Italia - Repubblica - Socializzazione

 

Recensione

"L'ultima lettera di Benito"
un libro interessante, ma con una deduzione fantasiosa

 

Maurizio Barozzi   

 

La letteratura su Mussolini e la RSI si è recentemente arricchita di un altro testo realizzato con professionalità da Pasquale Chessa e Barbara Raggi: "L'ultima lettera di Benito", Mondadori 2010, una disamina della corrispondenza epistolare intercorsa durante gli ultimi due anni di guerra tra Benito Mussolini e la sua amante Clara Petacci.
Trattasi di una analisi storica, psicologica, umana e politica delle lettere scambiate durante i 600 giorni della RSI tra i due celebri personaggi, di cui vengono riportati e commentati vari passaggi.
Questa corrispondenza, circa 318 lettere, definita nel sottotitolo del libro "Amori e politica a Salò 1943-1945" era conservata da oltre sessanta anni nel "fondo Petacci" presso l'Archivio Centrale dello Stato e la sua visione fu, a suo tempo, negata allo storico Renzo De Felice.
Resa ora accessibile è stata esaminata dai due autori che hanno anche voluto fornire «una nuova interpretazione storiografica» rispetto a quanto, fino ad oggi, si pensava sul rapporto sentimentale tra Mussolini e Clara, messo in relazioni con la politica e gli avvenimenti dell'epoca.
Il profilo dei due scrittori ci informa che Pasquale Chessa, insegnante "Storia dei Fascismi in Europa" alla Sapienza di Roma, ha collaborato ai programmi culturali di Radio Rai, quindi ha lavorato a "l'Espresso", "l'Europeo", "Epoca" e "Panorama".
Barbara Raggi, invece, scrittrice, ha collaborato con "il Manifesto" ed ora con "la Repubblica".
Dei credits di tutto rispetto, ma considerando che, di fatto, trattasi di una editoria embedded, così come per la Mondadori, la casa editrice che ha pubblicato il libro, da sempre specchio in Italia della cultura americana, eravamo un po' prevenuti sulle interpretazioni che gli autori avrebbero dato alla ricostruzione storica dei rapporti tra Mussolini e Clara Petacci ed agli avvenimenti ad essi correlati.
Pur apprezzando il valido contributo storico fornito dagli autori e una certa loro obiettività che va riconosciuta, la nostra prevenzione, almeno in parte, è stata confermata.
Per carità, siamo certi che i due autori non si sono inventati nulla e sicuramente hanno riportato in modo corretto gli stralci delle lettere da loro prese in esame.
Si da il caso però che alcune deduzioni, alcuni passaggi che sostanziano il loro lavoro, ci sembrano affrettati, delle forzature, forse influenzate dalle reminiscenze di una certa storiografia antifascista. Purtroppo sono ancora lontani i tempi in cui si potrà leggere qualcosa che non sia per nulla condizionato dalla retorica e dalle prevenzioni sia di stampo neofascista che antifascista.
È dalla fine della guerra che i vincitori, dopo aver distrutto, diviso e colonizzato l'Europa, veicolato la cultura occidentale attraverso l'american way of life, hanno praticamente imposto le "loro" verità sulla Seconda Guerra Mondiale.
E queste "verità", per quel che riguarda l'Italia, capovolgendo totalmente le responsabilità di un macello mondiale, freddamente premeditato contro l'Europa nelle fredde stanze della City di Londra e di Wall Street a New York, ci vogliono far bere la storiella di un dittatore megalomane che inebriato e invidioso dei successi militari di Hitler, fece il passo più lungo della gamba e si gettò irresponsabilmente nella guerra. È la vecchia "propaganda di guerra", che ha modellato tutta la storiografia antifascista. Un storiografia che, sorvolando sul vero significato dell'8 settembre, con le sue devastazioni morali e materiali della Nazione, su di una guerra civile sollecitata dalle capitali straniere e condotta con metodi infami di spietata guerriglia (metodi esaltati come "lotta di liberazione", mentre poi quando quegli stessi metodi li praticarono i brigatisti rossi, furono definiti "terroristici"), questa storiografia dicevamo, ci racconta spesso solo quello che è meno importante su di una Repubblica, già sminuita nel nomignolo affibbiatogli, oltretutto inesatto, "di Salò" e su di un Mussolini quale un povero demente alla deriva o uno strumento dei tedeschi, comunque complice delle loro violenze il quale, vive alla giornata nella speranza di salvarsi in qualche modo. E così via di questo passo.
Sono le menzogne dei vincitori, allora come oggi, che ci ripropongono le solite mistificazioni "democratiche" e le solite false flag alla Pearl Harbor, che oggi si chiamano 11 Settembre, per le quali scontiamo l'assoggettamento del pianeta agli interessi dell'Alta finanza cosmopolita, la distruzione degli Stati nazionali piegati agli interessi ed ai voleri del "mondialismo", nonché guerre, genocidi e bombardamenti terroristici che dal '45 ad oggi hanno insanguinato il pianeta, alla faccia della "crociata" bolscevico-democratica contro le dittature e le barbarie che avrebbe dovuto mettere fine a tutte le guerre!
Certamente le scarse doti morali e di carattere degli italiani ebbero la loro parte anche nelle miserie che si possono riscontrano nella RSI e in tanti suoi esponenti, ma questo non dovrebbe impedire agli storici di cogliere gli aspetti rivoluzionari, sociali e ideali di quella Repubblica, con la quale Mussolini, per la prima volta nella storia d'Italia, cercò di realizzare Istituzioni, Leggi e riforme sociali, senza i condizionamenti della classe Industriale, delle camarille militari, del Vaticano e delle logge massoniche. Né vengono considerati il fenomeno "legionario" e combattentistico, sia pur minoritario, dei suoi ragazzi e quello del fascismo repubblicano giunto al suo compimento ideologico, nonché la disperata difesa della Nazione nel solco di una linea geopolitica, connaturata ai nostri reali interessi nazionali, tutto questo non viene preso in considerazione dalla storiografia cosiddetta ufficiale meglio sarebbe definire "di regime".
Ma tant'è, per ora prendiamoci quel che passa il convento, pardon, l'editoria dei nostri tempi.
Per tornare al libro, "L'ultima lettera di Benito", realizzato dal Chessa e dalla Raggi, possiamo dire che si sforza di dare uno spaccato del rapporto intimo tra Mussolini e la Petacci, mettendolo in relazione agli avvenimenti storici che i due furono costretti a vivere in quei tragici momenti.
Dei fatti personali, delle gelosie, degli amori e dei contrasti tra i due protagonisti, non ce ne frega assolutamente nulla, ma il libro per fortuna si incentra soprattutto su le confidenze e i giudizi, scambiati tra "Ben", come Mussolini si firmava, e Clara, in merito a persone, fatti e situazioni del tempo, anche se queste "rivelazioni", in parte già note agli storici, bisogna sempre considerarle con i limiti e i condizionamenti che un rapporto epistolare intimo e privato comporta.
In ogni caso le note e le confidenze che si rintracciano in quelle lettere hanno una loro importanza storica e, fatta eccezione per qualche pettegolezzo, arricchiscono le informazioni su molti personaggi dell'epoca. Per esempio la figura del figlio di Mussolini, Vittorio, quella della moglie Rachele e di sua figlia Edda, il clan Petacci, Buffarini Guidi e tanti altri. Si parla poi del processo a Galeazzo Ciano e la sua condanna a morte, degli incontri di Mussolini con Hitler e dei rapporti con i tedeschi, dei dissidi tra gli esponenti repubblicani e dei soprusi compiuti dai tedeschi, delle devastazioni morali e materiali nella morente Repubblica, dell'andamento della guerra e della guerra civile, della scomoda, difficile e pericolosa posizione di Mussolini e della stessa Clara, ecc.
Per tutto questo, però, rimandiamo alla lettura del libro, mentre quel che qui ci preme considerare e in un certo senso confutare, è l'ipotesi, adombrata dagli autori, anche se da loro espressa con una certa riserva i quali, dallo scambio epistolare tra Mussolini e Clara, colgono indizi che farebbero supporre che i due avevano in progetto una fuga all'estero (tra le più concrete quella in Spagna) o forse meglio, la possibilità di un loro esilio in terra spagnola. Insomma, secondo gli autori, Mussolini e Clara avevano ben pensato e in qualche modo pianificato una loro futura sopravvivenza da qualche parte. Come cercheremo di chiarire questa tesi rappresenta una forzatura nella interpretazione dei testi di quelle lettere e comunque non ci sembra affatto dimostrata.
La ricerca storica degli autori, in ogni caso, restituisce una certa dimensione umana e intellettuale a Clara Petacci che viene così ad assumere una valenza più nobile e superiore a quelle che, anche nel nomignolo Claretta, gli storici gli avevano fino ad oggi assegnato.
«La storiografia sul fascismo ha finora trascurato la complessità della vicenda biografica di Clara Petacci» scrivono giustamente gli autori «indelebilmente segnata dall'accento rosa consustanziale a diminutivo, Claretta... A dispetto di un ruolo politico che nelle carte del fondo Petacci si rivela in tutta la sua ampiezza, la morte l'ha trasfigurata nell'eroina dell'amore assoluto, tutta cuore e niente testa. Le loro ultime lettere non ci presentano due persone in partenza per Milano alla ricerca della bella morte o del martirio, ma due figure politiche, una protagonista e l'altra di complemento, alla ricerca di una via di uscita. Certo sono anche una coppia». (pag. 34). Ma dalla lettura delle lettere di Clara emerge anche un certo intuito politico della donna, come attestano molti consigli ed osservazioni che elargisce al Duce e che oggi, con il senno del poi, risultano lungimiranti, così come, nonostante che molti suoi "consigli" siano evidentemente anche condizionati da un certo interesse personale nel proteggere o attaccare certi personaggi a lei devoti o nemici, in linea di massima, possiamo dire che la donna aveva ben avvertito il doppio gioco di molti fascisti o esponenti della RSI e dei generali tedeschi.
Ed aveva anche intuito che Mussolini, se voleva salvare i fascismo e la RSI, guerra permettendo, avrebbe dovuto appoggiarsi in toto ad Hitler o, al limite a Kesserling, ma non ai vari generali e rappresentanti del Reich che comandavano in Italia e di cui lei già intuiva il tradimento verso il Duce e anche verso il Führer.
Ma Mussolini non sempre aderiva ai suoi consigli, dovendo tener conto del mantenimento di certi equilibri politici e situazioni che sfuggivano alla comprensione della donna, ma anche perché, come sappiamo, in quella guerra egli si era sempre mosso al di sopra del fascismo stesso ovvero nell'ottica degli interessi geopolitici della nazione e questi interessi spesso non collidevano con una certa comunanza ideologica o con la geopolitica dei tedeschi.
A nostro avviso però non bisogna esagerare il ruolo politico della donna: anche se, per altri versi, l'influenza di Clara su Mussolini fu certamente rilevante, e qualche volta decisiva, sostanzialmente Mussolini fu sempre abbastanza autonomo nelle sue decisioni importanti ed in definitiva, di fronte ai problemi e alle situazioni di portata epocale che i due amanti si trovarono a vivere e ad affrontare, il rapporto personale tra "Ben" e Clara ha una rilevanza limitata anche se non nulla.
Si può comunque convenire su una osservazione espressa dagli stessi autori del libro:
«In amore, Benito e Clara... somigliano a due fidanzati di lunga durata, ansiosi e litigiosi, ma conniventi fino alla fine. Perché il gioco d'amore finisce per sovrapporsi e assumere le figure del gioco politico. Sono prigionieri della loro storia» (pag. 13).
Bisogna sempre però considerare che lo scambio epistolare tra due amanti, come spesso accade, è condizionato da astuzie nel gestire le varie situazioni che gli si presentano, da bugie, ripicche o viceversa dall'assecondare, dal rassicurare l'altro, ecc. e quindi, nonostante l'apparente e sodale intimità, gli scritti non sempre rispecchiano il vero pensiero e le intenzioni dei protagonisti.
Ma c'è di più: per esempio, Mussolini sapeva benissimo che la sua corrispondenza con Clara, per quanto "segreta", così come le sue conversazioni telefoniche con la stessa o con i suoi collaboratori, erano spesso intercettate dai tedeschi e non solo (lo scrittore Ricciotti Lazzero, nel suo "Il sacco d'Italia", Mondatori 1994, ci mostra molte registrazioni, recuperate poi attraverso il generale tedesco delle SS Karl Wolff) e non poteva non preventivare che, nonostante i suoi perentori avvertimenti all'amata di bruciare o strappare immediatamente le lettere, questa invece le conservasse e spesso addirittura ne facesse delle copie (nel corso di una perquisizione a casa di Clara erano scappate fuori proprio alcune riproduzioni di queste lettere, tanto da far sospettare un certo "doppio gioco" della donna, forse per un ingenuo intento di "aiutare" il suo uomo).
Conoscendo l'intelligenza e la spregiudicatezza politica del Duce è quindi facile ritenere che, almeno qualche volta, Mussolini utilizzava la sua corrispondenza (così come le sue telefonate) per far "sapere" ai tedeschi e non solo a loro, quello che voleva che questi sapessero. Per esempio, dalle intercettazioni telefoniche ed epistolari di Mussolini con i suoi collaboratori (tra cui anche alcune telefonate con la Petacci) registrate dai tedeschi, emerge chiaramente che Mussolini, in possesso di un delicato, esplosivo e segreto "Carteggio" con Churchill, ne parlava e ne scriveva liberamente e ne evidenziava ai suoi interlocutori la enorme rilevanza storica e la sua importanza nell'interesse della Nazione. Non può essere questo modo di agire, apparentemente incauto e superficiale, un fatto casuale, né una "leggerezza" del Duce, ma probabilmente rispondeva ad un suo segreto intento politico finalizzato a mandare un "messaggio" in più direzioni. E non è un caso che noi oggi abbiamo la certezza dell'esistenza di questi documenti, fatti poi sparire da Churchill anche, se non soprattutto, grazie a quelle intercettazioni.
Insomma, anche nella corrispondenza epistolare tra Mussolini e Clara, non poteva non essere in qualche modo "alterata" la libertà di espressione, soprattutto da parte del Duce.
Si potrebbe spiegare così, ad esempio il perché, e lo hanno anche notato gli autori stessi, Mussolini nelle sue tante lettere con Clara, non accenna a qualche strage e rappresaglia compiuta in Italia dai tedeschi e che pur lo aveva fatto andare su tutte le furie (per esempio quella dell'agosto 1944 dei 15 antifascisti fucilati in Piazzale Loreto in conseguenza di un ignobile attentato gappista) o quando scrive frasi, forse usate anche per tranquillizzare la donna, dove sembra nutrire la decisa convinzione che i tedeschi alla fine vinceranno la guerra, mentre invece sappiamo bene, che almeno dall'estate del 1944 in avanti egli divenne sempre più convinto che la guerra era inevitabilmente perduta.
Mussolini, in realtà, per quanto "preso" da un rapporto sentimentale con una donna molto più giovane di lui, per la quale nutriva un forte sentimento e una certa ammirazione per le sue doti volitive, di carattere e di coraggio (guardandosi intorno, in tutto il corso della sua vita, ben pochi amici sinceri e leali fino all'estremo sacrificio, aveva trovato), non è mai stato veramente condizionato dalla donna nelle sue decisioni politiche e di governo, fatta eccezione per qualche avvicendamento di uomini in cui Clara può aver seriamente influito, qualche "manovra" di carattere più "personale" che politico, ed altre questioni di limitata importanza.
In ogni caso, la vera dimensione storica del rapporto tra Clara e Mussolini, in relazione alla sua incidenza per la politica del tempo, non è certamente rilevabile solo attraverso una corrispondenza epistolare tra i due protagonisti.
Non può essere tutto "oro" quel che si trova in quelle lettere e non si può pretendere di tracciare le linee storiche relative all'operato di Mussolini, basandosi essenzialmente su di esse e questo anche ammettendo che tutte le lettere fossero autentiche e non ci siano state, a suo tempo, oltre a delle sottrazioni che paiono certe, anche delle manipolazioni nel "fondo Petacci" depositato presso l'Archivio centrale di Stato (le recenti polemiche sui Diari di Mussolini, acquistati da Marcello Dell'Utri e pubblicati da Bompiani, per i quali c'è il forte sospetto che siano apocrifi, come di tanti altri testi storici risultati poi palesemente falsi, pur solo dopo accurate perizie, deve sempre rendere gli storici molto guardinghi e sospettosi).
Veniamo ora alla parte del libro che più ci preme considerare, cioè quella relativa ad un progetto di fuga all'estero della coppia che, secondo gli autori, si intravedrebbe tra le righe della corrispondenza tra Mussolini e Clara.
Non siamo d'accordo con questa tesi e la lettura degli stralci di testo delle lettere selezionate e riportate nel libro, non ci sembra che la dimostri come invece ritengono gli autori.
Loro stessi, oltretutto, dopo aver vagliato tutte le lettere scambiate dai due amanti, devono anche ammettere che, tutto al più, siamo in presenza di prove indiziarie: «Il carteggio per chiunque non sia Clara, funziona solo come una pista indiziaria» (pag. 22).
E devono anche premettere che: «Era stata lei, più di lui a pensare che in Spagna Mussolini avrebbe potuto costituire una sorta di "governo in esilio" e traghettare nel dopoguerra l'idea fascista» (pag. 9).
Già con queste premesse non si capisce perchè la tesi della "fuga", che serpeggia in tutto il testo, sia stata così evidenziata, ma è comunque opportuno confutare o forse, per meglio dire, inquadrare nei suoi esatti termini questa parte dell'interpretazione dell'epistolario data dagli autori, circa un "progetto di fuga" della coppia perché, conoscendo i "vizi" e l'andazzo della letteratura in argomento, è facile prevedere che da qui in avanti, giornalisti e scrittori storici "di sistema", la facciano propria ed anzi la ripropongano dando per assolutamente acquisito che Mussolini e Clara Petacci negli ultimi giorni di guerra stavano per squagliarsela in Spagna.
Praticamente, confutata e definitivamente caduta la storiella, che dal dopoguerra e fino almeno agli anni '80, è rimbalzata ovunque nella storiografia antifascista, dove un autore dietro l'altro la riportava senza starci troppo a riflettere, cioè quella di una "fuga di Mussolini in Svizzera", questa fola verrebbe ora ad essere sostituita e riproposta con quella di una mancata fuga di Mussolini e l'amante in Spagna.
A nostro avviso, invece, pur nei limiti di una recensione, basata solo sugli stralci delle lettere pubblicati dagli autori, senza potere avere sottomano tutte le lettere e con i testi integrali, quanto da questi riportato dimostra, tutto al più, che nella prospettiva del crollo e della tragedia finale, si erano tenute al vaglio, soprattutto in via teorica, tutte le strade possibili, quindi anche quelle di un esilio all'estero e del resto non potrebbe essere diversamente visto che il Duce aveva il dovere e la responsabilità rispetto agli interessi nazionali, al governo che rappresentava, alla RSI, alla sorte dei fascisti ed alla vita della stessa sua amante, di considerare e non scartare alcuna possibilità che si fosse presentata per chiudere quella pagina di storia e salvare quello che onorevolmente era ancora possibile salvare.
Mussolini, però, da quello che ne sappiamo e da quanto è stato possibile ricostruire, attraverso testimonianze e documentazioni reperite in vari ambiti, per quel che personalmente lo riguardava, ostinatamente intese sempre scartare ogni ipotesi di fuga all'estero, anche contro il parere di quegli che gli stavano vicino. E a questo suo intento di voler restare sul suolo italiano, pur sapendo che vi avrebbe trovato, come infatti accadde, la morte, si attenne sempre, fino all'ultima illusione di un ripiegamento in Valtellina dove, lo "sganciamento", costituiva una sua disperata strategia finalizzata a risolvere politicamente il destino dei fascisti, della RSI, e le sorti della Nazione, tramite una trattativa di resa in extremis, ma a "piede libero".
Nei suoi spostamenti, di località in località, obbligati dall'avanzata del nemico, Mussolini si attenne sempre a quanto aveva annunciato proprio a Clara il 30 agosto 1944 «le mie intenzioni sono chiare e cioè fino a quando ci sarà un lembo d'Italia libero, io rimarrò dove questo lembo sarà» (pag. 133) o in altre lettere del 9 e il 10 settembre 1944: «i piani per andarsene sono ormai avanzati, sempre ben inteso in territorio italiano» (pag. 134).
La stessa Clara, nelle sue lettere, lo chiama "imprudente" e ne sottolinea spesso la sua avventatezza o il suo poco interesse alla salvezza personale, particolari anche questi che, almeno in parte, ridimensionano l'esistenza di un concreto progetto di fuga che i due avrebbero nel cassetto.
La possibilità di una specie di rifugio all'estero per Mussolini e Clara, ovviamente a guerra finita, poteva benissimo essere nel carnet di tutte le ipotesi possibili, ma sicuramente Mussolini l'avrebbe presa in seria considerazione solo se, al contempo, tante altre condizioni, quali una trattativa di resa onorevole per la Nazione, la necessaria salvezza di quanti avevano partecipato alla Repubblica o militato nel partito fascista, ecc., si sarebbero potute realizzare. Per Mussolini, un esilio, sempre ammesso che poi lo avrebbe accettato, non sarebbe mai stato solo un fatto di salvezza personale.
Tutta questa faccenda, pertanto, andrebbe precisata meglio, senza alcuna prevenzione ideologica e andrebbe inquadrata nei termini e nei limiti esatti che la lettura di sporadiche frasi, non sempre facilmente interpretabili, contenute in un rapporto epistolare tra due persone in quella situazione "eccezionale", potrebbe far credere.
A nostro avviso, anche con i limiti che ci impone una lettura limitata ai soli stralci delle lettere riportati nel libro, questi testi non smentiscono quanto, oramai da tempo, si è potuto ricostruire sulle ultime ore del Duce e che più avanti in parte cercheremo di illustrare, ovvero in sintesi:
1) Mussolini è perfettamente conscio della inevitabile sconfitta e della fine del fascismo e della RSI. Da "rivoluzionario politico" quale egli è sempre stato, fino all'ultimo non vuol rassegnarsi all'inanità alla quale è costretto nella sua situazione e pensa di cercare un minimo di via di uscita, attraverso il gioco politico. Per esempio, trattative di resa con gli Alleati (sempre da attivare in contemporanea alla resa dei tedeschi o comunque dopo che questi fossero rientrati nei confini del Reich: non ha certo intensione di ripetere un secondo 8 settembre!), in virtù di importanti documenti di cui è in possesso (in particolare, ma non solo, l'"esplosivo" Carteggio con Churchill, che dimostra chiaramente la mala fede del britannico e come l'Italia venne trascinata in guerra).
Con le future autorità cielleniste, che si paleseranno al momento della ritirata dei fascisti, egli spera di trattare un "trapasso indolore" dei poteri che eviti un bagno di sangue e comunque gli lasci mano libera per defluire, con i militi dal partito fascista, verso i confini del nord Italia, dove pensa di realizzare i suoi intenti e chiudere la guerra e la RSI.
2) Egli è ben determinato e lo dimostrerà chiaramente fino alle sue ultime terribili ore, a non lasciare il territorio italiano, nonostante i solleciti di molti del suo seguito che vorrebbero sconfinare, in qualche modo, nella vicina Confederazione Elvetica. Lo attesteranno tutti coloro che gli furono vicini negli ultimi tempi, così come il suo medico personale, il tedesco Georg Zachariae e come ricorderà il socialista Carlo Silvestri, suo acerrimo avversario ai tempi del delitto Matteotti, che poi gli fu vicino fino al 25 aprile, il quale riferì che Mussolini non pensava minimamente di mettersi in salvo, ma anzi il suo cruccio e il suo ultimo desiderio era proprio quello di sacrificarsi in qualche modo, affinché questo suo sacrificio personale potesse tornare vantaggioso per l'Italia.
3) Non intende assolutamente cadere vivo nelle mani del nemico, il quale prima di impiccarlo cercherebbe sicuramente di ridurlo a un pagliaccio.
4) La salvezza dei suoi famigliari, moglie e figli, oltre a quella della sua amante, gli stanno particolarmente a cuore e lo preoccupano. Per loro ha in serbo di trovargli un rifugio all'estero, e in questo senso ha operato. Certamente potrebbe anche aver desiderato o sperato che Clara gli resti vicino. Ma egli sa perfettamente che ben difficilmente uscirà vivo dall'avventura bellica e che questa ipotesi potrebbe realizzarsi solo nel caso di improbabili svolte nelle trattative finali.
Pasquale Chessa e Barbara Raggi, basandosi sui testi presenti nello scambio di lettere tra Mussolini e Clara, ne deducono invece che da almeno due anni era in piedi un progetto di fuga di Mussolini e Clara in terra spagnola. Vediamo nel dettaglio.
Più che altro questa ipotesi si basa, prevalentemente, su quella che viene definita "l'ultima lettera" inviata dal Duce alla donna, datata mercoledì 18 aprile 1945.
«Clara, ciò che io presentivo e temevo date le inevitabili lungaggini, s'è verificato. Stamane l'ambasciatore Rahn, è venuto a dirmi che la Spagna proibisce ogni volo sul suo territorio. Ed era veramente turbato ciò dicendomi... Ora si potrebbe tentare il volo clandestino, ma i passeggeri all'arrivo sarebbero internati e l'apparecchio sequestrato. Riconoscenza della Spagna! Questa ingratissima notizia aggiunge un altro motivo a quelli che mi sollecitano per andare a Milano per agire sul piano politico» (pag. 17).
Lo stralcio di testo, così riprodotto, a nostro avviso dice tutto e niente: intanto non è neppure certo che Mussolini si stia riferendo ad un eventuale volo di fuga, suo e di Clara, da tempo progettato. Potrebbe benissimo riferirsi ad un possibile e futuro volo per la messa in salvo di Clara stessa e/o dei suoi parenti, i quali ultimi, infatti, alcuni giorni dopo gli venne organizzata clandestinamente la partenza per la Spagna dove fecero scalo e furono internati.
Al limite, queste frasi, potrebbero riferirsi ad uno di quei progetti, più che altro teorici, da Mussolini e Clara precedentemente presi in esame, inerenti la conclusione del tragico capitolo della guerra, progetti che potevano anche prevedere una specie di esilio in Spagna che consentisse di gestire in qualche modo la "resa" con gli Alleati. Ma oltretutto Mussolini e non solo lui, sapevano bene, da tempo, che il governo di Franco, per non incrinare i suoi equilibri con gli Alleati, non avrebbe potuto garantire a Mussolini un "asilo", sia pure transitorio. Quindi quel "si potrebbe tentare il volo clandestino, ma i passeggeri all'arrivo sarebbero internati" sembra più riguardare altre persone, vedi i famigliari di Clara, che Mussolini e Clara stessi!
Gli autori commentano questi passaggi della lettera, presupponendo che: «...l'indisponibilità del governo spagnolo a offrire asilo politico in territorio neutrale, priva Mussolini della possibilità, così come l'avrebbe immaginata, di trattare con i vincitori da una posizione di relativa sicurezza, dietro la protezione di un governo amico»(pag. 18).
Ma è questa una interpretazione del tutto personale ed è anche dimostrato dalla stessa frase di Mussolini sull'ambasciatore Rahn, per il quale dice: "era veramente turbato", significando questo che la faccenda era a conoscenza dei tedeschi e quindi non stiamo affatto parlando di una progettata clamorosa, segreta e clandestina fuga dei due amanti, ma di un qualcosa di diverso, compreso tra quelle che potevano essere in via possibilistica le varie e future soluzioni per la fine della guerra o viceversa relativo ad altre persone care al Duce.
Gli autori, però, tendono anche ad interpretare, sempre nel senso di un progetto di fuga, una lettera del giorno precedente, martedì 17 aprile, di Mussolini a Clara, in quel momento alloggiata nella Villa Mirabella dei conti Cervis, vicino al Vittoriale di d'Annunzio, con la quale il Duce consiglia alla donna di rimanere in quella residenza, mentre lui deve recarsi a Milano per qualche giorno dove, a suo avviso, c'erano ancora delle "possibilità", anche se "forse ho tentato troppo. Ma la politica è l'arte di trovare la soluzione ai più difficile problemi" (pag. 2).
Dato che, sostengono gli autori, il 17 aprile, ancora Mussolini non sapeva che la via di fuga per la Spagna era sfumata, egli potrebbe aver pensato di recuperare la donna dopo il suo ritorno da Milano, ovviamente per realizzare questa fuga che, invece poi, il 18 aprile svanirà definitivamente.
Ma trattasi di una illazione assolutamente non dimostrata, anzi è smentita dalla risposta che gli manda Clara, il giorno successivo, nella quale gli chiede sarcasticamente se dice sul serio o se sta scherzando e si lamenta decisamente del fatto che lui non la faccia andare a Milano dove sono i suoi, con i quali potrebbe stare ancora per qualche giorno.
Gli annuncia infine, perentoriamente, che anche lei partirà per Milano: «Per mio conto, poiché mi ritengo libera cittadina -e non in stato di arresto, né sorvegliata speciale- ho deciso perciò di andare per mio conto a Milano... Per questo ho la contromisura: non discuto più. Tu fai, io faccio e basta. Perciò puoi stare sereno che tu svolgerai il tuo programma e o il mio e poi ritorneremo tu nella tua casa, io nella frateria [la Villa Mirabella dei Conti Cervis, n.d.r.]» (pag. 21).
Il tono della lettera di Clara, il suo modo piccato di reagire, non si addicono di certo ad una persona che è in attesa di una prossima progettata fuga, non sembra lo stato d'animo di chi è al corrente e condivide questo progetto, arrivato oramai al momento decisivo. E per quanto possa essere contrariata di dover rimanere a Villa Mirabella e magari temere che nei prossimi giorni a Milano il suo Ben faccia una scappatella amorosa con qualche vecchia fiamma, Clara avrebbe anche dovuto essere ben conscia che Mussolini non è che poteva scappare così, da un momento all'altro con lei per la Spagna, ma avrebbe inevitabilmente dovuto mettere per l'ultima volta mano alle faccende del partito, del governo e della RSI. Quindi, se veramente era in programma una "fuga", la notizia che Mussolini si sarebbe recato per qualche giorno a Milano e intendeva andarci da solo non avrebbe dovuto causargli quella veemente reazione e fargli prendere avventate iniziative personali.
È quindi chiaro che quello di un eventuale riparo finale in Spagna, come in un qualsiasi altro paese disponibile, non era altro che una delle tante ipotesi teoriche di cui Mussolini e Clara, avranno parlato tra loro, come naturale e doveroso che fosse e che magari sull'ipotesi Spagna (concretamente ed effettivamente prevista invece per i famigliari di Clara), Mussolini per non rendere disperata la situazione dell'amata, non gli abbia confidato tutte le sue vere intenzioni che, come abbiamo accennato, prevedevano di giocare il tutto per tutto sul suolo italiano.
Successivamente, ritengono gli autori, nella stessa giornata del 18 aprile, ma questa volta probabilmente dopo che la "fuga" in Spagna era oramai svanita, la donna riesce a convincere Mussolini affinché anche lei venga a Milano. Ed infatti gli scriverà:
«Caro, ti ringrazio di avermi compreso... Non commettere imprudenze Bisogna che tu sia durissimo. Rifletti bene sulla tua andata a Milano. Bada di non cadere in tranelli. Non fidarti che di te stesso. Oggi tutti possono tradire (...) Non commettere imprudenze anche se la vita ti è indifferente. Il dovere e la responsabilità incombono sul tuo nome. Unito -passato e avvenire- non ci sei che tu qualunque sciocchezza è colpa. Se tu non mi cercherai io non ti cercherò... Attendo la tua voce, o scrivimi, se credi».(pag. 19).
Anche questa, compiuta dagli autori, è una ricostruzione cronologicamente corretta, ma insignificante, perchè nulla sta ad attestare che certe decisioni di Mussolini siano cambiate a seguito delle informazioni rese da Rahn a Mussolini quello stesso18 aprile circa la chiusura dello spazio aereo iberico ai voli provenienti dall'Italia.
Cosicché Clara arrivò anche lei a Milano e Mussolini come sappiamo, giuntovi il 18 aprile a sera, vi rimase invece fine al 25 quando, dopo l'incontro con i rappresentanti del CLNAI in Arcivescovado, si imbarcò per il suo ultimo viaggio a Como e poi verso l'alto Lago.
In realtà Mussolini già il martedì 17 aprile non è poi così sicuro che avesse in animo di andare a Milano transitoriamente per qualche giorno, come scrisse a Clara e finì poi per non tornare più a Gargnano solo dopo le notizie pervenutigli il giorno dopo, il 18 aprile, circa la impossibilità di una fuga in Spagna, come sembrano lasciar capire gli autori. Altri indizi ci dicono, infatti, che Mussolini aveva già in mente un progetto politico finalizzato all'espletamento di tutte le possibilità che rimanevano per una onorevole e mitigata conclusone della guerra e della Repubblica e allo sganciamento delle milizie fasciste verso il nord. Probabilmente Mussolini aveva già dal 17 aprile considerato possibile un definitivo trasferimento a Milano e il suo ritorno a Gargnano non era per lui così scontato, come sembrerebbe far credere la lettera di Mussolini a Clara dove parla di doversi recare per circa 3 giorni nella metropoli, in pratica fino a sabato, o la frase della lettera di risposta della donna, che probabilmente ignora i veri intendimenti di Mussolini e gli dice : «...poi ritorneremo, tu nella tua casa, io nella frateria».
Per gli autori, invece, il 17 aprile nei programmi di Mussolini è previsto un ritorno a Milano anche se, mentre la partenza dei familiari di Clara viene decisa in quei giorni, quella della donna (dovremmo presumere che intendano con Mussolini, ma non è chiaro) non sarebbe stata ancora fissata. In un altra lettera di Mussolini a Clara del 17 aprile questi dice:
«Sono stato aspro perchè ero reduce da Villa F. (Feltrinelli, sua residenza, n.d.r.) dove si era svolta una molto antipatica discussione sugli eventi dell'ora. L'addetto ha risposto che tutto in ordine e che l'apparecchio viene atteso di ora in ora» (pag. 22).
Come possano, con prove che a nostro avviso non sono neppure "indiziarie", gli autori dedurne che Mussolini stia parlando di un apparecchio finalizzato alla sua fuga, o non invece di quello che dovrebbe a giorni portare i famigliari di Clara in Spagna o a chi sa cosa altro, non è dato sapere, ma per loro, in ogni caso:
«Stanno per partire. Almeno così sembra (sembra?, ma da cosa? N.d.A.). La Spagna non è mai stata così vicina». (pag. 22).
Una deduzione palesemente forzata questa, oltretutto espressa, da una parte con una certa sicurezza e dall'altra con l'uso del "sembra". E gli autori devono anche ammettere che «Da una lettera all'altra si passa dalla descrizione del progetto della descrizione del trasferimento del governo della RSI a Milano a quello di una possibile fuga in Spagna o di un passaggio in Svizzera. Mussolini compie il tentativo di tenere tutte le strade aperte, per sè e per lei. Una decisione non modifica le altre, restono tutte sotto traccia e così complesse da decifrare». (pag. 22).
Come vedesi siamo in presenza di labili indizi, di strascichi di ipotesi più che altro teoriche, tra l'altro variamente interpretabili o come ammettono, in generale, gli autori "così complesse da decifrare", presenti in sporadici passaggi di quelle lettere.
Ma oltre che dalla lettera del 18 aprile, con la quale Mussolini informa Clara che la Spagna proibisce ogni volo sul suo territorio e dalle sporadiche frasi estrapolate dalle lettere del giorno precedente, tutti indizi, come abbiamo visto, decisamente labili e non facilmente decifrabili, da cosa scaturisce, sostanzialmente, questa deduzione degli autori circa una progettata fuga dei due amanti in Spagna?
Secondo gli autori, in base alla lettura dell'epistolario, "la via spagnola", che rispetto a tutte le altre possibilità che potevano essere in auge (Svizzera, Ungheria, persino Giappone) è la più concreta, scaturirebbe da questi, chiamiamoli, "sospetti" che qui riassumiamo e per i quali esprimiamo subito, tra parentesi, alcune sintetiche osservazioni che ne dimostrano l'assoluta labilità e poca concretezza:
a) la soluzione "spagnola", dicono gli autori, attraverserebbe tutto il carteggio come un "fenomeno carsico", quindi nascosta qua e là tra i "fondali" della corrispondenza. A nostro avviso, invece, più che altro, è la "tesi" degli autori che attraversa tutto il loro libro come un fenomeno carsico ed è riportata in tutte le presentazioni dell'edizione, facendone ovviamente lievitare l'interesse di acquisto per i lettori. Secondo gli autori Mussolini, già nel 1944, utilizzerà nella corrispondenza con Clara molte parole spagnole e gli manderà anche un vocabolario mentre lei gli promette di applicarsi nello studio di quella lingua (ma questo, a nostro avviso, attesta solo una delle tante possibilità teoriche per le quali premunirsi in vista dell'epilogo finale, una eventualità che potrebbe riguardare proprio Clara, non necessariamente anche Mussolini, se non ripetiamo in via teorica);
b) il fatto che la Spagna ospiterà la famiglia Petacci quasi al completo (una supposizione questa che, a veder bene, non significa proprio nulla);
c) alcuni commenti di Mussolini, che si compiace dell'intuizione di Franco per essersi defilato dalla guerra e ha cercato anche di ricomporsi con gli Angloamericani (altra supposizione arbitraria su osservazioni del Duce, che possono riferirsi ad un discorso di carattere generale e non necessariamente al fatto che, in tal modo, la Spagna sarebbe così divenuta un paese ideale in cui loro avrebbero potuto rifugiarsi);
d) il fatto che, a febbraio del 1945, mentre si prepara l'espatrio dei famigliari di Clara, si palesa un certo interesse della donna affinchè Mussolini si circondi di persone fidatissime, così da avere molte strade aperte davanti a sè (consigli e osservazioni queste, da parte di Clara, alquanto ovvi che, come sopra, possono voler dire tutto e il contrario di tutto).
e) l'interesse di Clara per la figura del segretario particolare del Duce, Luigi Gatti, la cui moglie spagnola, attraverso i suoi genitori, sarebbe disposta ad ospitare clandestinamente Mussolini in terra iberica (come vedremo più avanti, invece, proprio questa ipotesi di un rifugio clandestino in Spagna presso la moglie di Luigi Gatti, era stata rifiutata dal Duce).
f) il fatto che Mussolini avrà sicuramente bisogno di una persona di fiducia che sappia tutelare i suoi interessi presso lo Stato spagnolo. Il futuro marito della sorella di Clara, l'ingegner Enrico Mancini, che farà poi parte del gruppo dei famigliari di Clara che espatrieranno in terra iberica, secondo Clara, sarebbe il giusto messaggero tra Mussolini e il governo di Franco. Il Duce, specificano gli autori, non potrebbe di certo occultarsi come una persona qualsiasi ed oltretutto è nella lista dei criminali di guerra (Anche in questo caso il problema è sempre lo stesso: è possibile che ci si stia riferendo a qualcosa di affatto diverso da una fuga di Mussolini in Spagna, ovvero ad un discorso più generale e cose di questo genere).
g) una lettera del 23 febbraio in cui Mussolini dice a Clara: «...esiste a Ghedi un aeroplano pronto a partire per la Spagna. Ci vuole soltanto una autorizzazione tedesca che otterrò facilmente. Ho parlato di ciò con il generale Bonomi» (pag. 24).
(In questo caso, trovandoci a febbraio del 1945, è evidente che questo aereo non può riguardare una fuga così prematura di Mussolini, ma forse, molto più probabilmente, quella della famiglia Petacci. Anche qui poi, come vedremo, il generale Ruggero Bonomi, citato da Mussolini, è vero che aveva, a quel tempo, proposto un piano di fuga per Mussolini, piano di fuga che ha una certa convergenza con l'ipotesi di far ospitare Mussolini in Spagna presso la famiglia dei suoceri della moglie di Luigi Gatti, ma Mussolini, che Clara lo sapesse o meno, aveva declinato decisamente il progetto);
h) ed infine una lettere del 3 aprile 1945, in cui in un più ampio discorso, diviso per punti, ad un certo momento Mussolini le scrive «...b)quando ti parlo di "mimetizzazione" non faccio offesa al tuo coraggio che tu hai dimostrato in maniera definitiva. Morire, si, se necessario; ma evitare il carcere, il ludibrio e non dare questa soddisfazione a tutte le carogne uomini e donne. c) la soluzione Casal [Vito Casalinovo, ufficiale di ordinanza del Duce, n.d.r.] è la migliore. Munita del tuo passaporto iberico, tu ti metti nelle mie vicinanze dovunque io vada. Nessuno ti conosce e nessuno potrà disturbarti» (pag. 24). (Una proposta questa, fatta da Mussolini alla donna, come tante altre che furono elargite in quella tragica situazione e che, a nostro avviso, ha poco a che vedere con una ipotetica imminente fuga a due in Spagna. Si parla quindi di una soluzione Casal evidentemente transitoria e nel territorio italiano, perchè in caso contrario Mussolini avrebbe dovuo accennare non ad un "dovunque io vada", ma più o meno a un "quando saremo là" o frasi del genere).
Analogamente, aggiungono gli autori, ad aprile del 1944, da un altra lettera scritta dal Duce, si poteva arguire che Mussolini propose a Clara di mettersi sotto la protezione del governo giapponese. (Una proposta logica, naturale e non necessariamente in relazione con eventuali futuri progetti di fuga a due, visto che oltretutto siamo ancora lontani dal tragico epilogo).
Tutto qui, almeno per quello che gli autori hanno riportato nel libro e non crediamo ci fosse dell'altro perché, ovviamente, sarebbe stato da loro evidenziato.
Soppesando quanto sopra esposto e confrontandolo poi con le informazioni che ora andremo ad riportare, possiamo quindi concludere che Mussolini espletò relazioni in vari ambiti e si mosse in tutte le direzioni nel tentativo di trovare una via di uscita alla tragica situazione in cui si dibatteva, ma le eventuali soluzioni che ne sarebbero scaturite, qualunque possano essere stati i discorsi e le eventualità prese in considerazione,volente o nolente Clara, non lo avrebbero indotto a rinunciare a quel minimo di presupposti che si era dato e che noi abbiamo più sopra sintetizzato in 4 punti: tentare una disperata manovra politica finalizzata ad una possibile trattativa di resa (ma non alle spalle dei tedeschi); non abbandonare fino ai limiti del possibile il suolo italiano; non cadere vivo in mano al nemico; mettere al sicuro, in qualche modo, i famigliari e Clara Petacci. Presupposti questi, che possono apparire confusi, sempre aperti ad altre soluzioni, ma che non sono in contraddizione con quanto ebbe a scrivere a Clara, anzi: «morire si, se necessario, ma evitare il carcere, il ludibrio per non dare questa soddisfazione a tutte le carogne».
E l'incertezza di tutta la situazione e su gli stessi intenti di Mussolini, in un certo senso, traspaiono anche da una considerazione espressa dagli autori:
«Nelle giornate allucinate dal 18 al 25 aprile, Mussolini rifiuta i piani che gli vengono proposti pr la sua salvaguardia personale (...) La sorte fa la storia in quei giorni. Ecco perché non sarà mai possibile, e storiograficamente inutile, arrivare ad una ricostruzione puntuale degli eventi. E poco importa scegliere una versione piuttosto che un altra. Il dilemma fra passaggio in Svizzera o fuga in Spagna non sussiste. È più verosimile, infatti, credere che Mussolini abbia, fino alla fine, ma solo alla fine, tentato entrambe le soluzioni. Alle quali però nel suo intimo, non pensava di dover ricorrere, convinto com'era che la trattativa per la resa avrebbe ruotato intorno alle sue molteplici strategie» (pag. 28/30).
I piani di salvataggio del Duce.
Come abbiamo accennato, vogliamo ricostruire ora gli scenari nei quali si poteva intravedere per Mussolini una possibile ipotesi di salvezza personale e vediamo così come si comportò il Duce di fronte alle varie proposte e iniziative che gli venivano prospettate. L'atteggiamento di Mussolini in tutti questi casi risulta coerente con il comportamento da lui tenuto fino alle ultime ore di vita, quando rifiutò ostinatamente ogni proposta per tentare un disperato espatrio in Svizzera, come gli suggerivano disperatamente molti del suo seguito.
Non avrebbe senso supporre che Mussolini, almeno fino al 18 aprile 1945, di fronte ai vari progetti di salvezza che gli furono prospettati, declinò l'offerta perchè forse aveva in serbo una sua fuga "privata" con Clara, in quanto i vari Tullio Tamburini, il generale Ruggero Bonomi, Mario Niccolini, Ugo Noceto, ecc, cioè coloro che gli proposero o addirittura gli organizzarono progetti di fuga, sono proprio quelli a cui Mussolini avrebbe dovuto comunque rivolgersi per organizzare la sua fuga con la donna, oltretutto all'insaputa dei tedeschi.
Nella nostra ricostruzione utilizzeremo prevalentemente l'eccellente lavoro realizzato dal ricercatore storico Marino Viganò, certamente non di tendenza neofasciste, compendiato nel suo articolo "Quell'aereo per la Spagna... ", pubblicato su "Nuova Storia Contemporanea" n. 3, 2001. Anche se molti dei dati e delle testimonianze riportate sono reperibili in vari ambiti letterari, l'articolo del Viganò risulta sicuramente il più esaustivo, sintetico e preciso possibile.
Per il comportamento di Mussolini, ostinato e risoluto nei suoi ultimi tre giorni di vita a non voler sconfinare nella Confederazione elvetica, dove avrebbe dovuto entrare con un atto di forza improvviso o clandestino, ma comunque sempre possibile, e i suoi contatti e trattative per far espatriare i suoi famigliari e anche quelli di altre autorità della RSI, rimandiamo invece al saggio di Marino Viganò, "Mussolini, i gerarchi e la fuga in Svizzera (1944 – 1945), analogamente pubblicato su "Nuova Storia Contemporanea" n. 3, 2001, trattandosi in questo caso di avvenimenti relativi ai momenti successivi all' "ultima lettera" dell'epistolario tra Mussolini e Clara (18 aprile '45) che abbiamo qui considerato.
È importante leggere anche questo saggio del Viganò perché si aggiunge ai riscontri che confermano la linea di condotta di Mussolini a voler rimanere sul suolo italiano. Il saggio, a cui in calce è accluso anche l'articolo "Quell'aereo per la Spagna... ", è reperibile presso il sito:
http://www.italia-rsi.org/miscellanea/nuovastoriacontemporaneafugacosiddetta.htm.
Consideriamo quindi attentamente i vari piani di salvataggio del Duce, ideati da autorità della RSI, da settori del partito fascista o del suo entourage, dove si riscontra il ricorrente e totale rifiuto di Mussolini di aderire ad uno qualsiasi di questi progetti, tanto che c'era persino chi pensava di condurlo all'ultimo momento in salvo, narcotizzato o contro la sua volontà.
Lasciamo la parola a Marino Viganò e al suo articolo "Quell'aereo per la Spagna... ("Mussolini non pensò mai di fuggire") di cui elidiamo per brevità alcuni passaggi meno importanti:
"Una delle prime conferme delle varie iniziative - oltretutto nemmeno fra loro collegate - per tentare di mettere in salvo Mussolini suo malgrado e nei modi più fantasiosi, si ha del '50 dalle memorie di Antonio Bonino, vicesegretario del P.F.R. per la sede di Maderno dall'ottobre '44 all'aprile '45, uscite a Buenos Aires sotto forma di libro e a Milano in versione condensata come serie di articoli".
[Nota Viganò: Questa la versione sintetica pubblicata in Italia sempre nel '50: "Che non ci fosse clima di trattative a Gargnano lo dimostrano anche le preoccupazioni di una ristretta cerchia di persone, fra le quali io mi trovavo, per avviare vari progetti diretti a salvare Mussolini. Pavolini, Barracu, Apollonio, Lappo, Casalinuovo, la medaglia d'oro Enzo Grossi e il sottoscritto sono stati i principali protagonisti di questi progetti. Si era pensato in un primo tempo di portare Mussolini in Spagna con un apparecchio dell'Ala Littoria. L'apparecchio era stato anche trovato e non mancavano certo i piloti per effettuare il volo. Naturalmente l'atterraggio sarebbe stato fatto in qualche punto isolato della Spagna, d'accordo col governo di Franco e Mussolini sarebbe "sparito" in qualche castello dell'interno. Si pensò che l'apparecchio poteva essere intercettato, che un guasto improvviso avrebbe anche provocato un atterraggio forzato in territorio nemico e si pensò allora che il sottomarino avrebbe costituito un mezzo di trasporto più sicuro. Ne vennero approntati due: uno a Genova e un altro a Venezia, il comandante Grossi avrebbe pensato a mettere insieme un equipaggio fidatissimo e garantiva in modo assoluto la certezza del successo. Accennai questi progetti a Mussolini e li respinse sdegnosamente": A. Bonino, Mussolini da Gargnano a Dongo. Sperò di essere processato dai nemici, in: "Tempo" (Milano) XII (1950), n. 12, pp. 16-17, qui p. 17]
Bonino ideatore di un paio di quei progetti di salvataggio, afferma di aver saputo in visita di congedo da Guido Buffarini Guidi, appena sostituito quale ministro degli Interni (21 febbraio '45), che anch'egli ne era al corrente. Anzi, che Buffarini aveva a sua volta preparato qualcosa del genere con l'aiuto del capo di gabinetto Eugenio Apollonio (arrestato dai tedeschi e deportato a Dachau quel giorno stesso per rappresaglia al licenziamento di Buffarini Guidi) [Nota Viganò: Su questa intricata e a tratti indecifrabile vicenda: M. Viganò, "La guerra fu vinta in Svizzera". Un documento del Servizio informazioni dell'Esercito elvetico sulla fine della RSI, in: "Italia Contemporanea" (Milano) n. 199, giugno 1995, pp. 327-341.].
Il "piano Tamburini"
«Mi colpì la sua conoscenza di particolari da me ritenuti riservati alle persone strettamente interessate; infatti stavo in quei giorni predisponendo alcune iniziative per salvare il duce nel caso di un disastro. Avevo preso contatti colla medaglia d'oro Enzo Grossi, con Apollonio funzionario del ministero dell'Interno; col direttore dell'Ala d'Italia e col console Casalinuovo. Era stata prevista la possibilità di un imbarco a Genova su un sottomarino di cui Enzo Grossi avrebbe preso il Comando; si era predisposto un apparecchio a lunga autonomia del tipo che aveva eseguita la crociera Roma-Tokio; un ufficiale della Decima Mas avrebbe preso il comando di un piccolo sottomarino a Trieste ed il colonnello di aviazione Casalinuovo, cugino del console Casalinuovo, era pronto a paracadutarsi nella conca della costa jonica per accogliere, col sottomarino in attesa a Trieste lo sbarco del duce, qualora a suo tempo fosse stata scelta questa decisione. Infine Apollonio, funzionario del ministero degli Interni, aveva rintracciate due ville che davano l'assoluta garanzia di poter occultare il duce per un lungo periodo di tempo e mi doveva accompagnare a visitarle, quando improvvisamente venne arrestato dai tedeschi.
Nel colloquio con Buffarini appresi, non senza stupore, che egli era a conoscenza dell'iniziativa Apollonio. Mi espresse infatti il suo rammarico per l'avvenuto arresto che mi veniva a porre nell'impossibilità di effettuare la già predisposta visita alle due ville, visita preventivamente stabilita con Apollonio per il giorno successivo a quello in cui venne arrestato. Confermò che il duce non intendeva lasciar muovere alcun passo per la propria salvezza in caso di disastro; si disse però felice di incoraggiare qualsiasi tentativo in materia, anche in contrasto colla volontà dell'interessato. Probabilmente era anche a conoscenza di tutto il complesso delle iniziative da me prese, ma non ne fece cenno. Io, nel timore volesse indagare su questi da me considerati segreti e come tali scrupolosamente rispettati, mi chiusi nel più impenetrabile mutismo» [Nota Viganò: A. Bonino, Mussolini mi ha detto, Buenos Aires, Edizioni del "Risorgimento", 1950, pp. 29-30, ora come: A. Bonino, Mussolini mi ha detto. Memorie del vicesegretario del Partito fascista repubblicano 1944/1945 (riedizione critica a cura di Marino Viganò), Roma, Settimo Sigillo, 1995 (in corso di stampa).].
Esiste poi una versione resa in terza persona sempre nel '50 a Ermanno Amicucci da Tullio Tamburini, capo della Polizia della R.S.I. dall'ottobre '43 al giugno '44, che fa risalire la sua personale iniziativa di salvataggio addirittura "alla fine di dicembre del 1943 o ai primi di gennaio del 1944", cioè con largo anticipo sui rovesci militari per un preciso motivo: "la preparazione di esso richiedeva un lungo periodo di tempo, soprattutto nei riguardi della salvezza del duce, dovendosi predisporne tempestivamente i mezzi idonei". Mussolini però avrebbe respinto l'offerta di Tamburini, secondo il suo racconto, già nella primavera del '44:
Il piano "sommergibile"
«Tamburini, che era stato a lungo prefetto di Trieste, conosceva assai bene Augusto Cosulich, l'amministratore dei cantieri dell'Alto Adriatico di Monfalcone dove si fabbricavano non soltanto navi e sommergibili, ma anche aeroplani. Lo fece venire a Maderno e gli disse di aver bisogno urgente per i suoi servizi di polizia di un aeroplano e di un sottomarino di lunga autonomia. Cosulich rispose che nei cantieri esistevano ancora quattro apparecchi "Cant Z", danneggiati da un bombardamento: uno tuttavia avrebbe potuto essere riparato con una certa sollecitudine e messo in condizioni di servire. Avrebbe avuto un'autonomia di cinque o seimila chilometri, portando non più di dieci o dodici persone (...)Occorrevano tuttavia sei mesi, e bisognava stare attenti che i tedeschi, i quali controllavano i cantieri, non se ne impossessassero appena pronto. Il sommergibile avrebbe potuto avere un'autonomia di un centinaio di giorni di navigazione subacquea, più del doppio in emersione, ed avrebbe avuto una stazza di 120 tonnellate [...]. Il comandante Enzo Grossi, interpellato in via riservata da Tamburini, si offerse di guidare il sommergibile e di scegliere l'equipaggio. Per l'aeroplano lo stesso Mussolini avrebbe dovuto scegliere piloti e personale tecnico [...]. Gli equipaggi avrebbero dovuto essere in tutto di una ventina di persone: quattordici per il sommergibile, cinque per l'aeroplano. La spesa globale per condurre a termine questo piano si sarebbe aggirata sui due o tre miliardi di lire, che naturalmente, per buona parte occorreva convertire in valuta aurea o pregiata [...]. Un giorno del marzo del 1944 Tamburini chiese un'udienza speciale a Mussolini per riferirgli intorno a cose di grande importanza: avrebbe bisogno almeno di due ore di colloquio. Mussolini lo ricevette una mattina alle sette concedendogli di intrattenersi con lui fino alle nove.
Tamburini portò al duce carte geografiche, progetti, cifre, disegni e gli espose il suo piano in ogni particolare [...]. Mussolini stette ad ascoltarlo, fra l'interessato e il divertito [...]. Fatto sta che il piano non lo mise di buon umore. Dopo aver accennato, con riso amaro, a Verne e a Salgari, disse a Tamburini: "Queste faccende non rientrano fra i vostri compiti. Non dovete più occuparvene. Ho il mio piano e provvederò io al momento opportuno. Non me ne parlate mai più" [Nota Viganò: E. Amicucci, Mussolini respinse il piano di Tamburini, in: "Tempo" (Milano) XII (1950),n. 19,p.6.]".
Nel '63 ne parla anche Enzo Grossi, ufficiale sommergibilista, medaglia d'oro della R.S.I., comandante della base di "Betasom" a Bordeaux fra il settembre '43 e l'aprile '44, poi della seconda divisione di Fanteria di marina della Decima Mas dal gennaio '45. Non soltanto conferma le dichiarazioni di Bonino e di Tamburini, ma precisa la data dell'ultimo colloquio sulla questione, avvenuto a Gargnano nel febbraio del '45. Allora, secondo la sua testimonianza, Mussolini avrebbe respinto di persona il salvataggio prospettatogli ancora una volta:
«Qualche giorno dopo chiamò S.E. Tamburini e mi espose un suo piano inteso a porre in salvo la vita del Duce, purché io potessi disporre di un fidato equipaggio di sommergibile. Mi spiegò che con il beneplacito dei Giapponesi sarebbe stato allestito un grosso sommergibile che al mio comando doveva prendere il mare, al momento opportuno, con a bordo la famiglia di Mussolini e i miei congiunti. Tutto era stato previsto per mantenere il segreto e per soddisfare le esigenze dei familiari dell'equipaggio; durata prevista della missione: un anno. Mi impegnai in senso affermativo. Tamburini si propose di parlarne a Mussolini. Qualche giorno dopo lo stesso Tamburini mi comunicava che tutto era andato a monte poiché il Duce si negava perentoriamente a quella che considerava una fuga. In occasione di un colloquio che ebbi nel mese di febbraio del 1945 Mussolini mi ringraziò per quanto ero disposto a fare e mi disse: comprendo perfettamente quali sentimenti hanno indotto Tamburini a progettare la nota missione sottomarina e ringrazio anche voi su cui potrei fare il massimo affidamento, ma io non ho nessun interesse a vivere come un uomo qualunque» [Nota Viganò: E. Grossi, Dal "Barbarigo" a Dongo. Parte 13. Un sommergibile per Mussolini, in: "Il Secolo d'Italia" (Roma) VII, sabato 25 gennaio 1958, n. 23.]".
La proposta Nicolini.
Di un altro tentativo, ci racconta Marino Viganò (opr. cit.), sarebbe stato ideato - con meta la Penisola iberica - verso la fine del 1944, su proposta di Mario Niccolini, ispettore dei Fasci repubblicani in Spagna fra l'aprile e il settembre '44, quindi segretario generale dei Fasci all'estero e d'oltremare presso la Direzione nazionale del P.F.R. sino al gennaio del '45. Ma anche questo progetto venne, respinto o almeno non considerato con sufficiente attenzione. L'idea sarebbe originata dalla constatazione che il governo di Franco non avrebbe potuto garantire l'asilo a Mussolini e ai suoi gerarchi, sia pure per un periodo determinato di tempo, ma che un rifugio era possibile presso famiglie di combattenti spagnoli della guerra '36-'39.
«Il governo spagnolo assolutamente no: Franco non avrebbe mai permesso un passo del genere, perché Franco aveva svolto una politica troppo realistica, era troppo "spagnolo" per compromettere il paese. Però, io avevo sostenuto una tesi con Renato Ricci: sarebbe stato possibile trovare un asilo provvisorio a Mussolini, ma fuori del controllo del governo spagnolo. Sarebbe dovuto essere tra spagnoli, siccome lo spagnolo è di temperamento molto generoso, molto impulsivo ed ero sicuro che negli ambienti di coloro che avevano combattuto la guerra civile si sarebbe trovato un rifugio con sufficiente facilità. Ma, comunque, in contrasto con le autorità spagnole che, certamente, ufficialmente non avrebbero mai acconsentito ad accogliere Mussolini (...) Io ne parlai, appunto a Ricci ed egli prese in considerazione la proposta, parlandone con Vittorio Mussolini che era ispettore dei Fasci in Germania.
Poi Ricci mi rispose: "Caro Niccolini, hanno detto che provvederanno loro, che sono sicuri, che hanno già predisposto tutto, che è già tutto previsto". Questo è accaduto nel dicembre '44, prima di Natale e dopo la famosa offensiva tedesca di von Rundstedt nelle Ardenne, che abortì. Fu allora che mi resi conto che non c'era più nulla da fare, che andai da Ricci e gli sottoposi quella proposta. Io avevo pensato a due possibili soluzioni: un aereo o un sommergibile. La proposta partì da me personalmente: io chiesi addirittura di andare a parlarne personalmente in Spagna. Conoscevo l'ambiente spagnolo proprio perché avevo partecipato alla guerra civile a fianco di truppe spagnole e quindi avevo tanti amici, là: trovare appoggi non era difficile, anche se non nel governo o fra le autorità. Si era prima del Natale del '44 e, dopo due o tre settimane, Ricci mi diede una risposta negativa. Mussolini e gli altri, infatti, contavano molto di poter organizzare il "ridotto" in Valtellina» [Nota Viganò: Testimonianza resa all'autore, di Mario Niccolini (n. Firenze 30/4/1914), Milano, 8 aprile 1988].
Sembra dunque, afferma Viganò, che con gli inizi del '45 tutte le proposte si siano arenate.
Ricostruisce ancora Viganò (opr. cit. di cui anche qui elidiamo, per brevità qualche passaggio): Viene invece allora studiato un altro piano, sempre con meta la Spagna o le colonie spagnole in Atlantico. Ne parla oggi, per la prima volta, Ugo Noceto, capitano dell'Aeronautica, sequestratario delle ditte "Glaxo" e "Tiberghien" di Verona, amico di Vittorio Mussolini e di Orio Ruberti della segreteria particolare del Duce, collaboratore di Piero Cosmin, capo della provincia di Verona dal settembre '43 e di Venezia dal maggio al luglio '44. La vicenda prende avvio il 15 febbraio '45:
«Il fatto più eclatante, che secondo me avrebbe potuto riuscire, è avvenuto quando Piero Cosmin ha lasciato la prefettura di Venezia ed è stato distaccato al ministero degli Interni. È andato ad abitare a Bodio Lomnago, sul lago di Varese, nella grande villa di Piero Puricelli (...).
Eravamo ai primi del '45, Cosmin è stato chiamato da Buffarini Guidi: "Vieni domani a Milano, in corso del Littorio 9 - era un rifugio segreto di Mussolini - e porta anche il tuo amico aviatore". Cioè, io. Ci siamo andati. Buffarini Guidi ci dice:
"Qui le cose si mettono male, oramai non c'è più niente da fare e bisogna cercare di salvare Mussolini in qualche modo. Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di salvarlo, perché se Mussolini è in salvo, o in Spagna o in Argentina, può far del bene all'Italia. Lui non vuole, ma volente o nolente bisogna portarlo via. Guarda, qui ci sono degli indirizzi dove si può vedere di trovare qualche cosa. L'unica soluzione è l'aereo, perché è troppo conosciuto".
Cosmin ha risposto: "Va bene, ma bisogna che sia d'accordo anche Vittorio". E Buffarini: "Aspettate, che Vittorio viene subito". Vittorio è arrivato, ha detto senz'altro di si, ma ha ribadito: "Guardate che però mio padre non vuole. Comunque, interessatevi" (...)..
Collaudatore ufficiale della "Piaggio" era un mio grande amico Aldo Moneti, ufficiale dell'Aeronautica là distaccato, oltre al Genio aeronautico. Ho detto a Cosmin: "Lasciami andare a parlare con Moneti". Moneti mi ha portato dall'amministratore della "Piaggio", e abbiamo trovato il mezzo di portar via Mussolini. Forse un mezzo non bello, ma che sicuramente sarebbe riuscito: un'aeroambulanza. Quanto all'autonomia, ce n'erano pochi tipi, uno dei quali partiva da Finale, faceva tutta la Sardegna e poi ritornava. Poteva portare tre persone e l'attrezzatura, per cui levando quest'ultima Moneti - grande pilota, non come me - era sicuro. Il progetto è: pigliamo quest'apparecchio attrezzato, lo portiamo all'Aeronautica Macchi" di Venegono avvertendo il capo della provincia di Varese, Enzo Savorgnan di Montaspro e lo teniamo pronto. Moneti soggiorna a Bodio Lomnago, a villa Puricelli, e al momento opportuno volente o nolente, prendiamo il duce e lo portiamo via. Da Venegono andiamo a Villanova d'Albenga all'hangar, facciamo il pieno di benzina, poi via verso l'isola di Gallinara, poi volo radente con l'apparecchio leggero e l'emblema della Croce Rossa fino a Tolone. Prima di Tolone - la parte più difficile, secondo Moneti - traversiamo il golfo del Leone e andiamo o alle Baleari o alle Canarie. L'autonomia c'era, a patto di non portare scarponi né altro che potesse diminuire la velocità. Il golfo del Leone era molto pericoloso per il vento. Ho battuto a macchina la relazione con disegni e piani. Telefoniamo a Buffarini Guidi: "Bene! bene! Portali a corso del Littorio 9, a Milano".
Ma ho l'impressione che Vittorio Mussolini non abbia mai avuto questa mia relazione, perché ho portato io stesso questa relazione a Milano, poi ho aspettato, ma non è successo niente. Da Finale, sempre telefonate: "Cosa dobbiamo fare?". Bisognava pagare l'aereo alla "Piaggio" e un piccolo compenso a Moneti, con un soggiorno di almeno un mese in Spagna perché l'aereo non sarebbe più ritornato. Dopo qualche tempo, Cosmin mi dice: "Andiamo da Savorgnan".
Ci andiamo, telefoniamo ma non riusciamo mai a trovare Buffarini Guidi. Poi finalmente parliamo con gli Interni e ci dicono: "Complimenti per questo piano, ma teniamolo in sospeso perché c'è un nuovo ministro, Paolo Zerbino, che ha l'idea che tutto si può accomodare tramite il cardinale Schuster". Cosmin, testardo, dice: "lo non ci sto!". Telefona, cerca di mettersi in contatto con Vittorio Mussolini, ma non ci riesce: silenzio da tutte le parti. Allora mi dice: "Vieni, Ugo, andiamo a Milano in corso del Littorio 9, oppure direttamente a Gargnano a villa Orsoline. Qualcosa facciamo: io ho una questione amministrativa da risolvere, tu devi avere il rimborso delle tue spese". Il mattino dopo lo raggiungo, facciamo colazione, poi scendiamo. Cosmin accarezza i cani, si curva e lo vedo stramazzare. Telefono a Savorgnan, lui è arrivato con un dottore: "Niente da fare, tubercolosi galoppante (..).
Cosi, io che credevo di diventare un piccolo eroe, non ho potuto far niente per Mussolini. Eppure, sono sicuro che il piano sarebbe riuscito, anzitutto per l'abilità come pilota del capitano Aldo Moneti, e poi perché l'aereo sarebbe passato inosservato: lui conosceva tutta la zona, faceva tutta la costiera a volo radente e passava inosservato. Sarebbe stato l'unico modo di metterlo in salvo, studiato da ingegneri dell'Aeronautica (...). [Nota: Testimonianza resa all'autore di Ugo Noceto (n. Savona 10/4/1905), Milano, 2 giugno 1995].
Marino Viganò, significativamente chiude questi ricordi di Ugo Noceto, con queste parole:
"Mussolini ne ha abbastanza di ambulanze, dopo l'indigestione di trasferimenti con quel sistema nell'estate del '43. Ma è più probabile che, come continuerà a ripetere, non intenda dissociarsi dalla sorte degli altri fascisti che l'hanno seguito nell'avventura della R.S.I.: ciò significherebbe un vergognoso abbandono di posto, un vero tradimento della fiducia risposta in lui, il crollo definitivo anche del "mito" Mussolini. Un destino sentito come peggiore della morte".
Ed eccoci così arrivati al progetto, forse più importante e concreto, quello proposto dal generale Ruggero Bonomi, accennato anche dai due autori del libro "L'ultima lettera di Benito" :
E "difatti - prosegue Viganò - quando ancora alla vigilia della fine il generale Ruggero Bonomi, sottosegretario all'Aeronautica presso il ministero delle Forze armate, gli prospetterà una via di salvezza presso la famiglia spagnola della moglie del segretario particolare Luigi Gatti, ne riceverà un ultimo e definitivo rifiuto".
«lo avevo fatto preparare da tempo un aeroplano su cui, nel più stretto incognito, Mussolini avrebbe dovuto salire nei giorni immediatamente precedenti il 25 aprile, per sottrarsi alla cattura da parte dei partigiani e degli alleati. L'aeroplano era un Savoia-Marchetti S 79, da me fatto trasferire segretamente presso il campo di aviazione di Ghedi, in provincia di Brescia.
Quel campo era infatti uno dei pochi rimasti a disposizione della nostra aeronautica. L'aereo recava a bordo un equipaggio particolarmente addestrato, deciso nell'azione, avvertito dello scopo della missione e francamente votato a condurla a compimento.
Quanto alla destinazione, non avevo dubbi: doveva trattarsi della Spagna, paese raggiungibile con poche ore di volo, con una rotta che era quasi del tutto al di fuori dei controlli nemici (...) In Spagna, era previsto, Mussolini sarebbe stato accolto dai parenti della moglie di Gatti, suo segretario particolare poi fucilato a Dongo, che era una spagnola.
La signora Gatti era stata da me messa al corrente di ogni cosa ed aveva dato il suo pieno consenso. Nella peggiore delle ipotesi, se la situazione internazionale di quei giorni avesse impedito a Franco di compromettersi, conferendo asilo e protezione all'ospite, Mussolini avrebbe potuto in un secondo tempo essere consegnato agli alleati, sottraendolo però alla tragica fine di Giulino di Mezzegra. Per coprire nel miglior modo possibile l'operazione, e dissipare ogni sospetto tedesco, avevo provveduto a far iscrivere i membri dell'equipaggio all'Aereo club di Ghedi come normali appassionati di volo, mentre erano garantite ad ogni istante le scorte di carburante e la possibilità di immediato decollo. La dimostrazione che il volo avrebbe avuto il cento per cento di successo è data dai fatti.
Quel volo ebbe luogo e quell'apparecchio passò realmente e senza ostacoli in Spagna: fu esattamente il 22 aprile 1945. Sennonché non c'era Mussolini. Nella carlinga dell'S. 79 sedevano quel giorno il professor Francesco Petacci, sua moglie e sua figlia Myriam, la moglie dell'ambasciatore germanico a Lisbona e l'avvocato Mancini, un amico dei Petacci che portava con sé una documentazione dei crediti italiani nei riguardi della Spagna. Atterrarono indenni a Barcellona, furono accolti nel paese come profughi, ebbero salvezza e tranquillità. L'equipaggio venne internato fino alla fine della guerra, l'aeroplano fu naturalmente sequestrato. L'avventura si concluse senza risonanza di sorta. Quanto a Mussolini, egli si rifiutò caparbiamente di lasciare l'Italia e di mettersi in salvo.
Mi espresse il suo rifiuto in forma categorica, quando mi recai da lui per sollecitarlo a partire, con queste parole: "lo sono qui e resterò qui fino in fondo. Che cosa volete che mi importi ormai, Bonomi, di questa mia sporca pellaccia?". Ripeto: avrebbe potuto salvarsi. Non lo fece di proposito, e mi pare un sintomo della rassegnazione al destino che molti avvertirono in lui negli ultimi giorni a Milano » [Nota Viganò: Viganò S. Bertoldi, Parla Bonomi. Avevo preparato un aereo per la salvezza del duce ma lui non ne volle sapere, in: "Oggi" [Milano] XVIII (1962), n. 17, pp. 9-13, qui pp. 9-10, e: Id., La guerra parallela 8 settembre 1943 - 25 aprile 1945, Milano, SugarCo, 1963, pp. 60-62].
Continua Viganò, precisando che di questa ostinazione a non voler partire per la Spagna nonostante la praticabilità dell'offerta di Bonomi, il figlio Vittorio Mussolini ha lasciato a sua volta testimonianza in un libro di memorie. L'offerta sarebbe stata da lui rinnovata al padre il 25 aprile, nel primo pomeriggio, alla vigilia del colloquio in arcivescovado con i membri del C.L.N.A.I.:
«Il generale Bonomi, capo dell'aviazione repubblicana, mi aveva confermato che sul campo di Ghedi, vicino a Brescia, c'erano ancora dei trimotori "Savoia-Marchetti 79" in grado di prendere il volo. "Ieri ho parlato con il generale Bonomi, a Ghedi ci sono due aerei pronti al decollo... Si potrebbe raggiungere la Spagna, qui siamo alla fine...".
Da molti giorni mio padre era stato, da ogni gerarca che lo avvicinava, tempestato di progetti di fuga e salvezza. Buffarini Guidi, aveva in mente l'uso di un sommergibile atlantico ancorato a Trieste. Renato Ricci un volo verso la Sicilia su un piccolo aereo o un Mas. Ma l'indifferenza di mio padre per qualsiasi piano di salvezza rasentava ormai la più ottusa testardaggine.
Già non rispondeva con ironia, ma duramente. Mi disse: "È questa di Bonomi la soluzione migliore per risolvere la nostra situazione? E in quale gigantesco velivolo infileresti tutti questi fascisti che sono qui al Nord attorno a me?". Riuscii a trovare ancor fiato per mormorare "Potremmo dirigerci in Baviera, e continuare la lotta contro i russi...". "Siamo alla fine, anche per la Germania i giorni sono contati...Gli Dei se ne vanno". Provai ad insistere e ne ebbi una risposta dura: "Nessuno ti ha pregato di interessarti della mia personale salvezza. Sono in attesa di alcune risposte importanti dalle quali dipende la mia decisione finale».
[Nota Viganò: V. Mussolini, Il figlio del Duce racconta il "suo" venticinque aprile di 44 anni fa. Mio padre mi diede il memorandum per evitare le stragi del '45, in: "Controstoria" [Roma] I (1989), n. 2, pp. 5-12, qui p. 11 conforme a quanto scritto già anni prima: "Mi feci animo e gli parlai di un progetto che avevo sinora taciuto: "Papà, ieri sono stato a parlare con il generale Bonomi. All'aeroporto di Ghedi ci sono ancora alcuni 'S.M. 79' in grado di decollare. Potremmo raggiungere la Germania o nel caso anche la Spagna. Prima di notte m'impegno a portarti sino a Ghedi e partire. Piloti e benzina sono a disposizione, ma non bisogna indugiare, perché gli angloamericani possono arrivare a Brescia in poche ore...". Mio padre si alzò di scatto dalla sedia e mi disse rudemente: "Nessuno ti ha pregato di interessarti della mia persona: seguirò il mio destino qui in Italia". Ero certo che mi avrebbe risposto così, ma le sue parole mi gelarono il sangue. Già Renato Ricci e Buffarini-Guidi che avevano fatto un analogo tentativo al mattino, avevano ricevuto un netto rifiuto": Id., Vita con mio padre, Milano, Mondadori, 1957, p. 213.)].
E chiude così Marino Viganò il suo pregevole articolo "Quell'aereo per la Spagna...":
"Lui non vuole, ma bisogna cercare in modo assoluto di salvarlo", così avrebbe detto Buffarini Guidi a Cosmin e a Noceto nell'invitarli a predisporre il loro progetto di salvataggio. Una conferma, oltre a molte altre, che le iniziative sarebbero partite dall'entourage dei ministri e dei gerarchi, mai su istanza di Mussolini stesso: che anzi avrebbe respinto tutte le proposte arrivate al suo orecchio. È una precisazione doverosa per chi ancora si ostina a propagandare la pretesa "fuga in Spagna" o l'ancor più fantomatica "fuga in Svizzera" di Mussolini".
 

Maurizio Barozzi     

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