Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Con il permesso di Sua Santità

Giorgio Vitali

 

«Potrete ingannare tutti per un po’, potrete ingannare qualcuno per sempre, ma non potrete ingannare tutti per sempre»

Abramo Lincoln, 16° pres. USA (da A Randazzo, "Dittature, la storia occulta", Il Nuovo Mondo, 2007)

 

«I teologi di tutte le religioni sono tutti eguali; non risparmiano a parole o a scritti, per accomodare secondo le loro passioni, la loro autorità o i loro capricci, la legge di Mosè, o quella di Gesù Cristo, o quella di Maometto»

Napoleone

 

«Quando Tiberio depravava i Romani, questi conservavano un resto di rimorso, che appariva in Tacito. Quando il papa Alessandro VI depravò l’Italia, Machiavelli, libero d’ogni rimorso, fondò la teoria del delitto canonizzato, ed il Tacito cattolico del Secolo XVI fece l’apologia di tutto ciò che aveva esecrato l’empio Tacito pagano»

Edgar Quinet, "Le rivoluzioni d’Italia", Laterza, 1970

(Quando il Quinet venne in Italia, fu sorpreso ed afflitto dalla scoperta che per lo più in Italia non si parlasse italiano, e la lettura di Silvio Pellico lo sconvolse non tanto per le rivelazioni sulle prigioni austriache, quanto perché si rese conto che un uomo come Pellico poteva nonostante tutto condividere ancora la rassegnazione passiva di Guicciardini. [dalla prefazione di Denis Mack Smith])

 

«Fino a quando, in questo grande corpo restano una speranza ed un fiato, mi sembra sia un bene non guarir troppo presto dell’odio impiantato da Petrarca e da Machiavelli; la sola passione, dopotutto, che impedisca ai morti di dissolversi: i popoli non debbono offrire le due guance al nemico. Ciò non è cristiano, né pagano, né divino, né umano»

E. Quinet, "Allemagne et Italie"

 

«Di qui nacque che tutti i profeti armati vinsono, e li disarmati ruinorno. Perché la natura de’ populi è varia; è facile a persuadere loro una cosa, ma è difficile fermarli in quella persuasione; e però conviene essere ordinato in modo che, quando non creda più, si possa fare credere loro per forza»

N. Machiavelli, "Il Principe", dalla prefazione di Benito Mussolini, a cura di P. Caporilli, Nastasi, 3 ediz. 1967

 

Credenti e fedeli. Una categoria sociale
Atlantide, Eldorado, L’Oceano. L’isola del tesoro, di Stevenson, il mondo di Peter Pan, Sodoma e Gomorra, Avalon, Thule, Lyonesse, Lemuria…
L’uomo ha bisogno di individuare le proprie radici in un passato indefinito ed armonioso, simile ai racconti fiabeschi… Evidentemente le Religioni nascono all’interno di questi bisogni e sono gestite in funzione di presunti, ancestrali, ricordi.
Ma non è questo l’argomento che vogliamo trattare, bensì alcuni avvenimenti che si vanno dipanando sotto i nostri occhi e sui quali vale la pena di squarciare le molte coltri difensive messe in posizione per coprire operazioni di più vasta portata.
Da qualche tempo, infatti, è partita un’operazione tendente a scatenare una nuova faida di quartiere sulla base di non obiettivabili opposti estremismi. Diciamo che questi estremismi sono presuntivamente opposti perché non muovono da ideologie e classi differenti, perché tale differenza potrebbe riguardare al massimo la squadra di calcio per la quale si esercita la nobile professione di tifo, anche perché più che ai tempi tratteggiati da Pasolini, l’omologazione esistenziale nelle periferie non più operaie o sottoproletarie, è tale da non lasciare spazio a differenziazioni credibili. Finora, però, la risposta dei presunti bersagli di questa subdola manovra è stata molto fiacca, anche perché il recente passato brucia ancora.
Occorre precisare che noi riteniamo trattarsi di un’operazione preordinata proprio per le ripercussioni sui Media, che hanno esagerato nel dare risalto agli avvenimenti, a dimostrazione che il tutto era stato preparato a tavolino. In particolare, è stata pompata la notizia che la corona d’alloro posta sotto la lapide ai caduti della «difesa di Roma» del 9 settembre 1943 è stata data alle fiamme.
In questa mansione si è particolarmente distinto "l’Osservatore Romano", quotidiano ufficiale della Santa Sede, che ha pubblicato un pezzo ripreso in un secondo tempo da "Repubblica".
Secondo il commentatore del Vaticano, fascisti e antifascisti «non sono uguali. Occorre respingere la melassa che pone tutti sullo stesso piano, nel segno ambiguo di parole come vincitori e vinti. [Nota: finalmente qualcuno, da parte dell’ufficialità, denuncia l’ambiguità dolciastra di questa terminologia e quindi l’invenzione strumentale]. L’atto vandalico -continua il commentatore clericale- è frutto di un’ondata crescente di relativismo dei valori, conseguenza del clima politico-culturale instauratosi da oltre un decennio e che durante i governi del Polo ha trovato il suo momento propagandistico nel rifiuto di Berlusconi a partecipare ai riti in onore della resistenza. Un’aggressione come quella alla lapide è inevitabile quando si mette sullo stesso piano chi ha combattuto per la libertà e chi era dall’altra parte. È uno sfregio (nientemeno!) a quanti dettero la vita… Dimostrato anche dal comportamento in Aula dai deputati e senatori della Casa delle Libertà, in un quadro generale di relativismo dei valori che ogni giorno si arricchisce di nuovi tasselli».
E fin qui il quotidiano ufficiale della Santa Sede. Non siamo della casa delle Libertà e quindi lasciamo agli esponenti di quel partito l’autodifesa. Che si baserà, lo potremmo giurare, su dichiarazioni e spergiuri di fedeltà a Santa Romana Chiesa ed alle sue istituzioni, condite sicuramente da lacrimose rampogne per esser vittima di questa "ingenerosa" accusa. Per quanto ci riguarda abbiamo altre cose da sottolineare e lo facciamo qui appresso, non senza aver mancato di evidenziare l’evidente sproporzione fra le dichiarazioni del foglio clericale ed il fattaccio che le ha provocate, che potrebbe esser stato provocato da un balordo o, peggio, da un provocatore.
Per quanto riguarda poi la memoria dei fatti di Porta San Paolo è più che sufficiente il monumento di ferro arrugginito che testimonia il "valore" che i resistenti stessi, i loro eredi politici o presunti tali hanno finora dato a quell’evento.

A proposito di relativismo dei Valori
Il credente, il fedele, vive in un eterno presente. Segue le funzioni, crede ai miti, per strampalati che siano, prende per buone le prediche che invitano ad «essere buono», ad imitare i comportamenti di Gesù, a compiere buone azioni, soccorrere i bisognosi, come il samaritano, e, soprattutto ad «amare il prossimo». Quest’allontanamento dalla realtà indotto dai riti produce una riduzione delle possibilità percettive (il ricordo, la memoria) che nuoce molto alla vita concreta del credente, tenendo conto, soprattutto, che il Cristianesimo cattolico pretende di rappresentare attraverso i suoi riti, frammenti di vita realmente vissuta in un passato per noi, che su queste cose siamo abituati a ragionare, del tutto ipotetico.
L’immersione nel rito induce la dimenticanza, posto che se ne sia a conoscenza, dell’elaborazione concettuale durata secoli (Tommaso muore nel 1274), che ha portato alla promulgazione dei dogmi, i quali a loro volta sono stati difesi atrocemente con la sofferenza del tutto gratuita e la morte fra dolori per noi oggi inimmaginabili di milioni di persone: eretici, scismatici, propugnatori d’altre religioni, pagani, streghe, maghi e quant’altri.
Non siamo qui per scrivere un trattato sulla religione e men che meno di teologia, ma per rispondere alla provocazione di un articolo che nella sua ottusa e sottintesa violenza, sembra voler contribuire all’apertura di un baratro funzionale alla nascita d’opposti estremismi tra i quali poter prendere con facilità posizione di parte. E questa nota ci serve anche per rendere evidente quanto l’obnubilazione indotta della memoria possa essere funzionale alle strategie di potere. E non si tratta solo di memoria che dovrebbe affondare nella notte dei tempi.
Il giorno 19 luglio scorso, infatti, i media hanno riportato la notizia dell’avvenuta manifestazione in memoria delle vittime del bombardamento angloamericano di Roma avvenuto mentre Mussolini incontrava Hitler a Feltre. Si tratta di un grave episodio di terrorismo aereo, preludio al crollo del 25 luglio. Premesso che il 19 luglio 1943 era assai antecedente all’otto settembre, quindi alla fuga del re e dei generali felloni, il cronista di "Repubblica" ha riportato l’avvenimento come momento della resistenza, mentre Roma era occupata dai tedeschi. Ora, se è possibile falsificare platealmente avvenimenti di soli sessant’anni fa, possiamo immaginare quanto sia facile giocare su una pseudo documentazione vecchia di millenni.
Da questo punto di vista, ci sembra che le popolazioni cosiddette primitive o anche le grandi civiltà precristiane giochino più pulito. I riti sono per lo più forme di magia, ritualizzata attraverso ricorrenze, corrispondenze astrologiche ed astronomiche, periodizzazione della produzione agricola e quant’altro, affinché tutta la popolazione vi possa partecipare. Il rito, che attraverso le sue manifestazioni identifica una religione, è elemento di coesione sociale. Questa è la ragione per cui avviene un fenomeno apparentemente inspiegabile: la persistenza di una religione come fattore costante di una specifica società. L’incidenza degli abbandoni e delle abiure è minima in rapporto alla stragrande maggioranza della popolazione che si dichiara appartenere ad una data religione.
Secondo Thomas Saint ("Prometeo", n. 98, Giugno 2007, Mondadori), la religione costituisce l’insieme delle credenze e degli atti di culto che legano la vita di un individuo o di una comunità con ciò che si ritiene un ordine superiore o divino. È evidente che durante il progredire storico, le società hanno accentuato di volta in volta gli aspetti interpretativi della religiosità secondo le concezioni del mondo prevalenti in ogni particolare momento.
Stupisce pertanto che gli esponenti del Clero, curia in testa, accettino che la partecipazione dei fedeli (di quelli che si definiscono fedeli) ai riti settimanali sia ridotta a proporzioni minime. Fino a pochi decenni fa la partecipazione ai riti, se pur non propiziata dalla fede, era almeno imposta dalle convenienze sociali, ipocrisia compresa, e questa teneva ancora coeso il gruppo sociale secondo convenzioni che erano, appunto, sociali. Ciò c’induce a dichiarare che, se nemmeno il fedele sente il bisogno di partecipare ai riti in «fusione mistica» (il termine mistico deriva direttamente da "misteri"; Paolo Scarpi, "Misticismo e mistero", Prometeo n. 97, Marzo 2007) con gli altri fedeli della comunità d’appartenenza, ci vuol poco a capire che il sistema è in crisi.
E non valgono più la grandi ambientazioni che, dando risalto agli aspetti più nobili e più alti dell’arte, vero punto di forza della tradizione cattolica, come l’architettura dei templi, i quadri, le statue, la ridondanza dei gioielli con cui abitualmente si coprono le immagini della madonna, contribuivano all’elevazione morale degli individui. Il papa precedente, Giovanni Paolo II, che in gioventù aveva avuto esperienza teatrale, era riuscito a sostituire il rito con la spettacolarizzazione, tuttavia ciò non è bastato se gli stessi commentatori accreditati che assistevano alle manifestazioni di massa verificatesi in concomitanza con la lunga agonia del Pastore, non potevano esimersi dal costatare che mentre la folla si accalcava in Piazza San Pietro, per assistere allo spettacolo, le chiese continuavano a rimanere vuote, in una non voluta ma sicuramente subìta concorrenza con il rito della morte in rosa vissuto da milioni di persone nel mondo per Diana d’Inghilterra.
Ma, se ciò poteva valere per Wojtyla, dotato di un potente carisma comunicazionale, non può oggi valere per Ratzinger, freddo teologo, che n’è l’esatto contrario. Tuttavia, come ha spiegato l’antichista Jean Pierre Vernant, recentemente deceduto, lo specialista di una determinata cultura, come in questo caso l’attuale papa, ha la tendenza ad assolutizzare il suo sguardo, a pensare che non ci possono essere altre interpretazioni di una certa realtà.
Per fortuna, noi siamo in condizione di valutare con mente sgombra le differenze comportamentali legate ad altre forme di religiosità, e dobbiamo prendere atto che, mentre il cristianesimo sta subendo le conseguenza della modernizzazione da esso non combattuta in maniera adeguata, anzi accettata fin dai tempi di Cartesio a sostegno della visione dualistica se non manichea (il manicheismo fa parte integrante della storia della chiesa) della natura e della vita, altre Religioni, come quelle orientali e come l’Islam hanno saputo resistere all’assalto della modernità, tant’è vero che l’Islam è tuttora sotto attacco.
Occorre aggiungere che è proprio l’Italia il paese da cui s’irradia la modernità delle idee scientifiche e politiche, confermato anche dal grande progresso che la medicina "scientifica" ha conseguito dal seicento in poi, proprio in Roma. E tutto ciò deve far riflettere.
Mentre Vanini, Bruno, Campanella, Sarpi hanno un destino atroce, a Galileo viene riservato il trattamento opposto, anche se apparentemente il processo al quale è sottoposto lo colloca tra le vittime dell’inquisizione. Il fatto è, come in precedenza rilevato, che c’è una sostanziale differenza fra una visione olistica dell’Universo (o del Multiverso, come sostenuto dal Bruno) ed una concezione dualistica, qual è quella propugnata dalla scienza, secondo la quale da una parte c’è un cervello che conosce e cataloga e dall’altra una materia bruta mossa da leggi che sono automatismi che solo l’uomo può conoscere con l’ausilio della matematica. Pertanto, una teoria molto antica, elaborata, così si dice, da Aristarco di Samo, anch’esso condannato per empietà, nel terzo secolo avanti l’era volgare, viene riesumata perché funzionale al nuovo sistema di potere che sta sorgendo, ma che proprio di questi tempi si trova in via del tramonto, come dimostrato dal fondamentalismo religioso, già definito manifestazione matura della modernità e dal "totalitarismo laicista" anch’esso frutto diretto dell’ideologia modernista, come afferma l’editorialista inglese Tobias Jones, che scrive: «I fondamentalisti della tolleranza impongono tirannie relativiste». Tant’è vero che siamo portati a situare in questa temperie ideologica gli avvenimenti che stiamo commentando.
È in questo desolante panorama che abbiamo potuto assistere a due epifenomeni.
L’abolizione del Limbo e la riammissione della Messa in Latino.
Il Limbo, dogma che ha resistito 800 anni, è stato eliminato dalla faccia dell’aldilà con un documento della Commissione Teologica Internazionale. Il testo era in discussione dal 2004, quando a presiedere la commissione c’era Ratzinger, che ha approvato il documento in veste papale, quindi con tutti gli "attributi" del caso, lo scorso 19 gennaio. Il Limbo, spiega la commissione, riflette una visione eccessivamente restrittiva della salvezza, mentre la "misericordia" di Dio è più grande anche del peccato originale. Su quest’argomento non entriamo nel merito, ma, oltre a costatare che dopo millenni di pensate e d’escogitazioni se ne sono accorti solo adesso, ci limitiamo a far presente che l’eliminazione con un tratto di penna materiale, molto materiale, di una supposta realtà ultraterrena non è cosa da poco.
O si vuole riaffermare un potere (per noi di carattere magico) che la Chiesa avrebbe sull’aldilà, preludio a nuove speculazioni sulle "indulgenze"; oppure si è progettato di arrivare in via soffice a conseguenze di carattere prevalentemente politico che oggi possiamo ipotizzare con una certa approssimazione. Poiché però noi che facciamo riferimento ai miti della Classicità siamo stati per molto tempo accusati di credere nelle favole, ci sentiamo confortati dal rinato, prorompente interesse per questi miti. Come testimoniato da un ulteriore libro uscito di recente. Si tratta di "Cercando Quirino" di Andrea Carandini, Einaudi, che ci narra del primo Dio di Roma e del suo doppio storico: Romolo.

Un problema etico ed al tempo stesso di Stato di Diritto. Perché siamo risorgimentalisti
Non stupisca questo nuovo aggettivo. In effetti non c’è una parola che possa rappresentare un atteggiamento politico e culturale favorevole al Risorgimento nazionale, fenomeno complesso di riscatto della "nazione italiana", che nasce proprio da e con le guerre per l’indipendenza della penisola (dal 1848 al 1945) così come la nazione palestinese nasce dalle lotte d’indipendenza contro l’invasione sionista.
Siamo consci dei molti lati oscuri del fenomeno, ne conosciamo anche i compromessi, troppo spesso penosi, ma sappiamo anche che l’uscita dal guelfismo non poteva avvenire che con la nascita dello Stato Nazionale, secondo le aspirazioni dei patrioti italiani i quali, in tutte le stagioni della lunga lotta politica in terra italiana, dal Dante del "De Monarchia", all’Oriani di "Rivolta Ideale", hanno avuto come riferimento le libertà comunali ed il sogno di Federico Secondo, che, nell’ambito di una visione geopolitica sempre attuale, prevedeva un’Italia Stato, libera dalla Chiesa e guidata da un «Sovrano» nazionale.
In un ambiente culturale quale dovrebbe essere propiziato da uno Stato "risorgimentale", che è in ogni caso quello nel quale Noi viviamo, nonostante le circostanze esterne, siamo portati a stupirci per l’assenza di reazioni che la decisione di eliminare il Limbo avrebbe dovuto sollevare.
Intanto da un punto di vista etico e bioetico. Non si tratta di una questione che può interessare solo i fedeli. Perché le idee che circolano, le dottrine imposte in giovane età influenzano a fondo le modalità di pensiero. Inutile elencare l’enorme quantità d’azioni possono essere state provocate nei secoli dalla percezione dell’esistenza di un Non-luogo dove sarebbero in ogni modo approdati in tanti, pur non essendo in possesso dei requisiti minimi per sedere alla destra di Cristo. Per averne un’idea pensiamo alle feroci repressioni inglesi nei confronti degli indù, che credono la carne di maiale impura, consistenti nell’impiccarli a centinaia mettendo loro in bocca, a forza, carne di maiale.
Dal punto di vista bioetico, specie per quanto riguarda il rapporto medico-malato, esistono alcuni princìpi che possono essere influenzati, se non messi in crisi, da una modificata visione proposta per l’aldilà: il principio d’autonomia, quello di beneficenza, quello di non-maleficenza, ed infine il principio di giustizia, che si riferisce all’obbligo d’uguaglianza di trattamenti e d’equa distribuzione di risorse sanitarie e di fondi da parte dello Stato. Per capire di che si tratta, occorre fare riferimento ai testi di storia della medicina che documentano a iosa l’incidenza dell’idea di Limbo nel trattamento riservato a particolari pazienti.
C’è poi un altro aspetto. Con la seconda metà del Seicento prende l’avvio in tutta Europa una visione del potere politico che si configura come Stato, cioè come entità molto meno personalizzata che in passato (sganciata dall’identificazione con la persona del re, dell’imperatore o altri principi, mentre nella Chiesa il potere religioso e temporale s’identifica sempre nella persona fisica del papa, perché "personalmente" erede della potestà di Cristo, come ci conferma il dogma dell’infallibilità papale, imposto a fine ottocento). Tale Stato non è più quello di Luigi XIV, che poteva dichiarare «Lo Stato sono io!», ma un’entità comprensiva di Istituti, magistrature (che non sono più costituite da religiosi), servizi di varia entità che rendono sempre più anacronistici i ritorni alla feudalità ed ai privilegi.
Questo Stato, che non è "laico", ma espressione della cittadinanza nella sua pienezza, è garantista, tutela i diritti fondamentali. È questo tipo di Stato che, se esistesse in Italia, dovrebbe intervenire a tutela dei cittadini, citando questo Pontificato in quanto erede diretto e corresponsabile dei pontificati precedenti in forza dell’«Eredità di Pietro», per circonvenzione d’incapace, millantato credito, truffa aggravata, con restituzione immediata del "costo del biglietto" (le indulgenze a pagamento), o alla peggio prezzi ridotti per un ulteriore "condono" sull’acquisto di un posto al "Sole".

Intermezzo culturale e bibliografico
Non si può ignorare che decisioni come quelle prese di recente dalla Curia romana sottintendono la presa d’atto dei cambiamenti anche radicali che la società post-moderna ha intrapreso. Spesso in sordina. Ma è proprio delle classi dirigenti che si rispettino la capacità di vedere oltre le immagini che sono fatte circolare per i comuni mortali.
Beninteso: classi dirigenti e non "caste", come hanno chiamato in un recente libro di successo due autori che hanno voluto descrivere una classe politica d’infimo livello come quell’italiana. Tenendo presente che non conosciamo il progetto che muove tale "Dirigenza".
Diseducati da oltre mezzo secolo d’equivoci, l’opinione pubblica italiana confonde fra democrazia, che è solo una procedura, e politica, che invece è decisione. Chi fa politica sa che deve decidere, ed ogni decisione è libera, nel senso che ognuna di queste ha la stessa legittimità delle altre e, eterogenesi dei fini a parte, la stessa probabilità di riuscita. Per noi però si tratta di intravedere fra gli atti qual è il fine ultimo che sta traguardando questo gruppo di persone che è sopravvissuto ai secoli perché ha saputo selezionare i quadri, prevedere il futuro ed agire in conseguenza con il cinismo necessario per imporre ai sottoposti la morale del "gregge", come ha ben evidenziato Nietzsche, riservando per se stessa quella machiavellica dei "pastori".
A conferma possiamo elencare due avvenimenti per noi di grande portata storica, come la reintroduzione della messa in latino (la Messa di San Pio V) e lo scandalo dei preti pedofili. Ne tratteremo in seguito.
Proprio con riferimento al caso pedofilia, che coinvolge anche la pederastia e l’omosessualità, parola quest’ultima diventata politicamente corretta, quindi non citabile in senso spregiativo, possiamo apprezzare un comportamento che tiene conto che la società contemporanea, particolarmente complessa, è anche la società della rappresentazione. Società dell’immagine che sovrasta l’informazione. E l’immagine scelta non si discosta, pur nella crisi, da quella del vecchio clericalismo inquisitoriale. L’immagine dell’uomo vestito di bianco deve mantenere e comunicare un alto livello di purezza. Costi quel che costa. [Si tratta di miliardi di dollari!]
Ed allora possiamo chiederci se il fine ultimo sia ancora la persistenza in vita dell’istituzione, della sua classe dirigente, o l’assorbimento in un più vasto movimento di stampo religioso, che tenga conto dei tempi e del potere economico del giudeo-sionismo.
È certo che le menti più fini del giudaismo, forti del particolare momento economico e geopolitico, sostenuti dal dominio pressoché incontrastato dei Media, puntano su una soluzione, peraltro già propiziata da Wojtyla in questa direzione, nel tentativo d’introdurre il cristianesimo e tutte le sue strutture ancora vive in un grande contenitore d’ideologia giudaica (Bibbia e sue propaggini storiche, psicoanalisi e derivati, fondamentalismo evangelico e derivati apocalittici). D’altronde, il Cristianesimo fu storicamente un grande contenitore d’elaborazioni dottrinarie e liturgiche di carattere indubbiamente sincretistico, il suo crogiolo fu, non a caso, l’Egitto, ed alla fine ha spiazzato tutti coloro che credevano, venendo ad impiantarsi (impantanarsi?) a Roma, d’esportare la propria religione imponendola in quel gran crogiolo di razze e di popoli e di religioni che Roma rappresentava e del quale solo di recente siamo venuti a conoscenza grazie all’archeologia…
Ma ciò che fu possibile alla "Graecia capta" che conquistò il "ferum victorem" non fu possibile ai parvenus del vicino oriente, anche per una sostanziale differenza di "peso" culturale tra loro e la classicità, così come non riuscirà ai Theocons i quali, convinti d’aver conquistato un potere duraturo, stanno portando gli USA di Bush ad una rapida rovina con la loro inutile ferocia. E tuttavia a noi pare che quel che è stato messo in piedi proprio da Wojtyla sia un colossale braccio di ferro.
Intanto, in un recente libro di Gordon Urquhart, «Le Armate del Papa, Focolarini, Neocatecumenali, Comunione e Liberazione», [Ponte alle Grazie], l’autore ci fa presente che le armate da lui presentate sono movimenti ultraconservatori. Si tratta anche d’organizzazioni che operano con riservatezza e che potrebbero avere non poche ragioni di contatto con le organizzazioni più tradizionali della Massoneria. Gli interessi posso in molti casi essere gli stessi. E poi ci sono i moltissimi Ordini Religiosi che, pur avendo perso per strada buona parte delle antiche vocazioni sono sempre attivi attraverso i loro vertici, i loro studi, seminari, corsi di formazione, scelte di geopolitica, controllo d’Università e di scuole medie. I gesuiti, ad esempio, hanno di recente fatto una scelta che deve far riflettere: hanno scelto la battaglia ecologica. Una domanda ci sorge spontanea: intendono riprendere una battaglia che, qualche secolo fa, li vide contrapposti al potere politico battersi per gli indios? E qual è il potere politico che intendono contrastare? Quello mondialista o quello localista?
È un bel quesito. (J. McIntyre, "Gli esercizi spirituali di Ignazio da Lodola", Jaka book. Gli esercizi che hanno plasmato generazioni di cattolici). In un altro recente libro, di Jean Michel Poffe, "I cristiani e la Bibbia", Jaka Book, l’autore costruisce la storia dell’esegesi biblica che non è proprio quella che persone educate al devoto rispetto della lettera biblica possono immaginare.

Rinasce il dibattito sulla religione. Rilancio della Chiesa Ortodossa

 

«A New York, si dice, ci sono novanta chiese cristiane di confessione eterodossa ed ora questa città diventa, specialmente dall’apertura del Canale del’Erie, strabocchevolmente ricca. Probabilmente si è convinti che i pensieri ed i sentimenti religiosi, di qualunque natura siano, appartengano alla tranquillità della domenica, mentre l’attività faticosa, accompagnata da pii sentimenti, apparterrebbe ai giorni ferialiۛ».
J. W. Goethe

«Grazie a milioni d’elettori intossicati da un cristianesimo primitivo, George W. Bush è arrivato alla presidenza degli Stati Uniti, e la sua convinzione di essere in contatto con Dio può sicuramente essere ricollegata alla tragedia dell’invasione dell’Iraq»
A. Munoz Molina, "El Paìs", Spagna

«… due aspetti legati al fenomeno dell’inculturazione, vale a dire il processo di penetrazione di una cultura estranea: da una parte vi sono movimenti messianici e apocalittici caratterizzati da elementi di reazione, come nel caso dei pellirosse coi loro archi, frecce e bisonti; dall’altra c’è una visione progressista che si genera quando gli elementi più tecnologicamente avanzati che si possano immaginare s’inseriscono nella visione della fine e della redenzione»
D. Flusser, "La setta di Qumran", Piemme, 2001

«La fede rappresenta in senso specifico una decisione in favore della verità, proprio perché per essa lo stesso essere è verità, comprensibilità, genuino significato (…) La fede cristiana trasforma il Dio dei filosofi in agàpe, energia inesausta d’amore creativo (…) L’Assoluto pensare s’identifica con l’amare; non è un pensiero privo di sentimenti, bensì una dinamica creativa»
J. Ratzinger, "Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico", Brescia, 1993

«Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non t’aspettavi»
Eraclito da Efeso

«Non esistono fatti, ma solo interpretazioni»
F. Nietzsche

«Non combattete mai con la religione, né con le cose che dipendono da Dio, perché quest’oggetto ha troppa forza nella mente degli sciocchi»
F. Guicciardini

«Beati son quelli nei quali sangue e ragione sono così ben mescolati che essi non sono una zampogna su cui il dito della Fortuna possa suonare il tasto che le piace. Datemi l’uomo che non è schiavo della passione ed io lo terrò nell’intimo del cuore»
Shakespeare, "Amleto"


La situazione per la politica della Chiesa non è al momento delle migliori, ma nemmeno senza vie d’uscita. Al contrario, proprio la possibilità di sostenere una dialettica serrata contro gli oppositori in una battaglia ideale capace di rimettere in gioco intelligenze e volontà potrebbe propiziare un rinascimento culturale di grandi proporzioni. Tutto dipende, a nostro avviso, dalla tempra e dalle capacità d’uomini disposti a mettersi in gioco uscendo definitivamente dal "limbo" dei compromessi e delle mezze misure.
Ma mettiamo in ordine il puzzle generale.
Alcuni libri hanno di recente mosso le acque stagnanti della polemica fra darwinisti-scientisti e creazionisti. Uno, pubblicato in Italia da R. Cortina, s’intitola: "Rompere l’incantesimo", nel quale l’autore, Daniel Dennet, direttore del Centro per gli studi cognitivi della Tufts University di Boston, tratta la religione come un incantesimo, attraverso il quale si ottiene l’obbedienza dei fedeli, che però viene persa con riforme sbagliate, che generano scismi o sètte violente.
Richard Dawkins, scienziato votato al proselitismo, ha scritto di recente due libri che hanno suscitato molto interesse nel mondo anglosassone: "The God Delusion", è un’appassionata apologia dell’ateismo e della razionalità ed una denuncia dello statuto privilegiato che le società laiche attribuiscono alla religione. In Italia è stato pubblicato nel 2006 da Mondadori un altro suo libro: "L’orologiaio cieco".
Sam Harris è un altro autore che se la prende con la religione. Il suo libro "La fine della fede", pubblicato in Italia da Nuovi Mondi Media nel 2006, interpreta polemicamente il fenomeno 11 settembre. Il tema è ripreso nell’ultimo "Lettera alla nazione cristiana" in cui l’autore concentra il suo sforzo dialettico nel tentativo di riassumere alcune delle catastrofi scatenate dalle religioni fin dai tempi in cui fu compilato il feroce codice dell’Antico Testamento.
La questione, ovviamente, è complessa come dimostrato dal fatto che in questi ultimi anni sono stati pubblicati centinaia di titoli dedicati alle religioni ed al tema di Dio. Nick Spencer, nel suo "Doing God" scrive, ad esempio: <«La cristianità ha regalato il laicismo al mondo, stabilendo che c’era uno spazio pubblico in cui le autorità dovevano essere rispettate ma potevano essere legittimamente sfidate, e che non avevano il diritto di accordare a se stesse un significato assoluto e definitivo».
Questa definizione, che potrebbe essere comprovata storicamente, perché è stata proprio la cristianità a sfidare il potere imperiale, urta contro la prassi costante della politica ecclesiastica in particolar modo in Italia, tesa a consolidare una posizione d’assoluta preminenza in campo religioso, ideologico e culturale.
Due casi esemplari: il primo è costituito dal tentativo, sempre rinnovato, di trasformare la cosiddetta ora di religione (in realtà della dottrina cattolica) in materia scolastica a tutti gli effetti, con assunzione piena degli insegnanti di religione, e relativa loro sistemazione economica, mentre il secondo è ancora più grave. Infatti, monsignor Betori, segretario della CEI, ha illustrato a metà luglio in Commissione Affari Costituzionali della Camera, la contrarietà della gerarchia italiana al progetto di legge sulla libertà religiosa. Secondo i vescovi italiani, questa legge «rischia di omologare la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose» nei rapporti con lo Stato. Sic et simpliciter.
Solo che a noi non dispiacerebbe essere messi a conoscenza delle ragioni che giustificano questo privilegio. Anche perché noi siamo favorevoli ad una parità fra le religioni proprio perché in questo momento c’interessa che venga ad instaurarsi anche nel nostro paese, ignavo, imbelle ed addormentato, una dialettica religiosa che non sia solo monotona elencazione di banalità da predica domenicale. In questo senso ben venga anche il rilancio della Chiesa Ortodossa, che di recente ha organizzato nel nostro paese alcuni convegni significativi. Vi hanno partecipato le Chiese autocefale di Cipro, Bulgaria, Grecia, Romania, Russia, Serbia, Ucraina.
L’elenco dei paesi rappresentati da queste Chiese dovrebbe far riflettere anche sulla necessità di integrare in una visione più ampia d’Europa quelle religioni che, per una ragione o per l’altra, finora non hanno avuto piena libertà d’espressione. Secondo Gramsci cultura è esercizio del pensiero, acquisto d’idee generali, abitudine a connettere cause ed effetti. Questo a noi interessa in questo particolare frangente e questo dovrebbe servire a risvegliare le coscienze. Secondo Heidegger «il linguaggio è la casa dell’Essere», ed a noi interessa oggi far circolare tanti linguaggi non per disperdere il nostro senso d’identità, ma al contrario per controllare e possibilmente dominare il maggior numero di linguaggi possibile. Compreso il latino, che ha un senso se ridiventa consuetudine alla logica nel discorso e non espediente pubblicitario per questioni interne, e ulteriore fomite di relativismo culturale, quello che, a parole, la Chiesa vorrebbe combattere.

Il relativismo culturale e crisi della Lobby ebraica negli USA

 

«La nostra epoca ha bisogno della vera sapienza per umanizzare tutte le nuove scoperte dell’umanità. Il destino futuro del mondo è in pericolo se non si formano uomini più istruiti in questa sapienza ...» Gaudium et Spes, 15

«Non possiamo dimenticare che la signoria sul mondo si fonda sulla supremazia dello spirito sulla materia, della persona sulle cose, della morale sulla tecnica»
Redemptor hominis, 16


È un espediente tipico del neoliberismo, che la Chiesa si guarda bene dal combattere esplicitamente, come possiamo costatare nell’Italia d’oggi, nella quale il potere, nelle sue forme reali ed alla faccia di tante roboanti parole, è ampiamente controllato dalle forze clericali. Si tratta di mettere in opera una sequenza d'interventi programmati di carattere psicologico, atti a cancellare dalla mente delle persone sottoposte al trattamento il passato.
Esemplare per la denuncia che vi è contenuta, il libro di Naomi Klein, "The shock doctrine. The rise and fall of disaster capitalism". Parte del libro è dedicata alla carriera del noto economista Milton Friedman. Negli anni cinquanta questo deleterio personaggio aveva elaborato all’Università di Chicago, dove insegnava, la sua teoria delle libertà globali. In seguito fu guida di Pinochet, della Thatcher, di Reagan, dei due Bush, di Blair e di Sarkozy. L’aspetto più sconvolgente descritto dalla Klein è l’effetto d’elettroshock sui singoli, dirigendo ed orchestrando il crollo economico, smantellando tutte le precedenti infrastrutture sociali, programmando con cura un periodo di povertà e di panico, quindi facendosi cinicamente avanti con false promesse. Ma questa minaccia che pende sulla struttura psicofisica di una buona fetta dell’Umanità non preoccupa più di tanto la Chiesa, che ha altre gatte da pelare.
In un altro libro pubblicato di recente, ("Scacco al potere", di Amy Goodman, Nuovi Mondi Media) è ampiamente documentato l’incredibile volume di reticenze e falsità che i Media propinano ad un’autentica "massa" di anestetizzati. Niente immagini né cronache sugli ospedali stracolmi di feriti, sulle comunità irachene devastate, sui corpi delle vittime dei bombardamenti, sui bambini rimasti orfani e senza casa: niente guerra reale, ma piuttosto tutti allineati per far vedere in televisione una guerra senza sofferenza, senza dolore, senza vittime, senza feriti.
Lo stesso dicasi di quanto accaduto in Jugoslavia e di cui, a dieci anni di distanza, nulla di preciso è lecito conoscere, meno qualche reportage di giornalista onesto, e tanto meno si sa su quanti nostri militari stiano morendo a causa dell’uranio impoverito. Su questi argomenti la stampa vaticana tace, meno qualche articoletto sporadico e possibilmente poco visibile, da poter citare com’ esempio di libertà d’informazione.
L’unica preoccupazione è per la stampa vaticana il relativismo culturale che porta a confondere il fascismo con l’antifascismo. Ma poi gli intellettuali cattolici si chiedono perché l’autorità religiosa si sia ridotta a condurre una battaglia di retroguardia su questioni come matrimonio, aborto, divorzio, fecondazione esterna alla coppia, sperimentazione sulle cellule staminali embrionali, eutanasia e matrimoni omosessuali. Non che questi problemi siano di poco conto, ma è evidente che se esiste il dibattito serrato su queste nuove tecnologie che aspirano a svincolarsi da qualsiasi riferimento etico, la colpa non può essere attribuita ad altri che ad un Magistero che ha tradito la propria missione. Perdendo anche il prestigio necessario ad imporre le proprie tesi. Infatti, ogni persona per la quale l’appartenenza ad una civiltà conta più di un’astratta polemica sulla religione, ama quella civiltà nel suo insieme. Con i suoi simboli. Ma se parte di questi simboli viene a mancare, cade tutto il castello costruito non solo sui simboli, ma sul pensiero, sull’arte, sui monumenti, sulle funzioni delle persone chiamate a rappresentare e "difendere" quella civiltà.
In questo quadro s’inserisce un altro aspetto destinato a spiazzare le linee politiche del Vaticano. Noi sappiamo, per averlo osservato come progetto fedelmente perseguito negli ultimi cinquant’anni, che la linea di tendenza più consistente nei confronti dell’ebraismo si è basata nel porre con molta gradualità il cristianesimo in un livello di sudditanza e di derivazione culturale. Buona parte di queste operazioni, per lo più segrete, si sono sviluppate in incontri che hanno preceduto il Concilio Vaticano II. Artefici sono stati Roncalli, Bea, Goldmann, Katz, Heschel ed altri. Indicativa la visita di Giovanni Paolo II al Tempio romano con la quale il papa polacco riconosceva la «antica paternità» dell’ebraismo sul cristianesimo.
La Conferenza episcopale svizzera, forse pressata dalle spese sostenute dal governo di quel paese, nel corso della 247ª assemblea ordinaria del 6-8 aprile 2000 ha rilasciato una dichiarazione sulle proprie colpe verso gli ebrei nella quale si può anche leggere un periodare di questa portata: «Inoltre, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II abbiamo preso coscienza dell’importanza della dottrina cattolica secondo cui il popolo ebraico è, per se stesso e per l’umanità, il popolo dell’alleanza con Dio. Quest’alleanza di Dio con Israele non si è mai interrotta. Dai tempi antichi e fino ad oggi, gli ebrei recitano questa preghiera di lode a Dio quando compare l’arcobaleno: Sia benedetto Colui che si ricorda della sua alleanza, che è fedele alla sua alleanza e costante nella sua Parola».
Tuttavia, una situazione apparentemente stabile dal dopoguerra, con il potere economico-politico saldamente in mano alla comunità ebraica globale, con il rapporto USA-Israel gestito dalla fazione Theocons ai vertici della politica statunitense, ha cominciato ad entrare in crisi dopo il fallito attacco d’Israele contro il Libano e la sconfitta della politica americana in Iraq ed Afghanistan.
Ne hanno approfittato le opposizioni interne che hanno iniziato a battere il tasto dolente dei costi ormai insostenibili della geopolitica statunitense in Medio Oriente. Una recente Decisione della Corte Suprema è intervenuta nel dibattito sulla separazione tra Stato e Chiesa. I monumenti ispirati ai dieci comandamenti saranno banditi dai tribunali americani. Sconfitta dunque per la destra religiosa rappresentata da Bush.
E ci sono state prese di posizione alquanto preoccupate. Il 16 ottobre 2004 è stata votata la Legge statunitense "Global Anti-Semitism Review Act" per il Dipartimento di Stato, al fine di monitorare l’antisemitismo (parola coniata nel 1870 dal tedesco Whilhelm Marr) a livello mondiale. Il 22 maggio 2006 è stato nominato Capo dell’Ufficio del Dipartimento di Stato per l’antisemitismo Gregg Rickman, ex direttore dello staff dell’ex senatore Peter Fitzgerald, direttore della "Coalizione ebraica repubblicana" (RJC) che aveva "recuperato" negli anni 90 due miliardi di dollari dalle banche svizzere.
Il 15 giugno 2006 l’Assemblea generale della Chiesa Episcopaliana statunitense ha votato una "risoluzione di condanna dei Vangeli" perché giudicati antigiudaici.
Avinoam Bar Yosef, direttore di Jewish People Policy Planning Institute (JPPPI), nel sottolineare il declino del potere lobbystico negli USA, ha scritto che è necessario elaborare subito una nuova strategia.
Jehuda Reinharz, presidente di Brandeis University, ha detto: «Gli accademici americani sono all’avanguardia nella negazione del diritto d’Israele ad esistere come Stato Ebraico».
Più di recente, Stephen Walt e John Mearsheimer hanno accusato l'American Israel Public Affairs Committee (AIPAC) di dettare la politica estera americana, mentre Abraham Foxman, direttore di Anti Defamation League se la prende col recente libro di Carter dal titolo eloquente: "Palestine. Peace not Apartheid".
E ci siamo limitati alle notizie di superficie. C’è da aspettarsi di tutto, dati i personaggi in gioco. Tuttavia questo scontro, per ora a base di polemiche a distanza, è indicativo che le faccende non stanno andando per il verso giusto. Qualsiasi cosa possa accadere in futuro, lo stretto connubio fra interessi ebraici e geopolitica americana non sarà più la forza traente dell’egemonia globalista.
Che potremmo aspettarci? Una marcia indietro della politica vaticana. Esiste da qualche tempo anche una "Crisi delle relazioni giudeo-cristiane". Su queste hanno scritto in tanti, da Lévinas, a Chouraqui, Askenazi, Bluma Finkelstein, che scrive testualmente: «Tra giudaismo e cristianesimo in quanto istituzioni religiose non è possibile alcuna mediazione».
Padre Maurice Boormans, consulente presso il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso scrive: «Non facciamo forse il troppo facile gioco di un dialogo giudeo-cristiano che accetterebbe di primo acchito tutte le richieste e persino le esigenze del partner ebreo?»
Specialista di "giudaismo intertestamentario" André Paul spiega in un libro che ha suscitato un certo scalpore ("Leçons paradoxales sur les juifs et les chrétiens", 1992) che il cristianesimo può tanto meno essere considerato come nato dal giudaismo, in quanto il giudaismo moderno è apparso dopo di esso, dato che il suo atto di fondazione va cercato nell’elaborazione della Mishnah, nel secondo secolo della nostra era.
[Informazioni ricavate da: Alain de Benoist, "La nuova evangelizzazione dell’Europa". Arianna, 2002].
È logico pertanto attendersi un acuirsi degli aspetti conflittuali fra le due forme di religiosità.
Sembra pertanto ormai superato il tempo (anni 70-80) delle rivendicazioni della propria ebraicità espresse dai vari Bob Dylan, Allen Ginsberg, Norman Mailer, Saul Bellow, Philip Roth, Roy Lichtenstein, Pierre Salinger, Arthur Schlesinger, Betty Friedan, Ralph Nader, Herbert Marcuse, Abbie Hoffman, Milton Friedman, Sidney Hook, Irving Kristol, Norman Podhoretz, Nathan Glazer, Michael Waltzer, Daniel Bell, Henry Kissinger, Alan Greenspan, e tutti questi insediamenti in posti chiave che risalgono ai tempi delle "teste d’uovo" kennediane sembrano esser stati individuati come frutto di strategie di controllo del consenso.
È evidente che negli States come altrove, gli oppositori alla Lobby non possono fare a meno di appoggiarsi ad istituzioni religiose ed ideologiche alternative, fra le quali il cattolicesimo, anche se l’incidenza del ricatto economico sembra condizionare ancora, e non si sa per quanto, la linea geopolitica del Vaticano come ai tempi di Pio IX, un altro "papa buono", almeno fino a quando non si trovò costretto a far marcia indietro su alcune "concessioni" di troppo, e sulla candidatura del quale ai fasti della santità sono piovuti, come per Pio XII, veti pesanti come macigni da parte della Comunità ebraica internazionale. Non va dimenticato comunque che anche questo papa fu costretto a piegarsi alle richieste del barone Salomon Rothschild che gli scriveva da Vienna nel 1847. I Rothschild sono a tutt’oggi i principali collettori di fondi per il sionismo.
Insomma l’impressione, piuttosto deprimente, è che nel momento in cui molti popoli hanno capito che devono liberarsi dal dominio della finanza apolide e delle multinazionali, la dirigenza del Vaticano dimostra una dipendenza psico-politica dai finanziamenti del Sionismo che non lascia a Noi alcuno spazio operativo per valutare un’eventuale partecipazione della Chiesa nell’ambito di una strategia di riscatto dell’indipendenza dell’Unione Europea.

A proposito di relativismo culturale: la messa in latino e la pedofilia

 

«Un paesaggio bellissimo e pieno d’angoli marci, treni arrugginiti, case diroccate… È una terra d’ottimismo e di false promesse, di speranza e disperazione. E una cosa non sta mai senza l’altra»
Charles D’Ambrosio, "Il museo dei pesci morti", Minimum Fax, 2006

«E oggi è il Papa ad additare l’Illuminismo come radice del nichilismo contemporaneo, del relativismo e delle pretese d’autonomia della ragione, privata d’ogni punto di riferimento in un’autorità trascendente (…) Un ordine fondato sul monopolio della violenza legittima e sul monopolio delle fonti del diritto (…) che le grandi decisioni politiche globali travalichino ormai le frontiere dello Stato-Nazione è un fenomeno evidente anche al senso comune (…) Dopo l’età della Fede e l’età della Ragione, l’umanità è entrata in una fase in cui il pensiero è dominato da preoccupazioni che non sono di pertinenza né solo della scienza, né solo della filosofia, né solo della religione (…) siamo coscienti della nostra fondamentale mancanza d’oggettività, del nostro essere interpretanti, perché ogni forma di conoscere ha come presupposto un’intenzione, un punto di vista, un mondo nel quale viviamo. Ogni conoscenza è interpretazione. E per noi questo punto di vista è formato dalla nostra cultura, dal cristianesimo»
Festival della filosofia. Confini

«Secondo la visione degli alchimisti arabi o dei mistici persiani, i filosofi greci primitivi non erano solo pensatori razionali, ma anelli di una catena d’iniziati»
P. Kingsley, "Nei luoghi oscuri della Saggezza", Tropea ed. 2001

«È affare della filosofia preservare la forza delle parole più elementari, in cui l’esserci si pronuncia, dal venir livellate ad opera del senso comune fino all’incomprensibilità»
M. Heidegger, "Essere e Tempo", Mondadori 2006

«Certo è che una delle avventure più alte in assoluto dell’Umanità è quella della parola, tant’è vero che essa diventa il segno supremo per definire Dio, il suo mistero ed il suo rivelarsi: in principio era la Parola, proclama la prima riga del Vangelo di Giovann»
mons. Gianfranco Ravasi, su "l'Avvenire"


Alcune frasi citate fra le tante utilizzabili, che documentano l’importanza fondamentale della parola. Non lo diciamo noi. Lo dice la Chiesa per bocca di uno dei suoi studiosi più seguiti. Il papa stesso, nel denunciare l’illuminismo e le sue derivazioni collaterali fra le quali di sicuro il pensiero dialettico, come causa di relativismo culturale e di conseguenza morale, non può che affermare indirettamente il valore assoluto del magistero religioso. Quindi la Parola è un valore assoluto. Ciò che viene pronunciato non può essere ritirato né malinteso. Non è ammessa menzogna o cattiva interpretazione. Le parole sono pietre.
È per questa ragione che Noi non accettiamo da parte d’esponenti del (pre)potere religioso opinioni, ipotesi, definizioni che, presentandosi come prodotto di discussioni accurate e riflessioni serene, in realtà sono soltanto conseguenza d’elaborazioni strategiche pensate per ottenere risultati a breve termine nell’ambito di una strategia globalista di superamento della dimensione politica nell’interesse dei poteri economico-finanziari. È quanto è stato definito "impolitico". Se accettiamo un ruolo della religione istituzionale, lo accettiamo sempre e soltanto come "magistero", vale a dire come espressione di opinioni pacate, ragionate, elaborate nell’interesse della società intera e senza finalità occulte. Non abbiamo problemi di fede da assecondare, né fedeltà di sètta da garantire. In questo paese non riconosciamo autorità a chicchessia. L’abbiamo già scritto tante volte, e molto tempo fa. Perché in questo paese vige, da parte del potere clerico-democratico, una tecnica ignobile, che consiste nel favorire la dimenticanza, il disinteresse, l’indifferenza. Oppure la "memoria" monodirezionale. Che è sinonimo di tagliare a fette il cervello.
E per chiarire a sufficienza di che intendiamo trattare, è utile un libro di Norman Lewis, morto recentemente a 95 anni, che ha pubblicato il suo ultimo libro di viaggi nel 2002. Di quest’autore è stato recentemente pubblicato il libro dal titolo: "Napoli '44".
Norman Lewis, nel 1944, era un ufficiale dell’Intelligence alleata; quello che trovò a Napoli ha dell’incredibile. Non è il solo a descrivere questa somma perversione. Ne hanno scritto anche Malaparte e Lartéguy. Quasi 42.000 donne, delle 150.000 che vivevano in città, si prostituivano, in un quadro composto da ruffiani, pederasti, venditori di bambini, esibizioniste di false verginità e medici ricostruttori di verginità, miracoli di San Gennaro, quattromila avvocati che s’inventano di tutto per sopravvivere, in una sarabanda che costituisce, come oggi con la crisi dei rifiuti domestici, il migliore biglietto da visita di una certa idea dell’Italia. Ma un’Italia ad uso di altri, e non la sola Italia.
Un ribollente fermento di speci umane e di razze spente da cui sarebbe nato l’attuale Regime, così come, in terra d’Egitto, dalla fermentazione di Parti, Medi, Elamiti, Mesopotamici, Giudei, Cappadoci, Asiatici, Frigi, Panfili, Egizi, Libici, Cirenaici, Ebrei, Arabi, Cretesi [Atti 2,1-11], tutti mescolati nel gran crogiolo di Roma era nato, duemila anni prima, il Cristianesimo. Un magma che non dispiace al potere. A quel tipo di Potere cui piace elevarsi sopra di un guazzabuglio facilmente controllabile, come aveva dimostrato molto prima un grande del pensiero al quale avrebbero destinato un destino atroce: Giordano Bruno, col suo "Candelaio", ritratto grottesco d’uomini e donne mossi da istinti volgari, vanità e stoltezza; corrosiva parodia di un mondo civile in preda allo smarrimento di qualunque legittimità e verità.
Ma questa putrefazione aveva l’esatta antitesi proprio nel Nord, dove ci si batteva, anche con ferocia, per l’affermazione, buone o cattive che fossero, delle proprie idee. Un’Italia onesta, profondamente onesta e religiosa, [l’unico tipo di religione che noi apprezziamo] perché disposta al sacrificio oltre alle apparenze, spesso strafottenti, come, in effetti, accadde. Un’Italia descritta soltanto, ma con efficacia, da Malaparte e De Boccard ("Donne e mitra").
Dati questi precedenti, non ci stupisce il motu proprio Summorum pontificum, che reintroduce la facoltà di celebrare la messa tridentina. Le discussioni in merito sono state tante, soprattutto per quanto riguarda le valutazioni sul ruolo storico degli ebrei, con assicurazioni, da parte dei competenti Organi e dei loro responsabili, che certi giudizi verranno cassati. Fermo restando che ci trova concordi la riflessione fatta da alcuni critici secondo i quali l’iniziativa è stata presa per togliere ai tradizionalisti l’esclusiva della messa identitaria, a Noi sembra che se si deve parlare di relativismo culturale questa ne è la manifestazione più evidente, tanto più che questa messa, secondo una prassi che è anche quella del sistema politico italiano, non è stata mai abrogata. La qualcosa implica anche un grave problema non solo di liturgia ma anche di dottrina.
Il rito, infatti, non è una recita del dopolavoro, ma una forma eletta di comunicazione che non ammette deroghe o falsificazioni. Le parole del rito, come le parole magiche sono elementi fissi, non intercambiabili, almeno per coloro che ci credono. Quando si recita un rito usando certe parole si opera qualcosa che è differente da altri riti ed altre parole. Altrimenti, in una visione "ecumenistica" che alcune organizzazioni a sfondo cristiano tentano ancora, con molta discrezione, di far passare, si potrebbero recitare versetti di riti voodoo all’interno del rito tridentino. Un conto è cambiare una preghiera con un’altra, come ha fatto il Vaticano II operando alcune scelte anche opinabili, ma legittime. Un conto è trasformare le parole del Credo. Se un Concilio, adibito da sempre a stabilire le nuove direttive religiose, modifica i princìpi della fede, è giusto e naturale che ne venga modificato l’atto fondamentale di fede che sarà recitato dai fedeli.
Ad esempio nel vecchio Credo si dichiara di credere nella "vita eterna" mentre nel nuovo si afferma di credere nella "vita che verrà". Non ci vuole un teologo per capire la sostanziale differenza delle due asserzioni. Prendere o lasciare. Anche tanti missisti sono diventati alleanzini, e recitano preghiere differenti a divinità diverse. Invece permettere al fedele la possibilità di scelta fra due forme rituali differenti nei quali le parole hanno ciascuna uno specifico senso nell’ambito di un preciso contesto, anche se le varianti sono poche ma sempre oggetto d’interminabili dispute e di tante defezioni, per noi è esempio d’autentico relativismo culturale, quello che domina la società post-moderna col consenso della Chiesa.
La stessa considerazione devesi fare, in conclusione, per la pedofilia. Per Noi si tratta di uno dei peccati più abietti, e non siamo i soli a pensarla così. Siamo anche propensi a capire le "motivazioni" a volte irresistibili che spingono a compiere quegli atti. Di recente Wojtyla aveva chiesto perdono alle suore per le molte violenze che subiscono da parte di prelati in fregola. Comprensibili.
Ma coprire, nascondere, giustificare, non espellere i colpevoli è atto gravissimo. Che dobbiamo imputare alla Chiesa di sempre. Anzi pensiamo con orrore a certe situazioni del passato, se possono perpetuarsi fino ad oggi. Come il caso, veramente oltre ogni aberrazione, del fondatore dei "Legionari di Cristo", riportato tranquillamente dalle cronache dei quotidiani, che assolveva le vittime cui imponeva atti ignobili. Eppure, c’è proprio l’insegnamento di Cristo a stigmatizzare questo grande peccato di superbia prima che di cedimento alla carne: «Guai a colui che abusa, violenta, corrompe, scandalizza, i bambini. Sarebbe meglio che costui si legasse al collo una macina da mulino e si sprofondasse in fondo al mare!»

Conclusione. Il Viaggio di Parmenide

 

«Ciò che ti abbisogna è apprendere ogni cosa, il cuore saldo della ben rotonda Verità, e i giudizi dei mortali, in cui non si può riporre fiducia. E ancora questo apprenderai: alle apparenze si deve prestar credito se d’ogni cosa si tiene conto»
P. Kingsley, "Nei luoghi oscuri della saggezza". Tropea

 

Giorgio Vitali