È imminente un attacco
contro l'Iran?
Vittorio
In questi giorni molti analisti si chiedono se sia o meno concreta la
possibilità di un attacco militare contro l'Iran, in coincidenza degli ultimi
mesi della presidenza Bush.
Nell'interessante articolo che segue, pubblicato il 30 maggio dal quotidiano
libanese "The Daily Star" e qui proposto nella traduzione del sito arabnews,
l'ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer da una risposta a tale
quesito, non proprio rassicurante.
Qui voglio solo aggiungere due brevi considerazioni, discostandomi nella seconda
da quanto sostenuto dall'ex ministro nell'articolo.
1) La presenza in questi giorni a Roma del presidente iraniano Mahmoud
Ahmadinejad, in occasione del vertice mondiale della FAO, è stata l'ennesima
occasione colta al volo dal nostro governo per fare una doverosa brutta figura.
Proprio nel periodo in cui, infatti, l'Italia va pietendo urbi et orbi la
concessione di un posto all'interno del Gruppo di Contatto che dovrebbe
"risolvere" il problema del nucleare iraniano (il cd. Gruppo "5+1", formato
dalle cinque potenze con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell'ONU più
la Germania), la presenza di Ahmadinejad a Roma doveva rappresentare una vera e
propria manna dal cielo, consentendo a Berlusconi e al suo ministro degli esteri
di incontrarlo e di affrontare -con pacatezza pari alla fermezza- le varie
questioni spinose sul tappeto: il problema del nucleare, le minacce ad Israele,
le ingerenze in Afghanistan e in Iraq e, più in generale, nell'intera regione
mediorientale.
E, invece, che accade? Berlusconi rifiuta di incontrare Ahmadinejad, gli fa lo
sgarbo di non invitarlo a cena, addirittura si alza cinque minuti prima del suo
discorso alla FAO per non doverlo annunciare, il nostro ministro degli esteri
Frattini si rifiuta di incontrare il suo omologo iraniano e il Presidente della
Camera Fini rinuncia ad incontrare l'ambasciatore iraniano a Roma.
Ora, non c'è chi non veda come sia del tutto assurdo e incomprensibile un tale
comportamento, chiedere di entrare in un gruppo che dovrebbe trattare ed
interloquire con la controparte iraniana sul problema del nucleare pacifico o
meno e, contemporaneamente, negarsi al dialogo. Salvo lasciare che, qualche ora
più tardi, Ahmadinejad venga acclamato da un folto gruppo di imprenditori
ansiosi di concludere buoni affari: pecunia non olet!
Come faceva notare ieri Giuseppe Cassini su "l'Unità" -e qualche giorno addietro
Lucio Caracciolo su "la Repubblica"- per entrare nel Gruppo dei "5+1" bisogna
pur avere qualche merito concreto, avere un qualche risultato pratico da
mostrare nel ruolo da noi preferito,quello di mediatori e di "facilitatori", e
come facciamo ad ottenerlo se neppure ci proviamo?
Capiamo bene come Berlusconi e il suo governo non abbiano voluto incontrare il
presidente iraniano per non irritare gli USA e, soprattutto, Israele; ma una
posizione -vorremmo definirla moralistica- di chiusura così netta nei confronti
dell'Iran, oltre che a rischiare di danneggiare i cospicui interessi economici
che l'Italia ha in questo Paese, risulta peraltro assolutamente priva di effetti
pratici.
Il mondo, e l'Italia, non ha bisogno di una imitazione caricaturale (in piccolo)
della politica estera seguita dall'amministrazione Bush, e ciò e ancor più vero
in un momento in cui persino negli USA personalità politiche dal passato di
rilievo quali Zbigniew Brzezinski e, soprattutto, Henry Kissinger non si fanno
scrupolo di consigliare al presidente americano che verrà di dialogare con
l'odiato "nemico".
2) Hanno sollevato scalpore e suscitato numerose proteste le dichiarazioni
provocatorie di Ahmadinejad riguardo alla «cancellazione» di Israele dalle mappe
geografiche, sebbene lo stesso presidente iraniano si sia premurato,
successivamente, di precisare che lui aveva solo voluto dare una "notizia"
riguardante "sviluppi che si stanno verificando".
Nessun rilievo, invece, è stato dato dai media italiani alle ben più concrete
minacce che, non da ora peraltro, Israele lancia contro l'Iran.
Così sono passati sotto silenzio le dichiarazioni del ministro degli esteri
israeliano Tzipi Livni, secondo cui «la minaccia di una mossa militare esiste e
non è stata tolta dal tavolo», le indiscrezioni del quotidiano "Yedioth Ahronot",
secondo cui nel recente incontro tra il premier Olmert e Bush si è discusso
anche di un possibile attacco militare contro le installazioni nucleari
iraniane, il discorso tenuto martedì dallo stesso Olmert alla conferenza dell'Aipac,
in cui ha sostenuto che «dobbiamo fermare la minaccia iraniana con ogni mezzo
possibile».
Ora, non se ne abbia a male nessuno, ivi incluso Ahmadinejad, ma le invettive e
le minacce del presidente iraniano suonano -per dirla alla Cassini- «come un
cembalo squillante di nessun effetto pratico», mentre i tamburi di guerra
israeliani sono alquanto più realistici e preoccupanti.
Ancora nessuno è riuscito a spiegare, peraltro, con quale autorità morale si
possa chiedere all'Iran di rinunciare ad un nucleare fino a prova contraria
pacifico quando Israele possiede un arsenale atomico di tutto rispetto (dalle
150 alle 200 testate, si presume) e non consente agli ispettori dell'IAEA di
fare nemmeno una gita di piacere sul suo territorio.
Molto più corretto, e ragionevole, sarebbe impostare un discorso di
denuclearizzazione dell'intera regione mediorientale, ma naturalmente non se ne
parla neppure.
Vittorio
Israele potrebbe presto attaccare l'Iran
Titolo originale:
"As things look, Israel may well attack Iran soon"
30/05/2008
In conseguenza della fallimentare politica americana, la minaccia di un nuovo
confronto militare continua a incombere sul Medio Oriente come una nuvola nera.
I nemici degli Stati Uniti si sono rafforzati, e l'Iran -pur essendo bollato
come membro del cosiddetto «asse del
male»- è stato catapultato verso l'egemonia regionale. L'Iran non avrebbe mai
potuto raggiungere questo risultato da solo, e di sicuro non in un periodo così
breve.
Quella che fino ad ora era stata una latente rivalità tra Iran e Israele è stata
così trasformata in una aperta lotta per il predominio in Medio Oriente. Ciò ha
portato come risultato l'emergere di sorprendenti, se non bizzarre, alleanze: da
un lato l'Iran, la Siria, Hezbollah, Hamas, e l'Iraq dominato dagli sciiti e
appoggiato dagli americani; dall'altro Israele, l'Arabia Saudita e la maggior
parte degli altri stati arabi sunniti, ognuno dei quali sente la propria
esistenza minacciata dall'ascesa dell'Iran.
Il pericolo di un confronto di grandi proporzioni è stato ulteriormente acuito
da una serie di fattori: l'aumento costante del prezzo del petrolio, che ha
creato nuove opportunità finanziarie e politiche per l'Iran; la possibile
sconfitta dell'Occidente e dei suoi alleati regionali nelle guerre "per procura"
combattute nella Striscia di Gaza e in Libano; l'incapacità del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite di indurre l'Iran ad accettare una sospensione
anche solo temporanea del suo programma nucleare.
Il programma nucleare iraniano è il fattore determinante in questa equazione,
poiché minaccia l'equilibrio strategico regionale in maniera irreversibile. Il
fatto che l'Iran -una nazione il cui presidente non si stanca mai di invocare
l'annientamento di Israele, e che ne minaccia i confini a nord e a sud
attraverso il proprio appoggio alle guerre "per procura" combattute da Hezbollah
e Hamas- possa un giorno possedere missili con testate nucleari, è il peggior
incubo per la sicurezza di Israele. La politica non si basa solo sui fatti, ma
anche sulle percezioni. Che una percezione rispecchi o no la realtà non è un
elemento determinante, poiché conduce tuttavia ad una decisione.
Ciò accade in particolare quando la percezione riguarda ciò che le parti in
causa considerano essere una minaccia per la propria stessa esistenza. Le
minacce di distruzione del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad vengono prese
seriamente da Israele, a causa del trauma dell'Olocausto. Inoltre la maggior
parte dei paesi arabi condivide la paura di un Iran "nuclearizzato". Questo
mese, Israele ha festeggiato il proprio 60° anniversario, ed il presidente
americano George Bush si è recato in visita a Gerusalemme per prendere parte
alla commemorazione. Coloro i quali si aspettavano che la visita avrebbe
principalmente riguardato lo stallo dei negoziati fra Israele ed i palestinesi
sono stati amaramente delusi. L'argomento centrale di Bush, compreso il suo
discorso alla Knesset israeliana, è stato l'Iran. Bush aveva promesso di portare
il conflitto mediorientale in prossimità di una soluzione prima della fine del
suo mandato, ma la sua ultima visita in Israele sembra indicare un diverso
obiettivo: sembra che egli stia pianificando, insieme ad Israele, di porre fine
al programma nucleare iraniano, e di farlo attraverso mezzi militari
piuttosto che diplomatici.
Chiunque abbia seguito la stampa israeliana durante le celebrazioni del 60°
anniversario e abbia ascoltato attentamente quanto è stato detto a Gerusalemme,
non ha bisogno di essere un profeta per capire che i nodi stanno venendo al
pettine. Basta considerare i seguenti punti:
1) «Basta con l'appeasement» è la richiesta portata avanti dall'intero panorama
politico israeliano – con riferimento alla minaccia nucleare proveniente
dall'Iran (con "politica di appeasment" si intende la politica condiscendente
adottata da Francia e Germania nei confronti del regime nazista durante gli anni
'30, nel tentativo di contenere l'espansionismo nazista evitando uno scontro
diretto - N.d.T.).
2) Mentre Israele portava avanti i festeggiamenti, il ministro della difesa Ehud
Barak ha dichiarato che un confronto militare "per la vita o per la morte" è
un'innegabile possibilità.
3) Il comandante dell'aviazione militare israeliana, ha dichiarato che le forze
dell'aviazione sarebbero capaci di qualsiasi missione, non importa quanto
difficoltosa, per proteggere la sicurezza della nazione. La distruzione di un
impianto nucleare in Siria lo scorso anno, e l'assoluta mancanza di una reazione
internazionale all'episodio, sono viste come un modello per le future azioni
contro l'Iran.
4) L'elenco di armi richieste da Israele agli Stati Uniti, discusso con il
presidente americano, si concentra principalmente sul miglioramento delle
capacità di attacco e di precisione delle forze aeree israeliane.
5) Le iniziative diplomatiche e le sanzioni dell'ONU contro l'Iran sono
percepite come totalmente inefficaci.
6) Con l'avvicinarsi della fine della presidenza Bush, e vista 'insicurezza
riguardo alla possibile politica del suo successore, si itiene che la finestra
di opportunità per un'azione israeliana si sia progressivamente chiudendo.
Gli ultimi due fattori hanno un peso particolare. Mentre è risaputo che
l'intelligence israeliana preveda che l'Iran giungerà al traguardo del suo
programma nucleare militare al più presto fra 2010 e 2015, la sensazione comune
in Israele è che la finestra di opportunità politica per sferrare l'attacco sia
adesso, durante gli ultimi mesi della presidenza Bush.
Sebbene Israele riconosca che un attacco agli impianti nucleari iraniani
comporterebbe rischi seri e difficili da prevedere, la scelta fra l'eventualità
di accettare l'arma nucleare iraniana ed il tentativo di distruggerla
militarmente, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero, è chiara. Israele
non rimarrà fermo ad aspettare che le cose seguano il loro corso.
Il Medio Oriente si sta avviando verso un nuovo grande confronto nel 2008.
L'Iran deve capire che se non si arriva ad una soluzione diplomatica nei
prossimi mesi, vi è il rischio che esploda un nuovo pericoloso conflitto
militare. È giunta l'ora di dare inizio a trattative serie.
L'ultima offerta da parte delle sei grandi potenze -i cinque membri permanenti
del Consiglio di Sicurezza dell'ONU più la Germania- è sul tavolo delle
trattative, e si spinge molto in là nell'assecondare gli interessi iraniani. Ciò
nonostante, la questione decisiva sarà riuscire a congelare il programma
nucleare iraniano mentre sono in corso le trattative, al fine di evitare
l'eventualità di un confronto militare prima che esse siano concluse. Se questo
nuovo tentativo dovesse fallire, le cose potrebbero presto farsi serie, molto
serie.
Joschka Fischer, ministro degli esteri e vice cancelliere tedesco dal 1998 al
2005, ha guidato il Partito dei Verdi per circa 20 anni
http://palestinanews.blogspot.com/2008/06/e-imminente-un-attacco-contro-liran.html
Joschka Fischer,
ministro degli esteri e vice cancelliere tedesco dal 1998 al 2005, ha
guidato il Partito dei Verdi per circa 20 anni
il COMMENTO di Giorgio
Vitali:
Fra I tanti commenti letti in questi giorni, quello di Fischer ci
sembra il più interessante. Premettiamo che Fischer è leader di uno
dei pochi movimenti Verdi autentici. Gli altri, soprattutto quello
italiano, sono notoriamente inventati e servono di copertura per
operazioni di vario genere.
Prova ne siano I molti finanziamenti che le Multinazionali della
chimica, del petrolio e del farmaco elargiscono a piene mani ad
organizzazioni apparentemente "ambientaliste". Una vecchia tecnica
per allettare i gonzi e finanziare i veri "amici". Inoltre, Fischer
è tedesco Ed in tale veste esprime sentimenti e preoccupazioni
germaniche.
Per quanto ci riguarda, non crediamo alle minacce israeliane. Ne
comprendiamo i molteplici motivi, che non sono ovviamante quelli che
appaiono. Il finanziamento Americano ad Israele è sempre più
incerto, e non a causa dell'andamento delle elezioni che, come si
sa, sono fumo negli occhi, ma per la crisi che sempre più attanaglia
gli USA. Alcune voci, che oggi agiscono all'interno del Partito
democratico statunitense si sono levate contro questi finanziamenti
e anche se non saranno prese in considerazione, viste le
dichiarazioni della Clinton, tuttavia sono la dimsotrazione che
qualcosa si sta muovendo anche nella patria del fondamentalismo
cristiano sionista. Certamente, fa parte della mediazione politica
servirsi di alcune voci discordanti per trattare con la controparte
che bussa a quattrini ed armi, ma di sicuro i fondi che gli USA
elargiranno ad Israele non saranno più dell'entità vista finora.
Perchè pensiamo che l'attacco all'Iran sia improbabile? Ma perchè la
ragione è molto semplice.
L'Iran non è l'Iraq, paese molto piccolo e strozzato, con una
ricchezza in materie prime molto appetibili. Ricordiamo che
l'attacco israeliano alla centrale atomica irachena, e conseguente
interferenza sulle forniture italiane all'Irak (cannone atomico) non
produsse molta eco internazionale. Con l'Iran la situazione è
differente. Difficilmente sarà possibile scardinare le difese
iraniane e men che meno la struttura statale, sociale, politica del
popolo persiano. Al contrario, Israele è un piccolissimo paese, che
si regge su una piccolissima striscia di terreno, con una
popolazione sempre più propensa a tornarsene a casa (alle vecchie
abbandonate case dell' Europa centro-orientale che stanno iniziando
un nuovo boom economico), prospettiva che indistintamente tutti i
paesi europei ed anche americani paventano. Israele non potrebbe
tollerare alcun tipo di ritorsione iraniana. L'epoca delle
sbruffonate (al coperto di 150 atomiche) è finita. E ce ne
rallegriamo. Comunque vadano le cose, L'Unione europea sarà
costretta ad assumere responsabilità crescenti, e non saranno
certamente in alleanza con gli Atlantici.
Giorgio Vitali
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