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Il sangue dei vinti... perchè nessuno l'ha mai vendicato?

 

Giorgio Vitali
 


Caro Garibaldi,
ho letto con (la consueta) attenzione quanto da Lei scritto su "Storia in rete" n. 2 del dicembre 2005, in risposta alla lettera sul «perché nessuno ha mai vendicato il sangue dei vinti», in questo caso i fascisti repubblicani dopo il 25 aprile.
Trovo pertinente il richiamo ai cristiani, che hanno subito molte e terribili persecuzioni, ma nella storia dell’umanità non è questo il solo evento da citare al riguardo. Potremmo citare, tra le migliaia, gli ugonotti, i comunardi, gli indiani dopo la rivolta dei cipois, i cambogiani dopo la caduta di Pol Pot. Anzi, come sappiamo bene, i cristiani, quando ne hanno avuto la possibilità, hanno ampiamente restituito e con gli interessi il dovuto.
Mi capita spesso, discorrendo di queste cose, di invitare gli amici a considerare quanto può essere successo ai seguaci di Massenzio dopo la battaglia di Ponte Milvio (di Saxa Rubra) del 312 d.c. Tra l’ altro, è proprio la vittoria di Costantino in nome di un certo Dio, a dar inizio alla dannazione dei «vinti» in quanto reprobi, e dei quali la sconfitta costituisce la riprova della propria indegnità religiosa e, per l’appunto, «storica».
Butto giù questi pensieri perché è evidente che tutto quanto sull’argomento evocato da Pansa viene scritto, ieri come oggi, si ritrova all’interno di una «ricostruzione mitica» degli eventi, tra l’altro perfettamente databile agli anni settanta, che nulla ha a che fare con la realtà. Quella documentabile per fortuna, che le persone, gli italiani tutti per un verso e per l’altro, perché non erano pochi gli italiani del sud che hanno vissuto quella «temperie storica».
Stessa mitologia di altri eventi che possiamo annoverare a centinaia di migliaia nel lungo cammino storico. Posto che la storia venga narrata, sia pure nei suoi momenti essenziali, e che qualcuno la legga, caso piuttosto difficile in un paese ad alta percentuale di analfabeti come il nostro.
Per quanto riguarda il perché dell’assenza di una sia pur legittima reazione a quanto subìto in quel periodo, va detto che gli scampati (sono scampati anche i figli ed i nipoti) si sono trovati a vivere, soprattutto coloro che hanno dovuto continuare a sopravvivere in piccoli centri del centro-nord, in un clima persecutorio, di minacce larvate ed esplicite e di costante intimidazione, condite da ricorrenti trionfalismi resistenziali, tanto più dogmatici quanto più campati per aria. Donne e bambini si sono adattati alla situazione, ed alla fine ha prevalso la debolezza. Meno il caso di quella donna, della quale al momento mi sfugge il nome, che ha vendicato l’assassinio della madre facendone fuori l’esecutore, divenuto nel frattempo esponente politico.
Inoltre, a dimostrazione di quanto sia ancora operativo il diffuso e condiviso dalle «pubbliche autorità» condizionamento psicologico, morale, economico e non solo, di tutti i concittadini, conservo il ricordo di un’intervista televisiva gestita da Sgarbi ed andata in onda qualche anno fa, ad uno dei pochi scampati della strage di Codevigo, il quale stava ben attento a non farsi identificare fisicamente. Infine, altra chicca, la dichiarazione di un tale intervistatore di Pansa, il quale dimostrava la superiorità dell’antifascismo sul fascismo perché Pansa aveva avuto la sensibilità di pubblicare libri sulle stragi ai danni di fascisti, mentre da parte fascista o post fascista o neofascista non si era mai scritto sulle stragi a danno di «partigiani».
Queste dichiarazioni ovviamente, possono essere stampate in un paese abitato per lo più da analfabeti, come ho scritto sopra, da giornalisti approssimativi, e da «alfabeti» che quando comprano un giornale lo fanno per informarsi sulle partite di calcio. In realtà, senza la consultazione di quanto scritto da parte fascista, Pansa avrebbe trovato ben poco da scrivere, come lui stesso serenamente ammette.


Giorgio Vitali
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