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Una provocazione

 

Giorgio Vitali
 

Le vacanze sono alle porte mentre come spesso è accaduto negli ultimi tempi, gli avvenimenti si infittiscono. Gli attori della politica contano evidentemente di profittare di una ipotetica distrazione generale, forse di una minore voglia di agire provocata dal caldo. Tuttavia, anche questo è un dato acquisito, d’estate si legge di più ed è per questa ragione che si accavallano le promozioni di libri. Colgo l’occasione pertanto per un fervido invito a tutti gli amici: in circolazione, anche in Italia, ci sono moltissimi saggi di grande interesse utili, essenziali direi, per comprendere cosa sta avvenendo. Infatti, la complessità del mondo contemporaneo, combinata col processo di globalizzazione, ha aperto uno scenario difficilmente interpretabile con i criteri dello scacchiere tanto caro alla geopolitica churchilliana, che peraltro portò all’affondamento dell’ Impero britannico.
Ciò non significa che strategie di lungo periodo, come quelle elaborate da un Brzezinsky, della scuola Kissingeriana, ed improntate sulla strategia delle scacchiere, messe finora regolarmente in atto dalla politica di espansione nordamericana, non abbiano dato i risultati previsti. Ma come spesso accade nella vita e storia, esse sono anche capaci di provocare una retroazione, detta anche eterogenesi dei fini, alla quale stiamo assistendo proprio in questi tempi. Di fronte alla forte pressione di tipo imperialistico, messa in atto dall’America di Bush, il mondo si sta organizzando per difendersi. E questo è il momento per condurre a termine le analisi finora fatte, che hanno caratterizzato buona parte degli articoli che ho letto tanto su questo giornale quanto su altre testate affini. Occorre condurre a termine le analisi perché i tempi urgono.
Come ovvio, quando lo scontro si fa sempre più evidente, i contendenti giocano di anticipazione, nell’illusione che chi colpisce per primo possa ottenere migliori risultati. I due ultimi conflitti mondiali hanno di fatto confutato alla grande questa tesi. Generalmente colpisce per primo chi si trova alle strette. Ed è per questo che gli Stati Uniti hanno accumulato negli ultimi tempi una quantità di petrolio mai raggiunta finora, prelevandolo evidentemente dalle zone di occupazione, Iraq in testa. Ma l’anticipazione è anche una delle cause scatenanti la parte “bellica” del conflitto, finora relegato a guerre di confine, parte “asimmetriche”, parte “non convenzionali”, parte psicologiche. I giochi e le schermaglie preliminari, infatti, si mostrano quasi tutti esauriti, mentre la crisi economica continua a premere sulla psicologia collettiva dei popoli e sulle forze politiche che intendono rappresentarli. (Per fare un esempio banale, ma calzante nella misura in cui difficilmente qualche commentatore convenzionale potrebbe citarlo, è proprio la base elettorale di Bush, composta da evangelici e fondamentalisti cristiani della “Bible Belt”, gli stati confederati del sud, che identifica il proprio benessere con lo stato di guerra, perché solo l’ultimo conflitto mondiale ha avuto il pregio di sollevarla da uno stato di miseria che si protraeva dal 1865).

Scenario Geopolitico
L’attuale quadro mondiale propone veementemente sul proscenio molti paesi che fino a pochi anni orsono non avrebbero potuto ambire di diventare protagonisti.
Si tratta di Brasile, Cina, India. E dietro a loro, al loro necessario protagonismo sul terreno delle risorse energetiche e delle materie prime, pullulano tanti paesi produttori anche africani che in questo “mercato” (il vero autentico mercato, perché libero) trovano la possibilità di districarsi e far valere i loro diritti. Contrariamente a quanto appare nel nostro paese, dove la percezione della sudditanza all’ideologia statunitense è deprimente se non opprimente, il mondo intero sta assistendo ad una movimentazione destinata ad accelerarsi. Nulla è decisivo e determinante. E, leggendo bene gli avvenimenti, ad un accordo segue un altro, ad una proposta segue un’altra, ad un imput ideologico-propagandistico segue una contromossa culturale, in un vortice che sfugge al commentatore non sufficientemente accurato. A queste potenze emergenti, dobbiamo necessariamente aggiungere il processo di costituzione dell’Unione Europea ed i suoi sempre più vasti legami con paesi limitrofi, come la Russia ed i paesi ex area sovietica, pronti per la nascita dell’Eurasia, come nelle aspirazioni dei grandi studiosi di geopolitica. Ovviamente, non va dimenticato il processo di integrazione fra i paesi dell’America latina e del Mondo islamico, processo che sta subendo un’accelerazione notevole proprio grazie all’accentuarsi della pressione statunitense.

Quadro culturale
Il quadro culturale può essere preso in considerazione a dimensione nazionale o internazionale.
Ciò che qui ci interessa è la dimensione nazionale, all’interno della quale si è già creato un “fronte” americanista che spazia da posizioni dell’integralismo cattolico (Introvigne, Respinti), fino a vecchi arnesi del laicismo (Umberto Eco) o del Movimentismo (con le sue componenti di stretta appartenenza all’intelligence americana o sionista) come Adriano Sofri. Questo fronte si è strutturato sulla vecchia suggestione Huntingtoniana dello “Scontro di Civiltà”.
Dall’ altra parte, quello degli “anti americanisti”, il fronte è frammentario anche perché quello dello “Scontro delle civiltà” è uno slogan che ha avuto lo scopo di frantumare preventivamente la possibilità di creazione di un fronte unito nel quale sia possibile far convivere molte posizioni politico-ideologiche. Da noi viene lasciata la possibilità di interventi in trasmissioni televisive di richiamo al solito Bertinotti, che viene vissuto dalla maggioranza degli italiani come una macchietta da teatrino napoletano, pur in presenza di una situazione a dir poco drammatica in quasi tutti gli scenari bellici in atto.
Un altro elemento di scontro, prevedibile da tempo, si sta delineando in questi giorni, fra il Vaticano di Benedetto XVI ed Israele, potenza che può contare in Italia su moltissimi portavoce tanto sulla stampa quanto sulla radiotelevisione. Dalle posizioni che via via verranno prese dalle testate e dai singoli giornalisti, si potrà valutare l’entità del fenomeno. La questione non è da poco ed avrà risvolti interessanti in futuro. Non si poteva più continuare con l’equivoco woityliano, ed i tempi sono ormai maturi per un cambiamento di rotta. Di fronte a questa situazione che ho cercato di delimitare ai casi più interessanti, sta il VUOTO pneumatico delle politiche governative.

Conclusioni

Con la ripresa delle pubblicazioni per l’autunno, è necessario dar vita ad un dibattito fra tutti coloro che ritengono necessaria una nuova linea politica, capace di elaborare proposte a livello internazionale, che si ponga come naturale interlocutore di eventuali protagonisti dello scenario internazionale, lasciando da parte, definitivamente, qualsiasi altro ricatto sentimentale o esistenziale. Da questa situazione di stallo non si esce diversamente. È vero che dovranno essere presi in considerazione molti elementi, ma tutti insieme: quello generazionale, quello sociobiologico, quello economico, quello produttivo, quello del lavoro, della formazione delle competenze professionali, quello sindacale, ma un progetto realmente alternativo deve essere l’aspetto base di ogni intervento, di ogni ragionamento.
La politica è azione. È decisione. È anche, necessariamente, approssimazione. Ma senza l’azione qualsiasi teoria diventa utopia. Chiacchiera. Rumore. Leitmotiv cinematografico.

 

Giorgio Vitali