiparvene le conclusioni. E cioè l'Italia si limiterà almeno nella prima fase del conflitto ad un atteggiamento puramente dimostrativo. Francesi e inglesi ci hanno fatto sapere che faranno altrettanto».
Questo è il "terribile segreto" del Carteggio, ovvero Churchill che aveva chiesto e ottenuto, il nostro intervento in guerra!
Lo si evince chiaramente dalla lettura delle intercettazioni telefoniche ed epistolari carpite di nascosto dai tedeschi su Mussolini, i cui contenuti mostrano l'enorme l'importanza del "Carteggio" e l'intenzione del Duce di utilizzarlo nell'interesse nazionale. Vale per tutti questa registrazione tra Mussolini a Claretta Petacci del 22 marzo 1945 (si sta parlando di Pavolini):
«... lui non può capire la situazione, non può collaborare. Perciò io devo rispettare il suo punto di vista di parte. Lui non conosce gli avvenimenti accaduti pochi giorni prima della nostra entrata in guerra. Non ne ho parlato con nessuno. E Churchill ancora meno. Bisognerà raccontare una buona volta questa storia. Chi dovrebbe parlarne oggi? In tutto la conoscono cinque persone!» (per il contenuto e la grande importanza che rivestono queste intercettazioni si veda: R. Lazzero: "Il sacco d'Italia", Mondatori 1994).
In sostanza Mussolini, non è che dovette credere a tutte le sciocchezze del britannico (tra l'altro non poteva ignorare che ad un eventuale "tavolo della pace" gli inglesi non avevano di certo bisogno del nostro appoggio per mitigare Hitler anzi, l'Italia addirittura, con i suoi interessi in contrasto con quelli inglesi sarebbe stata un ulteriore carico su la Gran Bretagna), ma si trovava nella tremenda situazione di dover ora e subito entrare in guerra. Una guerra che, è bene ripeterlo, non rifiutava per principio, ma paventava per la nostra debolezza.
In questa prospettiva, il Duce non si lasciò sfuggire l'occasione della proposta segreta, chiamiamola di "accordo" transitorio, che gli avanzava Churchill e che apparentemente gli consentiva di ottenere il massimo rischiando pochissimo.
Il tutto probabilmente venne formalizzato, pochi giorni prima del nostro intervento del 10 giugno 1940, forse in un paio di lettere che Mussolini, come attesta Elena Curti, portava indosso al momento che venne catturato a Dongo. Due altre valige invece contenevano un Carteggio precedente alla nostra entrata in guerra, probabilmente si trattava di quei 62 fogli che in qualche modo riuscì a leggere Luigi Carissimi-Priori, al tempo a capo dell'ufficio politico della questura di Como. Ovviamente sparì tutto (vedesi: "Nuova Storia Contemporanea" N. 5 del 2004, e R. Festorazzi "Mussolini Churchill Le carte segrete" Datanews 1998).
Quella tra Mussolini e Churchill, quindi, fu più che altro una "intesa" resa possibile dalla inconfessata esigenza inglese di allargare il teatro bellico e dalla reale necessità italiana di scendere in guerra facendo finta di farla. Di fatto una convergenza di interessi. Il do ut des, di questa intesa è più che altro qui, ed eventuali offerte di future concessioni all'Italia (che in qualche modo non mancavano) sono del tutto secondarie, anche perché avrebbero dovuto fare i conti con la Germania.
Mussolini oltretutto non si preoccupò di fare il gioco degli inglesi, perché il suo interesse era quello che dalla guerra non uscisse fuori un vincitore assoluto.
Comunque, come sappiamo, l'Italia scese effettivamente in guerra senza impartire direttive strategiche offensive, in pratica facendo purtroppo il gioco in malafede di Churchill. Scrisse Dino Campini, già segretario del ministro RSI C. Biggini: «Se i fatti consentono interpretazioni, se è valida la catena delle cause e degli effetti, si deve ammettere che l'Italia cominciò la guerra non per farla, ma soltanto per inserirsi in un gioco politico» (D. Campini, Piazzale Loreto, Il Conciliatore 1972).

La guerra parallela
Ma anche successivamente, almeno fino al 1942, la strategia bellica italiana, benchè non più condizionata dall'accordo segreto del "Carteggio", seguì una sua linea, quella della guerra parallela, logica e consequenziale, in considerazione delle nostri esigenze geopolitiche, ma decisamente nefasta per le sorti della guerra (in particolare a causa del nostro intervento in Grecia).
Quel che accadde nel teatro bellico (o meglio "non accadde"), in quei giorni del giugno 1940, lasciò sconcertato anche Hitler il quale, seppur dimentico che anche lui, pochi giorni prima e per analoghe ragioni geopolitiche, di fatto, aveva risparmiato quasi 350.000 uomini del contingente inglese a Dunkerque, così osservò con il suo addetto militare a Roma che lo ha poi ricordato:
«Quando il Duce gli aveva dichiarato di non poter ritardare l'annuncio della sua entrata in guerra a una data posteriore all'11 giugno, lui aveva creduto che l'Italia avesse preparato un'azione fulminea contro la Corsica, Tunisi o Malta e che il segreto militare ne impedisse naturalmente un rinvio. Di conseguenza, dopo il discorso di Piazza Venezia, gli era sembrato logico aspettarsi che accadesse qualcosa. Invece, nessuno si era mosso. Questo, aveva concluso il Führer, gli aveva ricordato ciò che accadeva nel Medio Evo, quando le città si scambiavano messaggi di sfida e tutto finiva lì" (S. Corvaja: Mussolini nella tana del lupo, Ed. Dall'Oglio, 1982).
Ma di questa, "strana", situazione e delle sue conseguenze, Hitler ebbe a tornarci su con delle considerazioni nelle sue note segrete a febbraio del 1945, considerazioni che fanno anche capire
meglio quelli che erano stati gli interessi di Churchill a spingere l'Italia in guerra:
«Ah, se gli italiani fossero rimasti fuori dalla guerra!. Se fossero rimasti in stato di non belligeranza.! Gli stessi alleati si sarebbero rallegrati, perchè seppur non avevano un opinione molto elevata della potenza militare dell'Italia, non potevano immaginare una tale debolezza da parte di quest'ultima. Avrebbero considerato un guadagno la neutralizzazione della forza che le attribuivano. Ma siccome non potevano darle fiducia, ciò li avrebbe obbligati a immobilizzare numerose truppe in prossimità dei suoi confini, al fine di evitare il rischio di un intervento sempre minaccioso, sempre possibile, se non probabile. Questo significava, per noi, soldati britannici immobilizzati, i quali non avrebbero fatto né l'esperienza della guerra né quella della vittoria-insomma una sorta di "strana guerra" che si sarebbe prolungata a nostro esclusivo vantaggio» (A. Hitler: Ultimi discorsi, Ed. di AR, 1988).
Oltre al testo base di Renzo De Felice: "Mussolini l'alleato, L'Italia in guerra. 1940-'43", Einaudi, 1990, ci sono tre testi, importantissimi che, a saperli leggere, mostrano molto bene lo strano comportamento militare italiano nel primo mese di guerra e il "segreto del Carteggio".
Questi testi sono: Dino Campini, "Strano gioco di Mussolini", Editoriale PG - Milano 1952; Franco Bandini "Tecnica della sconfitta", Sugar 1963 e Longanesi 1969; e Pietro Sella "L'occidente contro l'Europa", Ed, Uomo Libero 1985.
Per concludere occorre aggiungere che Churchill, oramai coinvolta l'Italia nel conflitto, gettò ben presto la maschera e Mussolini dovette capirlo subito perché, come documentazioni ci attestano, già i primi di luglio '40, cominciò a tempestare Badoglio invitandolo a spronare Balbo in Libia (e poi, alla morte di questi, Graziani) affinchè sferrasse un offensiva decisiva verso l'Egitto e lo stesso fece con Supermarina perché intraprendesse qualche azione di rilievo nel mediterraneo.
Tutto fu inutile perché, accordo o non accordo, in Italia, a cominciare dal Re, da Badoglio e da Supermarina (e anche da certe gerarchie del fascismo, come per esempio i filo "occidentali" Grandi e Ciano), ben pochi avevano la voglia di fare la guerra sul serio agli inglesi, ma questo è un altro discorso.
A fine aprile Mussolini, di fatto abbandonato dai comandanti fascisti desiderosi di arrendersi al più presto agli Alleati e magari riciclarsi nel dopoguerra come anticomunisti e antisovietici, si trovò inevitabilmente a passare in un crocevia di morte:
Morto lo volevano gli inglesi, per nascondere l'intesa con Churchill, una intesa che una volta svelata, avrebbe rivoltato tutta l'interpretazione storiografia della seconda guerra mondiale, squalificato il britannico agli occhi del mondo e complicato la politica internazionale degli inglesi soprattutto rispetto alla Jugoslavia di Tito.
Morto lo volevano gli americani, come ben sappiamo da una registrazione telefonica intercontinentale tra Churchill e Roosevelt del 29 luglio 1943, e questo nonostante che apparentemente e ufficialmente, gli americani dicevano, ma non facevano niente!, di volerlo catturare per processarlo e umiliarlo.
Morto lo volevano i comunisti, che non muovevano foglia che Stalin non voglia, e sappiamo bene come Stalin voleva tenere nascoste certe "intese segrete" con l'Italia del ventennio, risalenti fin dal 1924 e che, praticamente, preservarono il nostro paese da attentati delle cellule comuniste (gli unici attentati furono quelli dei massoni e di Giustizia e Libertà), ma anche si voleva nascondere certi contatti, avvenuti nel primo semestre del 1943, quando l'Italia e l'URSS si trovarono concordi a sondare le possibilità di far uscire i sovietici dalla guerra.
Morto lo voleva il Re che paventava che venissero fuori le sue responsabilità nella guerra, che lui aveva condiviso, eccome!, l'"intesa" con Churchill (il Re era sicuramente una di quelle 5 persone, indicate da Mussolini e al corrente degli accordi con il britannico).
Morto infine non dispiaceva neppure ai tedeschi di Wolff, che lo avevano tradito con la loro ignobile resa.
Ci meravigliamo che finì a Piazzale Loreto?

Maurizio Barozzi