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L'«inverosimile» attacco prossimo venturo
Giulietto Chiesa
(25 giugno 2010)
Israele è pronta
ad attaccare l'Iran. Una crisi annunciata della quale Washington,
contrariamente a quanto vorrebbe far credere, non è affatto
all'oscuro.
Anche la Russia e la Cina, a sorpresa, sembrano dare il via libera
all'attacco in fede a inediti e non meglio precisati "scambi di
favori". Accettando un rischio di proporzioni non ancora
prevedibili.
C'è da chiedersi: perché lo fanno? |
Se siamo a 5 minuti, a 5 giorni, a 5 mesi, non possiamo saperlo. Ma che siamo a
5 anni possiamo escluderlo. Da dove? Dal momento in cui Israele attaccherà
militarmente l'Iran e darà avvio a una crisi militare di così vaste proporzioni
da modificare per una lunga fase i già precari equilibri mondiali restanti.
Questa crisi -annunciatissima ma che quasi nessuno vuole vedere- si aggiungerà,
aggravandole drammaticamente, a tutte le altre crisi già in atto. Israele vi si
accinge, incoraggiata da potenti circoli internazionali che sono interessati a
un grande incendio: l'unico nel quale potranno essere bruciati tutti i libri
contabili degli organizzatori della fine di un'epoca intera della storia umana.
Inutile rispondere alle obiezioni che di solito promanano da ogni sorta di anime
belle: hanno tutte lo stesso difetto originario, consistente nell'applicare le
regole del politically correct a Israele.
Quelle regole non sono usate da Israele essendo esse state inventate per i paesi
normali, mentre Israele è un paese eletto. La sostanza di questo pensiero è che
Dio sta dalla sua parte, è «con Israele». E, quindi, ogni forma di analisi
politically correct del comportamento di Israele appare insensata, essendo Dio
estraneo a criteri del genere.
Quindi, invece di prevenire le obiezioni politically corrected mi limiterò ad
elencare i fatti. Che sono molto più vasti, con le loro implicazioni, dei
confini di Israele e conducono tutti, inequivocabilmente, ad un esito, dove
Israele svolgerà un ruolo principale: quello detto all'inizio. Se poi
quell'esito sembrerà dimostrare che Dio è con loro, non potremo che invocare
quel Dio chiedendogli che «ce la mandi buona».
Vediamo dunque i fatti. A cominciare dall'assalto al convoglio di navi pacifiste
che, alla fine di maggio, intendeva rompere il blocco di Gaza. Sappiamo -fu
chiaro fin dal primo momento della tragedia- che non è stato un malaugurato
errore, ma una sanguinosa provocazione ideata a freddo per aprire uno scandalo
internazionale di enormi proporzioni. Lo scopo era quello di punire la Turchia.
Un segnale dunque.
Alle anime belle che si sono affannate a scrivere che l'attacco dei commandos
israeliani ha provocato gravi danni alla causa israeliana, isolando
ulteriormente quel paese perfino da molti dei suoi amici europei, si dovrà
suggerire di guardare la faccenda da un altro angolo visuale. Israele non ha
bisogno di alleati terreni, salvo uno, che è terreno solo in un senso
particolare, sentendosi investito, da circa 100 anni a questa parte, di una
missione divina anch'esso: gli Stati Uniti d'America.
E questo alleato non lo ha perduto e non lo perderà mai.
Si capirà meglio così che la violenza contro i pacifisti non è stata un
incidente ma è stata organizzata proprio per spaccare la comunità occidentale e
per costringere tutti a scoprire le loro carte. Del resto -secondo fatto da
elencare- Ankara e Brasilia (new entry, quest'ultima, a sorpresa in questa
partita planetaria) dovevano essere punite (il Brasile si aspetti il suo turno)
per avere rotto il fronte dell'Occidente mandando i rispettivi presidenti a
trattare con Ahmadi Nejad una soluzione che consentisse all'Iran di procedere
senza essere disturbato con il suo programma nucleare civile.
Dunque occorre non perdere d'occhio il cospicuo movimento tettonico di cui è
protagonista la Turchia. Esso procede con scosse di assestamento sempre più
potenti e si ripete, il 9 giugno (una decina di giorni dopo la crisi della
flottiglia pacifista) con il voto contrario (di nuovo la Turchia e il Brasile
agiscono di concerto) alle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU
contro l'Iran. Sanzioni, come sappiamo, promosse dagli Stati Uniti e accolte da
Russia e Cina: ecco due novità di vaste implicazioni, piene di interrogativi
come funesti vasi di Pandora.
Tra i fatti da tenere presenti, perché senza queste pennellate altrimenti il
quadro non sarebbe completo, c'è la circostanza che, fino a ieri, gli aerei
israeliani che sarebbero destinati ad attaccare l'Iran, come prima onda d'urto,
si trovavano in una base Nato in territorio turco. Lo scopo era chiaro: disporre
di una traiettoria di volo breve. Non mi stupirei adesso che quella traiettoria
breve, senza rifornimenti in volo, non sia più disponibile e che quei caccia
bombardieri siano già stati trasferiti, o siano in via di trasferimento in
qualche altra base segreta, sicuramente non più in Turchia.
Per scoprire quale essa sia basta fare un piccolo esercizio di Risiko, carta
alla mano, e elenco dei paesi Nato nell'area, senza trascurare qualche paese,
più piccolo e ben piazzato, che è amico degli Stati Uniti e di Israele e che si
trova nelle vicinanze dell'Iran. Altra buona ragione per punire Erdogan.
Ma altri fatti si accavallano in rapida successione. Il 7 giugno, due giorni
prima del voto ONU, "The International Herald Tribune", nella sua pagina di
opinioni editoriali, pubblica un articolo di Richard V. Allen, che fu
consigliere per la Sicurezza nazionale di Ronald Reagan nel biennio 1981-82.
Allen, dopo avere esordito con queste parole («con le notizie controverse che
circolano a proposito di un attacco israeliano»), ricostruisce l'altro attacco
israeliano di 29 anni fa contro l'impianto nucleare iracheno di Osirak, ancora
in costruzione in quel momento. Curiosamente l'intero articolo sembra concepito
per dimostrare che Washington non sapeva nulla di nulla di ciò che Tel Aviv
aveva organizzato.
Lo stesso Reagan, apparentemente cadendo dal pero, chiede infatti a Allen:
«Perché secondo te l'hanno fatto?». Verrebbe da dire: beata ingenuità.
Il giorno dopo, nella Sala Ovale, si terrà una accesa riunione, mentre le
polemiche dilagano nel mondo a proposito delle rovine ancora fumanti di Osirak.
Rovine dell'allora alleato degli Stati Uniti Saddam Hussein. In quella riunione
il vice-presidente di allora George H. W. Bush, George Baker, capo dello staff
presidenziale, Michael Deaver, aiutante del presidente, si schierano per punire
Israele, mentre il generale Alexander Haig, segretario di stato, e il capo della
CIA William J. Casey sono per appoggiare Israele.
Se crediamo alla versione di Allen, il presidente Reagan fece il pesce in barile
e rimase, in sostanza, ad ascoltare la disputa. Ma il finale è noto: alla fine
di quell'anno gli Stati Uniti e Israele firmarono un accordo di cooperazione
strategica.
Allora Dio era con loro, senza dubbio alcuno. Ma la domanda è questa (e spiega
bene perché l'autorevole quotidiano americano abbia pubblicato proprio
quell'articolo e proprio in quei giorni): 29 anni dopo sarebbe ancora possibile
(anche se prendessimo per buono il racconto di Richard V. Allen) un attacco
israeliano contro l'Iran senza che il Pentagono, la CIA e gli altri servizi
segreti statunitensi ne sappiano nulla? Ovvio che Washington non è affatto
all'oscuro di ciò che è già stato preparato. Neanche se lo volesse potrebbe
ignorarlo. Perché i primi a non fare mistero delle loro intenzioni sono proprio
i capi israeliani.
Lo stesso 9 giugno (che è poi il giorno delle sanzioni del Consiglio di
Sicurezza), lo stesso "International Herald Tribune" rivela, in prima pagina,
con un articolo da Gerusalemme di Andrew Jacobs, che una delegazione israeliana
è andata a Pechino per far sapere ai cinesi, «senza melensaggini diplomatiche»,
che Israele intende attaccare militarmente l'Iran.
L'esplicito proposito della visita, scrive Jacobs, era di «spiegare con precisi
dettagli l'impatto economico che la Cina subirebbe nel caso di un colpo
israeliano contro l'Iran». Ipotesi che Israele «considera probabile quando
dovesse ritenere che l'Iran potrebbe riuscire a mettere insieme un'arma
nucleare».
Si noti la formulazione: l'attacco avverrà quando Israele pensa che l'Iran
«potrebbe riuscire ...» non quando ci sarà riuscito. Cioè prima ancora che il
pericolo si delinei e molto prima che esso sia attuabile, poiché una bomba che
non può essere portata sul bersaglio non costituisce un pericolo reale e l'Iran
non dispone di vettori per la bisogna e, ove si avvicinasse a questo obiettivo,
non potrebbe tenerlo nascosto alle osservazioni dall'esterno e dall'interno cui
è sottoposto incessantemente da tutti i servizi segreti occidentali e orientali.
Non viene detto come i cinesi abbiano reagito ai chiarimenti israeliani. Si sa
solo che hanno votato le sanzioni, seppure mantenendo, come ha fatto Mosca,
alcuni distinguo. Ma -ecco un altro fatto- tre giorni dopo l'articolo citato,
tre giorni dopo il voto all'ONU, ecco la notizia che la Russia non onorerà più
il contratto che aveva già firmato con l'Iran per la fornitura di 300 missili
terra-aria. La perdita della commessa -rivela "Russia Today" quel giorno- vale
oltre un miliardo e 200 milioni di dollari: un colpo per Rosvooruzhenie, eppure
il Cremlino non muove un ciglio e getta via il tesoro.
Si tratta di armi cruciali per la difesa contro un attacco aereo e mediante
missili di crociera. Anche qui il significato è inequivocabile: Mosca concede il
via libera. Lo stesso giorno 12 giugno le agenzie riferiscono che l'Arabia
Saudita, dopo avere informato il governo di Washington, concede il proprio
spazio aereo al passaggio dei bombardieri israeliani. Negli stessi giorni fonti
iraniane rendono noto che tre sommergibili israeliani, con missili da crociera a
bordo, sono entrati nel Golfo Persico, sicuramente non all'insaputa del comando
strategico degli Stati Uniti.
E, segnale apparentemente soltanto tangenziale rispetto a questo scenario,
sempre lo stesso giorno a Bruxelles il ministro degli esteri russo, Lavrov,
insieme ai suoi colleghi di Kazakhstan e Uzbekistan, annuncia la decisione di
aprire la strada per il transito dei convogli della NATO (non più soltanto di
quelli americani) che trasportino armi, uomini e logistica verso l'Afghanistan.
Quale sia l'interesse russo in questo "affaire" non è chiaro. Ovvio che stiamo
assistendo a un grande "scambio" di favori, ma non ne conosciamo i termini.
Mosca e Pechino accettano il rischio.
Perchè lo fanno? Né l'una né l'altra hanno qualche cosa da temere dall'Iran e, a
prima vista, entrambe hanno qualche cosa da perdere. La Russia, per esempio,
corre il rischio di vedere affacciarsi sulle rive del Mar Caspio un altro
governo filo americano. Sicuramente in caso di una grande crisi militare -se
l'Iran riuscirà a resistere e a infliggere colpi a sua volta- il prezzo del
petrolio potrebbe balzare in alto. E, se questo sarebbe un bel regalo per Mosca,
sarebbe invece un brutto colpo per la Cina.
Certo Mosca potrebbe guardare con sospetto non minore di quello americano, al
sorgere di una alleanza Turchia-Iran. Ma può essere anche che Cina e Russia
ritengano che l'avventura iraniana si risolverà strategicamente in un nuovo
disastro per gli Stati Uniti: la classica immagine di chi sta seduto sulla riva
del fiume per aspettare il passaggio del cadavere del nemico. Per giunta avendo
ricevuto dal nemico agonizzante qualche regalo. Ma dev'essere stato un grande
regalo davvero.
Certo è che l'operazione Teheran comporta un grande scenario preparatorio.
Grande quanto il fuoco che ci si prepara ad accendere. E non dopo, ma durante,
la presidenza del premio Nobel per la pace Barack Obama.
Giulietto
Chiesa
da Antimafia Duemila N°65
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/29137/74/
il commento di
Giorgio Vitali
Quanto scrive
Chiesa è sempre di notevole interesse perchè rivela notizie che noi,
poveri mortali, dovremmo perdere ore per raggranellare. Ma, nel
contempo la nostra impressione è che Giulietto si stia preoccupando
troppo. Esperti come siamo del gioco di scacchi, e soprattutto del
gioco del GO, che esprime la mentalità cinese, sappiamo che la
situazione è TRAGICA ma non ancora perduta. NON credo che Russia e
Cina si mettano in condizione di minorità quale, più
psicologicamente che di fatto, si venisse a creare una situazione di
effettiva VITTORIA di Israele in una eventuale AGGRESSIONE contro
l'Iran. Che l'Iran oggi minacci Israele è sicuro. Allo stesso modo
della minaccia rappresentata da Saddam a suo tempo, e di cui tratta
il Chiesa. Ma allora Israele attaccò senza tante chiacchiere. Oggi è
costretto a fare minacce ed a girare per il mondo alla ricerca di
consensi, più o meno pagati. Ma non è tutto, perchè lo schieramento
di paesi liberi e "ribelli" all'Ordine USA/Israel va aumentando di
anno in anno. In ogni caso staremo a vedere. E ... vinca il
"migliore"!
Giorgio Vitali |
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