Italia - Repubblica - Socializzazione

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La non belligeranza e la guerra parallela di Mussolini

Maurizio Barozzi 
 
da "Rinascita",
8 aprile 2009

 

«La giustizia dovrà essere fatta ed il castigo cadrà sui malvagi e sui crudeli. Gli sciagurati che hanno macchinato per soggiogare prima l'Europa e quindi il Mondo devono essere puniti. Così dovranno esserlo anche i loro agenti che in tante nazioni hanno perpetrato orribili delitti. Essi devono essere condotti ad affrontare il giudizio delle popolazioni che hanno oltraggiato, sulle stesse scene delle loro atrocità»

 

Benito Mussolini,

sottolineatura a matita sotto il testo di un discorso di Churchill a Comuni del maggio 1944

 

L'articolo del professor Alberto Bertotto "Quando il Duce disse di 'no' ad Hitler", pubblicato su queste pagine sabato 4 aprile, avrà indotto tanti lettori a porsi una serie di domande: «Ma in definitiva che pesce era questo Mussolini?» «Cosa si riproponeva di fare a fronte del conflitto bellico scatenato in Europa?» «Perchè imboccò la strada della "non belligeranza"?» «Era "amico" o "nemico" di Hitler?» E così via.
Non era negli intenti dell'amico e ricercatore storico Bertotto, prospettare in poche righe le risposte a queste domande, essendosi egli limitato ad indicare, con la sua solita oculatezza, una serie di situazioni e di fatti che ebbero a determinarsi alle soglie delle Seconda Guerra Mondiale e fino al nostro intervento in guerra (10 giugno 1940).
Vogliamo allora tentare noi, senza tante pretese, di dare una risposta ad alcune delle precedenti domande, anche se, per mancanza di spazio, dovremo spesso attestare delle ricostruzioni storiche senza poterle dimostrare con le dovute documentazioni, ma del resto nonostante che gli archivi delle potenze vincitrici siano rimasti ermeticamente chiusi (parliamo degli Archivi che veramente contano, non della paccottiglia periodicamente desecretata e pubblicata dai mass media), le cause e le responsabilità della seconda guerra mondiale sono oramai abbastanza chiare a molti.
Cercheremo anche di evitare ogni discorso ideologico che in questo ambito, strettamente storiografico, potrebbe risultare fuorviante, anzi saremo nudi e crudi nella nostra esposizione perchè, oltretutto, volenti o nolenti, nelle vicende dell'Asse Roma - Berlino, prevalsero sempre le necessità geopolitiche, la ragion di stato e gli interessi dei rispettivi Stati Maggiori.

Sulla Seconda Guerra Mondiale la prima considerazione da fare è la seguente:
la guerra, nella sua configurazione planetaria e nella sua pervicace volontà distruttiva dell'Europa, venne progettata, perpetrata e con estrema decisione "aiutata" a deflagrare dalle "democrazie" occidentali o meglio da quegli Imperi di Alta Finanza internazionale che, sull'asse "Londra - New York", perseguivano il materiale controllo delle economie mondiali ed il fine ideologico del sogno massonico di una Grande Repubblica Universale, le cui basi, con la creazione di determinate strutture mondialiste, erano già state gettate con la Prima Guerra Mondiale.
Da parte sua la Germania ebbe la responsabilità di innescare tutto il processo bellico, per il fatto di voler conseguire a tutti i costi, fino ai limiti del rischio della guerra, determinati suoi obiettivi geopolitici: «lo spazio vitale ad Est». Obiettivi comunque, quelli tedeschi, limitati ad un contesto continentale, proprio come era la struttura del suo esercito notoriamente attrezzato solo per una guerra di tipo continentale e per giunta di breve durata.
Ma chi aveva l'interesse a scatenare una Crociata, delle «democrazie contro le barbarie» ottenne dal revanscismo tedesco l'opportunità di mettere in moto il processo bellico e portarlo alle estreme conseguenze di una "resa incondizionata".
All'uopo venne utilizzata ogni più perfida provocazione come, tanto per fare un esempio, quello che fece nella più criminale tradizione americana, il presidente Roosvelt con Pearl Harbour. Una tradizione, quella americana, che aveva i suoi precedenti nell'affondamento del Maine (1898), in quello del Lusitania (1914), ed avrà i suoi futuri replay nel Golfo del Tonchino (1964) e nell'11 settembre 2001. Tutti espedienti criminali, programmati o incoraggiati, se non autoprovocati, necessari per trascinare in guerra una nazione altrimenti riottosa.
E che la guerra mondiale non avesse lo scopo di distruggere il Nazismo, come si diceva, ma quello primario di dividere ed occupare l'Europa, lo dimostra anche il fatto che nessun aiuto venne dato alla resistenza tedesca contro Hitler, opposizione che non fu mai presa in considerazione dagli Alleati, proprio per non avere le mani legate nelle strategie di Yalta.

Seconda considerazione.
L'Italia venne a trovarsi, in questo contesto storico, come il classico vaso di coccio tra vasi di ferro, proprio in un momento in cui Mussolini, con il suo regime, suscitando tutte le energie vitali della nazione, era riuscito a portare a compimento le aspirazioni del Risorgimento ed a risolvere l'atavico nostro problema di una nazione ricca di energie, di unità lavorative e qualità manageriali, ma assolutamente priva di materie prime, con la conquista di uno spazio in Africa.
In fondo le nostre aspirazioni, di divenire una piccola potenza sul piano internazionale, non erano eccessive, ma cozzavano, intanto contro le prospettive ideologiche del mondialismo ed inoltre contro gli interessi britannici.
A differenza della Spagna di Franco (tutto sommato un tollerabile regime di capitalisti, militari, reazionari e preti), l'Italia e il fascismo, nonostante tutta la retorica e i difetti che presentavano, dovevano essere distrutti, perchè riproducevano una forma di Stato nazional popolare in cui gli interessi etici e politici avevano la preminenza su quelli finanziari ed economici (una "ingerenza" assolutamente non tollerabile dall'Occidente liberista) mentre, al contempo, i nostri interessi geopolitici nel Mediterraneo, nei Balcani ed in Africa cozzavano contro quelli inglesi, anche se gli inglesi non avrebbero dovuto avere nessun diritto nell'area mediterranea, ma se lo arrogavano ugualmente in virtù del loro predominio mondiale.
In questa situazione Mussolini, lungi dall'inseguire sogni di grandezza e di espansione velleitaria o di voler imitare la Germania, si mosse sempre ed unicamente in difesa e a protezione dei nostri interessi nazionali. E la sua geopolitica, pur tra alti e bassi dovuti da un composito nazionale non propriamente adatto a perseguirli, in questo senso, era correttissima e confacente a questi interessi.
Essa partiva dal presupposto che la nostra configurazione geografica ci costringeva a muoverci sia su un piano peninsulare che insulare. Mediterraneo e Continente, dove sul primo volevano dettar legge gli inglesi e sul secondo stavano per predominare i tedeschi mettendo forse a rischio le nostre conquiste adriatiche e del sud Tirolo.
Un vero dramma, stante la estrema debolezza economica e militare della Nazione. L'Italia, per poter mantenere un suo ruolo in Europa e per poter difendere il suo spazio nel Mediterraneo ed in Africa, doveva solo sperare che nè gli inglesi, nè i tedeschi prevalessero definitivamente sugli altri o, peggio ancora, si mettessero d'accordo a livello globale, come Hitler disperatamente tentava di fare con Londra, ma trovava un Churchill in mano alle "consorterie" mondiali, che ostinatamente si opponeva ed anzi puntava ad allargare a dismisura il teatro bellico.
Mussolini, sempre coerente con questi presupposti geopolitici, aveva cercato da Locarno a Stresa, a Monaco 1938, pur nei limiti che la nostra debolezza come Nazione gli consentivano, di mantenere uno stato di pace ed un equilibrio di forze in Europa, il solo che potesse consentire all'Italia di incidere ed operare in qualche modo sul piano internazionale. Ma la prima a interferire sulle nostre prospettive geopolitiche e a ostacolare le nostre iniziative diplomatiche, fu proprio l'Inghilterra che ci sabotò la "Piccola intesa" e la "Intesa balcanica", prospettive tali da stemperare la crescita politica e militare della Germania oltre certi limiti.
Da secoli, la politica britannica in Europa, dividendo, sabotando o aiutando a seconda delle opportunità, chi riteneva necessario, si era sempre mossa nell'ottica di ostacolare la nascita sul continente di una nazione forte ed economicamente indipendente, capace di aggregare a sé tutti gli altri Stati Europei. E quando questo impedimento non era più possibile con i ricatti, gli accordi e le vie diplomatiche, la Gran Bretagna si era sempre indirizzata verso la soluzione bellica.
Fu con questa atavica strategia che, fino al 1935 gli inglesi, spregiudicatamente, consentirono, anzi aiutarono con una serie di accordi, come quello navale, i tedeschi ad uscir fuori dalle strettoie e dagli impedimenti di Versailles. Ma da quella data in poi, quando parve oramai evidente, che la Germania, animata da una forte volontà di potenza e da un ritmo accelerato di ricostruzione industriale e militare, minacciava di divenire lei, quel polo capace di aggregare l'Europa, gli inglesi mutarono politica e si indirizzarono decisamente verso guerra.
La politica di appeasement degli inglesi espletata in quegli anni, lungi dall'essere stata la politica degli ingenui o degli amanti della pace ad ogni costo (gli inglesi, poi, figurarsi!), costituiva invece una opportuna condotta temporizzatrice, dettata dalla necessità di mediare con le varie componenti interne al paese (non tutte schierate su posizioni guerrafondaie ed antitedesche) una politica verso la Germania accettabile da queste componenti, ma sopratutto era una politica necessaria per preparare quel riarmo e quella maturazione politica indispensabile per colpire e distruggere una volta per tutte la Germania stessa.
Chamberlain, l'uomo dell'ombrello e dell'appeasement e Churchill, l'uomo dei sigari e noto guerrafondaio, in definitiva rappresentano due diverse facce di una stessa medaglia ed entrambi erano espressione di situazioni storiche, politiche e militari, contingenti affatto diverse, ma sostanzialmente tese allo stesso fine, da raggiungere seppur in modi diversi e secondo le necessità del momento: la distruzione dell'egemonia tedesca in Europa.
Gli accordi di Monaco (settembre 1938) furono il limite temporale della politica di appeasement: da quel momento in poi, essendo l'Inghilterra sufficientemente in grado di sostenere un conflitto, i suoi atteggiamenti cambiarono improvvisamente direzione e presero a far soffiare, neppure troppo sotto banco, i venti di guerra.
Ma come abbiamo accennato, su quell'asse "Londra - New York" si giocava anche una altra strategia, una sottile strategia occulta che trascendeva dagli interessi nazionali e geopolitici delle singole nazioni perchè, attraverso determinati centri di potere transnazionali, certe "consorterie" miravano a quegli obiettivi "mondialisti" prima accennati. E questi centri di potere, con l'appoggio che ebbero da parte di Churchill e di Roosevelt, riuscirono ad imporre una strategia politica e militare univoca alla condotta bellica degli Alleati, a differenza delle nazioni del tripartito che, praticamente, andavano ognuna per conto loro. Ed era una strategia che passava addirittura sopra i rispettivi interessi nazionali tanto che, in questa contingenza storica, era ovvio che gli inglesi avrebbero, si conseguito il solito obiettivo di impedire l'unificazione del continente attorno alla Germania, ma lo avrebbero pagato con la perdita del loro ruolo imperiale a tutto vantaggio delle due nuove potenze planetarie emergenti degli USA e dell'URSS.
Il dramma di Mussolini, con una nazione né economicamente, né militarmente in condizioni di sostenere una guerra moderna, consisteva nel come poter evitare o comunque procrastinare un nostro intervento che pur appariva sempre più inevitabile, proprio nel momento in cui il paese aveva raggiunto, con la conquista dell'Etiopia gli obiettivi minimi che si era prefisso ed abbisognava di alcuni anni di pace per consolidarli e procedere, al contempo, ad un radicale ammodernamento e riarmo militare.
Ma una volta scoppiata la guerra, all'Italia rimaneva la sola scelta di intervenire militarmente al momento più opportuno, perchè sarebbe stato impossibile mantenersi neutrali in virtù dei presupposti appena accennati e dietro il rischio di farsi occupare militarmente da uno dei contendenti qualora la guerra fosse proseguita oltre il 1940 (l'Italia, portaerei nel mediterraneo, sarebbe stata certamente invasa per utilizzarla quale punto di appoggio nella guerra mondiale) e questo intervento era irrinunciabile nonostante la nostra debolezza strutturale.
L'Italia non avrebbe potuto mantenere le sue posizioni ed il suo assetto di regime a tempo indefinito e senza una guerra!
Mussolini, che ovviamente in via di principio non era contrario alla guerra (chi può esserlo, per principio, visto che la guerra non è altro che la prosecuzione della politica con altri mezzi?), ma lo era in quella contingenza per ragioni di opportunità, motivò la propria decisione di entrare in guerra basandosi su elementi tattici, strategici e di convenienza, ma non su motivazioni ideologiche, esprimendo l'assunto, come ebbe a dire a Bruno Spampanato nel 1939, che: «Solo un interesse italiano vale il sangue di un italiano».
Forse proprio Mussolini che in quell'estate-autunno del 1939, fu spettatore ed in parte attore di avvenimenti che non desiderava e non gli piacevano affatto e cercò disperatamente di fermare, poteva tra i tanti attori e comprimari dell'epoca esprimere un giudizio obiettivo, sia pur relativo e in parte errato, su chi effettivamente aveva voluto scatenare l'immane conflitto.
Ebbene, proprio a Mussolini, che lo confidò a Ciano durante i primi anni di guerra e poi lo ebbe a ripetere in qualche altra occasione negli ultimi mesi della Repubblica Sociale, si deve la più esatta interpretazione delle responsabilità che portarono alla Seconda Guerra Mondiale.
Il Duce dichiarò, infatti, che la responsabilità di questo conflitto andava ascritta a pari demerito, ovvero al cinquanta percento per uno, agli inglesi ed ai tedeschi.
Oggi, alla luce di quanto sappiamo, possiamo integrare e precisare meglio questa affermazione, nel senso che la responsabilità tedesca è stata quella di aver innescato, nell'agosto-settembre del 1939, un processo bellico -ad ogni costo- che è inevitabilmente sfociato nella guerra mondiale, ma con mezzi e fini evidenti e limitati ad un successivo espansionismo verso l'est europeo e con il chiaro intento di tenere fuori gli occidentali dalla guerra o comunque di cercare poi, eventualmente in un secondo momento, un aggiustamento con loro.
In realtà Hitler considerava Danzica come un passaggio verso l'attuazione dei suoi progetti geopolitici ed è quindi superfluo soffermarsi su le pretese buone intenzioni tedesche nell'offrire ai polacchi, ragionevoli e giuste offerte, perchè in realtà lo scopo del Führer andava al di là del problema di Danzica e trovava la sua risoluzione nella guerra di conquista ad est.
È indubbio però che il desiderio primario di Hitler, partendo dal presupposto di voler evitare l'intervento inglese, pur previsto dalle clausole di garanzia offerte dai britannici ai polacchi, era quello di costringere la Polonia a cedere Danzica e il corridoio ed a coinvolgerla nei suoi progetti verso l'Est, non ad invaderla ed occuparla come poi è invece accaduto, perchè il Führer sapeva benissimo che in quest'ultimo caso non avrebbe potuto evitare la guerra con gli anglo-francesi.
Per la Germania, comunque, non c'era soltanto l'intento di sfruttare un momento storico favorevole per realizzare le sue mire, ma c'era anche la necessità di lottare contro il fattore tempo perchè era evidente, era scontato che in prospettiva, neppure a troppo lungo termine, le democrazie, essendo economicamente e militarmente superiori ad essa, avrebbero raggiunto una decisiva superiorità sulla Germania e quindi l'avrebbero attaccata e distrutta.
Senza contare il problema della Russa Sovietica che avrebbe potuto fare altrettanto in ogni momento e del resto, la politica staliniana, che pur portò agli accordi con la Germania dell'agosto 1939, era fondamentalmente una politica antitedesca e come tale sarebbe sicuramente sfociata in uno scontro armato con la Germania.
Era infatti evidente che se Hitler arrivò a stipulare quel genere di accordi con il diavolo (il patto "Ribentropp-Molotov" dell'agosto '39), sperando nel loro deterrente atto ad evitare la guerra con l'Inghilterra o viceversa per coprirsi le spalle se questa si fosse verificata, Stalin da parte sua aderì con entusiasmo a quegli accordi, non soltanto per i vantaggi espansionistici che i paragrafi segreti sottoscritti tra Molotov e Ribbentrop prevedevano, ma anche nella segreta e fondata speranza che, con tali accordi, il Führer si sarebbe buttato a capofitto nella guerra contro gli occidentali.
La responsabilità, viceversa, dell'Inghilterra o meglio di tutte quelle forze, lobby e consorterie internazionali che condizionavano l'Inghilterra e che avevano il loro centro di potere anche negli Stati Uniti consistette nel cercare, con irriducibile perseveranza e provocandole al momento più opportuno, le condizioni necessarie per scatenare -altrettanto ad ogni costo- una guerra di distruzione totale della Germania, forte della possibilità di mettere in campo, alla lunga, una coalizione mondiale ed un arsenale bellico imponente (nel 1939 Roosevelt varò un costosissimo e imponente riarmo «sui due oceani» proprio in prospettiva di quella guerra mondiale a cui mirava).
Esse trovarono il momento propizio, le condizioni adatte, sia politiche che militari, per offrire una incredibile garanzia unilaterale alla Polonia, sobillandola ad opporsi ad ogni accordo con i tedeschi, e poi si vide chiaramente come questa non venne minimamente sostenuta e neppure difesa dalla successiva invasione sovietica, a dimostrazione che la Polonia fu il pretesto, per spingere la Germania alla guerra.
Per la verità questo conflitto doveva iniziare qualche giorno prima, esattamente il 26 agosto del 1939, data scelta da Hitler per l'attacco alla Polonia, coperto dall'accordo con Stalin e forte del patto d'acciaio che impegnava l'Italia ad appoggiare anche militarmente i tedeschi, sperando così in un deterrente che avrebbe tenuto a freno gli occidentali.
Ma come la Germania, in barba agli impegni che avevano portato alla stipula del patto d'acciaio, aveva ingannato l'Italia circa i tempi per i quali avrebbe cercato una soluzione bellica ai propri problemi (si erano promessi e ci si era impegnati per circa tre anni), così l'Italia, con la scusa dell'impreparazione militare e la richiesta di materiali eccessivi ed impossibili, si defilò dall'obbligo di seguire la scelta bellica tedesca dichiarandosi, come effettivamente lo era, non pronta a scendere in campo a fianco della Germania.
Ancora una volta gli stretti interessi nazionali prevalevano su di un interesse ed una strategia che, di fronte alla volontà distruttiva dell'Occidente, avrebbe dovuto essere comune!
Non possiamo sapere se, come prevedeva la strategia di Hitler che considerava l'Italia, pur con tutte le sue debolezze militari, come un deterrente per tenere a freno Francia ed Inghilterra dall'intervenire a fianco della Polonia, una decisione italiana di appoggiare militarmente la Germania in quel momento, avrebbe potuto veramente scongiurare l'attacco dell'occidente materializzatosi poi il 3 settembre 1939, ma temiamo che, nonostante la complicazione italiana, l'Inghilterra probabilmente avrebbe dichiarato ugualmente guerra alla Germania, visto come era stato preparato il "momento storico" tanto atteso e come sottobanco si era spinta la Polonia a quell'atteggiamento bellicista.
Comunque sia è un fatto che il defilarsi italiano ebbe poi nei mesi successivi tutto un seguito di nostri atteggiamenti politici tesi, di fatto, a prendere le distanze dalla Germania stessa.
In definitiva ritornava evidente che Mussolini ed Hitler si muovevano su presupposti ed interessi geopolitici unilaterali e particolari e questi presupposti non erano gli stessi per entrambe le nazioni.
Molto probabilmente fu proprio, da una parte, l'impossibilità di restare, per il nostro paese, a lungo neutrali senza correre gravissimi rischi o comunque senza non perdere tutti i vantaggi conseguiti anni addietro dalla politica italiana, e dall'altra per l'incalzare delle stupefacenti vittorie tedesche (senza contare il manifesto intento delle democrazie per l'abbattimento del fascismo), che impedì all'Italia dal tenersi fuori dalla guerra e di seguire la strada della Spagna.
L'Italia, ironia della sorte, fu oltretutto volutamente trascinata dagli occidentali in guerra al momento opportuno, aprendogli apparentemente e poi chiudendogli sostanzialmente ogni spiraglio diplomatico e ponendola sotto pressione con l'internamento o il fermo delle sue navi mercantili, in particolare quelle carbonifere, indispensabili alla sopravvivenza dell'industria.
Non a caso gli inglesi, che rispetto ad altri paesi neutrali che pur commerciavano con la Germania, non presero particolari provvedimenti militari, con l'Italia invece puntarono ben presto alla ostruzione -manu militari- delle nostre importazioni di carbone, con l'evidente duplice scopo di forzare un totale ribaltamento, una defezione dell'alleanza italiana dall'Asse (che avrebbe di fatto liquidato anche il fascismo) o, come alternativa, di costringere comunque ed al momento opportuno l'Italia alla guerra visto che, comunque, Churchill puntava all'allargamento a dismisura del conflitto proprio per renderlo irreversibile e in attesa del sicuro, ma non accora vicino, intervento americano.
Era, quella inglese, una strategia di media portata, con la quale si teneva sulla corda il governo italiano e ci si riservava il momento più conveniente per coinvolgerlo nella guerra.
L'Italia fascista prima o poi doveva morire! e lo evidenzia spesso Churchill nei suoi ricordi, quando afferma che «se Mussolini avesse voluto …», dove quella frase nasconde il rammarico che Mussolini, seppur duttile e disponibile ad accordi e trattative di ogni genere, non voleva assolutamente rinunciare agli interessi geopolitici della propria nazione e al carattere peculiare del suo Stato.
In quei mesi ci si trovava, praticamente, in presenza di un balletto fatto di ammiccamenti, lisciamenti alternati ad irrigidimenti e manifesti atti di ostilità nei confronti del nostro paese.
La nostra "non belligeranza", pur con tutte le sue carenze politiche, rispondeva in ogni caso, alla difesa dei nostri interessi e quanto accadde dopo con il nostro inevitabile intervento, configurato in una condotta di "Guerra Parallela", fu del tutto consequenziale.
Nel "Memoriale panoramico al Re" Mussolini il 31 marzo 1940, inquadrando perfettamente la situazione, scrisse quanto segue :
«Se si avverrà la più improbabile delle eventualità, cioè una pace negoziata nei prossimi mesi, l'Italia potrà, malgrado la sua non belligeranza, avere voce in capitolo e non essere esclusa dalle negoziazioni: ma se la guerra continua credere che l'Italia possa rimanere estranea fino alla fine, è assurdo e impossibile. L'Italia non è accantonata in un angolo di Europa come la Spagna, non è semiasiatica come la Russia, non è lontana dai teatri di operazione come il Giappone o gli Stati Uniti; l'Italia è in mezzo ai belligeranti, tanto in terra, quanto in mare. Anche se l'Italia cambiasse atteggiamento e passasse armi e bagagli ai franco-inglesi, essa non eviterebbe la guerra immediata con la Germania, guerra che l'Italia dovrebbe sostenere da sola. È solo l'alleanza con la Germania, cioè con uno Stato che non ha ancora bisogno del nostro concorso militare e si contenta dei nostri aiuti economici e della nostra solidarietà morale, che ci permette il nostro attuale stato di non belligeranza... L'Italia non può rimanere neutrale per tutta la guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza squalificarsi, senza ridursi al livello di un Svizzera moltiplicata per dieci. Il problema non è quindi sapere se l'Italia entrerà in guerra o non entrerà in guerra, perchè l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra. Si tratta soltanto di sapere quando e come: si tratta di ritardare il più a lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra: a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la decisione; b) perchè l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi, come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti».
Oggi, sia pure a poco a poco, la storiografia sta iniziando un processo di revisione, molto più obiettivo che nel passato. Non è un caso che sull'ultimo numero di "Nuova Storia Contemporanea" (marzo-aprile), Antonio Ciarrapico abbia affermato, inquadrando perfettamente il contesto storico, quanto segue:
«Il capo del governo italiano era stato colto di sorpresa dal precipitare degli eventi che avevano condotto al secondo conflitto mondiale. La sua prima reazione, nonostante l'imbarazzo mostrato verso l'alleato, era stata senz'altro negativa. Egli non intendeva venir trascinato in una guerra il cui esito gli appariva pur sempre molto incerto, malgrado la probabile superiorità della macchina bellica tedesca. Ma indipendentemente dai rischi che l'intervento comportava, si rendeva conto che l'Italia, già provata dallo sforzo compiuto negli anni precedenti in Africa e in Spagna, non era militarmente, nè spiritualmente preparata alla guerra».
Per concludere possiamo dire che in quella contingenza storica le indecisioni, le stranezze e le fasi altalenanti e contraddittorie della politica italiana, erano in realtà una diretta conseguenza della opportunità di difendere i nostri interessi geopolitici e del modo, non certo semplice, di come poterli tutelare e non di una manifesta incapacità o dabbenaggine di Mussolini.
Se questa condotta fu poi ideologicamente corretta o strategicamente opportuna e giusta è un interrogativo che altri potranno disquisire, ma che resterà sempre relegato al senno del poi.
 

Maurizio Barozzi