Italia - Repubblica - Socializzazione

 

La parola e il silenzio

Roberto Sestito
 

Ci sono voluti anni, e l’impegno di alcuni studiosi, per mettere a nudo la vera personalità di Julius Evola. Il personaggio aveva riempito i sogni dei giovani di destra della mia generazione, i quali avevano visto nel filosofo siciliano l’alfiere di un eroico ghibellinismo che egli riusciva a tenere in piedi tra le rovine degli uomini e delle idee del dopoguerra. Probabilmente ce ne vorranno molti altri di anni perché gli venga resa totale giustizia, nell’interesse soprattutto di coloro i quali credono nel rinnovamento italiano visto da destra.
Che fine abbia poi fatto quella “destra radicale” che si era impegnata a favore di un “ordine nuovo” in Italia e in Europa è presto detto: la vediamo in formazione sparsa al seguito dell’armata Brancaleone capeggiata da Silvio Berlusconi (non si sa ancora per quanto tempo), la quale ondeggia tra simpatie per il vecchio ordine capitalistico filo-sionista e neo-atlantico e l’ancor più vecchio e becero curialismo vaticano sempre uguale a se stesso. Tutta roba vecchia. Ma a dire il vero il cuore di questa neo-destra batte più sul fianco cattolico: celebri infatti le sparate di Berlusconi, Buttiglione & C. sulle radici cristiane dell’Europa che riecheggiano quelle di Mussolini, alla vigilia dei Patti Lateranensi, sulla superiorità del golgota sul Campidoglio.
E allora: se quella “destra” ha fatto questa fine, con chi vogliamo prendercela, col maestro che ha predicato “bene” o con i seguaci-discepoli che hanno appreso “male” la lezione? Ai posteri la non tanto ardua sentenza.
Nell’occuparmi del presente e delle pubblicazioni che si leggono in giro sui rapporti tra fascismo ed esoterismo che mi spingono a scrivere questa nota, rattrista costatare negli scrittori che esaltano costantemente la vita e le opere del filosofo di Palermo -con qualche piccola e lodevole eccezione- un’ottusità che non premia la loro tenacia e un’assenza di spirito critico che oscura la loro intelligenza.
Ricordo ancora una volta che l’aureola di intoccabile il barone Giulio C. l’ha persa nel momento in cui è stato svelato -con abbondanza di prove e da una fonte autorevolissima- l’inganno e la mistificazione dell’Evola esoterista e iniziato pagano, immagine di un ruolo che l’Evola stesso da vivo aveva contribuito a ritagliarsi ricorrendo però, come è stato provato, alla frode e all’inganno. Ruolo che non può essere invece confuso, non ci stancheremo mai di sottolinearlo, con quello dell’intellettuale,
Con “Imperialismo Pagano”, il libro pubblicato nel 1928, Evola sperava di conquistare il primato oltre alla definitiva consacrazione nel campo degli studi dell’esoterismo pagano e romano. Arturo Reghini, parlando del volume appena uscito, si pronunciò in maniera lapidaria: «E metterò a posto vari individui, tra gli altri Evola, il quale col suo "Imperialismo Pagano" fa gran rumore e fa finta che io non sia neppure esistito» scrisse in una lettera indirizzata ad Armentano il 6 luglio 1928.
Oggi sappiamo che nelle parole di Reghini non v’era nulla di personale, risuona secca e inappellabile la sentenza del supremo magistero della Roma arcana.
Presi dalla stessa passione filosofica di Evola e a differenza di Evola, altri studiosi di tradizionalismo romano e di tradizioni orientali in genere, meritevoli di elogi e di riconoscimenti pubblici e privati, non aspirarono mai ad essere riconosciuti come i registi palesi od occulti di un esoterismo che in quegli anni cercò di influenzare il movimento fascista in senso pagano e romano. Sapevano di non possedere le qualificazioni, il carisma, i poteri e le qualità interiori per poter esercitare un simile influsso, qualificazioni e poteri che quando esistono devono essere riconosciuti da più parti.
Evola era solo e semplicemente (e non è poco) un abile e intelligente scrittore tradizionalista, dote riconosciutagli in molte occasioni, ambizioso ed egocentrico, in cerca di una sua collocazione nel mondo accademico e degli studi storici e filosofici.
Di conseguenza la querelle di Evola con Reghini, va letta per quella che è stata: una polemica tra due forti personalità; che da un lato merita di essere approfondita perché può essere una chiave utile a restituire il giusto peso e il giusto prestigio a due personaggi dal calibro spirituale e metafisico totalmente diversi; dall’altro perché soltanto attraverso un’analisi scevra di risentimenti e di pregiudizi si potrà forse in futuro sperare di avvicinarsi ad Evola per la sua preparazione culturale e a Reghini per la sua “scienza spirituale” e per il suo magistero iniziatico.
Inoltre, tra le pieghe di quella polemica si nasconde un dramma politico che tocca tutti gli italiani, dramma che sarebbe ingiusto ed errato, e a profitto di chi possiamo immaginare, ridurre a un malinteso tra uomini, se solo per un attimo tenessimo presente il destino dei due uomini, uno dei quali ha fatto carriera nel mondo della cultura fascista soprattutto cavalcando il pregiudizio anti-massonico e approfittando delle leggi razziali di ispirazione germanica, mentre l’altro, impedito di portare avanti il suo disegno meta-politico si chiuse in un dignitoso ed eloquente silenzio, un silenzio pari, e certamente non privo di grave disdegno, al volontario esilio di altri personaggi non inferiori in saggezza e prudenza a Julius Evola.
Qualcuno potrebbe subito obiettare: non è stato un bene che Evola abbia trovato il modo e abbia occupato lo spazio culturale, in un periodo difficile come il ventennio fascista, per esprimere certe idee in controtendenza con lo stesso regime? A questa obiezione si può prontamente controbattere dicendo che oggi, anche se con il senno di poi, sappiamo che non è stato un bene, sappiamo che la partecipazione di Evola e il contributo da lui dato agli studi tradizionali è servito a tenere vivo il riflusso contro-iniziatico della destra, sfociato nel neo-conservatorismo atlantico e nella politica servile del pantano democratico e clericale di questi anni.
E se l’albero si giudica dai frutti, questi sono frutti raccolti da un determinato albero. Certamente non il solo, ma sicuramente l’albero al quale i giovani di destra della mia generazione si erano in buona fede avvicinati per trovare linfa e nutrimento.
I pochi che non si fecero condizionare dall’ideologia e che una volta divenuti adulti si erano adoperati con tutte le loro forze e impiegando le loro migliori energie per vederci chiaro, presero a scandagliare in quel poderoso movimento esoterico degli inizi del secolo XX finché non si avvicinarono a piccoli passi alla verità dei fatti ed infine, senza vantarsi di aver scoperto l’acqua calda, non fecero altro che cercare la conferma dell’esistenza di un’ininterrotta catena iniziatica italica e pagana che a volte nel silenzio, a volte discretamente, altre volte in modo eclatante si è trasmessa di tempo in tempo in terra italica dalle origini mitiche ai tempi nostri, nel rigoroso rispetto delle regole imposte a una simile tradizione e che scrittori molto avveduti e preparati hanno puntigliosamente descritto.
Di questa occulta scuola italica, pitagorica e pagana, Amedeo Armentano è stato l’indiscusso e riconosciuto capo, Reghini uno dei discepoli principali, ma non il solo e non il più privilegiato in quanto probabilmente altri, tra cui anche chi non ha mai scritto un rigo o non ha mai fatto un discorso in pubblico, ha continuato il lavoro a suo vantaggio e di chi si è esposto alle incomprensioni e alle polemiche.
Per concludere: da una netta distinzione dei ruoli, e da un onesto riconoscimento del destino degli uomini, specie quando gli uomini obbediscono nelle loro azioni ad un imperscrutabile disegno degli dei, si potrà ripartire per un lavoro politico e spirituale che pur tenendo conto della rivoluzione scientifica di questi ultimi anni, sappia proporre per il nostro popolo un rinascimento di idee e di energie attraverso il quale, come già nel passato, il nostro popolo possa rinascere suscitando, come in altre occasioni, lo stupore e la meraviglia del mondo.
 

Roberto Sestito