Tra venditori di fumo e di
chincaglierie
Giorgio Vitali
Due articoli apparentemente lontani
Due articoli apparentemente lontani fra di loro mi hanno suscitato
un’associazione d’idee, che in questa sede intendo esprimere. Si tratta di un
articolo di Umberto Eco pubblicato su “l’Espresso” dell’8 giugno scorso,
dedicato alle scuse chieste dal papa Wojtyla per il passato della Chiesa e per
il differente atteggiamento del papa attuale nei confronti dello stesso
problema.
L’altra è un’intervista di Pietrangelo Buttafuoco a Gianfranco Fini su
“Panorama” del 3 agosto.
Dico subito che l’associazione di idee si riferisce alla spontaneità con cui
attualmente è contrabbandato il falso.
Le scuse della Chiesa
Giustamente Umberto Eco fa presente, nel suo articolo, che il «chiedere scusa»
generalmente si riferisce ad una piccola, involontaria, offesa. Inoltre
contesta, ma in modo benevolo, il fatto che Benedetto XVI, nel suo recente
viaggio in Polonia, «abbia fatto capire che se i cristiani hanno fatto cose poco
commendevoli ciò non significa che la Chiesa raccomandasse di farle; ma che (se
l’avesse per caso raccomandato) bisogna pur tener conto dei tempi». Seguono
alcune considerazioni di piacevole lettura per arrivare ad una conclusione che
cerco di sintetizzare… «Che il messaggio evangelico, per trasformarsi in
religione ufficiale, ha dovuto fare i conti col mondo in cui si innestava, con
gli usi e costumi feroci dell’Impero e con la mistica guerriera dei popoli
barbarici… un conto è il messaggio cristiano ed un conto la civiltà cristiana
come fenomeno romano barbarico… Chiedere scusa per una cultura che molti
considerano alle radici dell’Europa, e che ha fuso in modo indissolubile Vangelo
e Crociate? Piuttosto, direi, imparare da questa lezione a valutare con la
stessa flessibilità luci ed ombre di altre religioni e di altre culture».
A questo punto, mi piacerebbe conoscere il significato di queste considerazioni.
Perché è fuori discussione che Umberto Eco da qualche parte vuole andare a
parare. A mio avviso qui si cerca di avallare un sostanziale falso storico.
Quello che il Vangelo, nato chissà dove con inclinazioni etiche sublimi venuto a
contatto con costumi imperial-barbarici vi si è dovuto adattare. Ma questa è una
considerazione a posteriori che non tiene conto di un elemento essenziale: la
pretesa del cristianesimo di ergersi come insegnamento morale al Mondo intero,
come faro di civiltà, come espressione di incivilimento di altre culture
(disgraziatamente cadute negli ultimi secoli nelle mani di cristiani). Bisogna
tenere conto dei tempi? Ma quali tempi? Se i tempi erano feroci ed il
cristianesimo costituiva la cultura di base, la religione più diffusa, il
movente primo ed ultimo di queste azioni, quali tempi «altri» sarebbero la causa
delle cattiverie praticate dalla Chiesa? Sono veramente scuse da bambini,
manifestazioni di infantilismo per una società ritenuta infantile e,
soprattutto, irresponsabile. Capace di accettare di tutto. E, tanto per fare
qualche nome, a NOI caro, a quali tempi si può attribuire il rogo di Arnaldo da
Brescia, Cecco d’Ascoli, Giovanna D’Arco, Giovanni Huss, Giulio Cesare Vanini,
Michele Serveto, Giordano Bruno… pochi nomi fra le centinaia di migliaia
(basterebbe riflettere anche solo al tempo che questi assassini mettevano
nell’imbastire processi, tenere in fetide galere, torturare, preparare il rogo e
convogliarvi una plebe delirante). Sono fatti risaputi e più volte ricordati.
Oggi i costumi, grazie a 2.000 anni di cristianesimo, si sono ingentiliti? Non
ci sembra proprio. È sufficiente seguire quanto accade nel vicino oriente. E
mentre possiamo comprendere il movente ed il comportamento ebraico che, appunto,
è sempre lo stesso da millenni e non prevede il sentimento della pietà, al
contrario ci sembra quanto mai eloquente l’assordante silenzio dei
cristianissimi paesi europei, degli ultraevangelici colonizzatori statunitensi,
dello stesso papato, che si limita ad «invocare la pace» senza fare distinzioni
fra aggressori ed aggrediti. Ipocriti. Sepolcri imbiancati. Occorre qui
ricordare che il primo requisito di un Magistero, di qualsiasi Magistero, è il
sentimento di responsabilità, dell’Onore, della coerenza di quanto si pretende
di insegnare con il proprio passato. Altrimenti si tratta di impostura.
Sergio Quinzio, in un suo libro piuttosto noto dal titolo: “Radici ebraiche del
moderno” edito da Adelphi (4ª edizione, 1991) ci ricorda «Il modello supremo: la
storia della rivelazione racconta la vicenda di Dio che fin dal principio [bereshit]
rinuncia alla sua onnipotenza passando dalla gloria della sua signoria alla
pietà per ciò che è debole, al coinvolgimento in ciò che non è. Nella moderna
trascrizione profana e mondana, consiste in questo il senso e la possibilità
dell’etica. Questo è, secolarizzato, il nostro supremo modello etico, la nostra
suprema esigenza che è troppo più grande di noi, che è, in realtà, più che
etica, e dissolve l’etica».
Fermo restando che i concetti qui espressi sono palesemente di derivazione
ellenistico-classica (vedasi: Filone, “Commentario allegorico alla bibbia”,
Rusconi, 1994; Teofrasto, “Della Pietà”, Isonomia editore, 2005) e molto ma
molto meno ebraica, continuiamo a ritenere che il comportamento fino ad oggi
dimostrato dal papato per le sue problematiche interne ed esterne sia stato in
prevalenza quello del taglione, senza dimenticare che, Umberto Eco ci perdoni,
non ci sembra che «altre religioni», Islam in primis, abbiano al loro attivo
tante canagliate come quelle che fanno parte della storia del cristianesimo,
ampiamente documentate anche in libri recenti. E, sia ben chiaro, queste
dichiarazioni possiamo farle Noi e solo Noi, perché i nostri princìpi sono
quelli dell’assunzione totale di responsabilità, non ci siamo mai proposti come
«buoni» e disprezziamo caldamente tutti i «buonisti», panciafichisti e
pacifinti, dei quali possiamo apprezzare proprio in questi tempi le doti di
«carattere». Per inciso, ricordiamo che Noi non abbiamo mai creduto alle bufale
altrui, anche quelle proposte con grande dispiegamento di mezzi massmediatici,
così come non siamo mai stati dispensatori di certezze o, peggio, di promesse di
felicità in un futuro «mitico». E di questa nostra «qualità» non dobbiamo essere
grati ad escatologie più o meno religiose, ma all’eroico insegnamento morale di
Federico Nietzsche. E per concludere, ci sembra che l’attuale magistero della
Chiesa in relazione alla bioetica ed a tutto quanto riguarda la «difesa della
vita» dall’attacco concentrico della tecnologia consumistica e della fame di
dominio delle multinazionali, sia molto più consistente, più pregnante, più
intriso di «antica saggezza» in quanto non necessariamente agganciato ad una
religiosità cristiana, almeno per quanto concerne la sua ascendenza biblica.
Neofascismo e post-fascisti
Va premesso che, in questi giorni, è reperibile presso tutti i giornalai un
aureo libretto che costa solo tre euro. Si intitola “Le mani rosse sull’Italia”
ed è stato scritto da Giacalone, Poppi, Stracquadanio, a cura di Vittorio Feltri
e Renato Brunetta. Vi si illustrano i progetti di conquista dell’Italia da parte
dell’ormai fallita URSS, come narrati dal “Dossier Mitrokhin”. Vi sono elencati
spioni, venduti, affaristi, trafficanti, doppiogiochisti, arruffoni, e,
soprattutto, venditori di fumo. Che nel fumo si sono dissolti. Questi sono, in
buona sostanza, i componenti della classe politica italiana. Opportunisti e
cialtroni. Gli stessi che abbiamo al governo. Ieri ed oggi. Ce ne dobbiamo
lamentare? Ritengo di No. Siamo realisti. Conosciamo i nostri connazionali. Li
vediamo all’opera in questi giorni. Ma teniamo anche presente che con questa
gente non si va molto lontano. Così come avviene con gli esponenti di
quell’organizzazione che si chiama Alleanza Nazionale.
Gianfranco Fini, leader indiscusso di quel partito su designazione almirantiana
mai messa in discussione, oggi si presenta ai lettori di Panorama che hanno
l’occasione di vedere i DVD dedicati alla storia del Fascismo nella versione
defeliciana proposta visivamente da Folco Quilici, nipote di Italo Balbo, con
l’autorevole avallo di Pietrangelo Buttafuoco, il quale accusandolo di aver
tradito chi sa quali ideali, lo conferma come leader del post- fascismo.
È pertanto utile cogliere al volo l’occasione per alcune precisazioni.
Intanto è bene distinguere fra post-fascismo e neo-fascismo. Il post fascismo
può essere interpretato come espressione politica «democratica» di tutti coloro
che, essendo stati fascisti od essendo passati per il fascismo, alla Zangrandi,
hanno trovato nel MSI il loro partito d’elezione con il quale avanzare le
proprie istanze di carattere politico generale e le proprie rivendicazioni come
gruppo sociale.
Il neofascismo, invece, deve intendersi come una somma di raggruppamenti e di
formazioni che esprimono, alla fine del XX secolo, nuove forme di espressione di
quel «fascismo» eterno ed universale, inventato e proclamato dagli antifascisti
di sempre secondo canoni interpretativi che non sono propriamente quelli
storicamente validati.
Tuttavia, poiché si tratta di residui del vecchio attivismo missista, possiamo
ascrivere il loro fallimento (anche in termini elettoralistici) a quell’antica
ascendenza.
L’interesse dell’articolo di Buttafuoco è evidente perché preludio ad un
ulteriore passo avanti nella strategia figiana di aderire al Partito Popolare
Europeo, cioè al grande centro europeo a matrice cristiana. In tal senso va
interpretata la critica di Fini ai vecchi militanti:… «Una moltitudine di
italiani, in un sistema bipolare, non può essere costretta nella gabbia della
militanza e dell’identità. Il numero degli elettori è cinque volte più grande
della cerchia delle fondazioni, dei circoli, delle associazioni. E poi, questo
richiamo alla militanza, solo la punta di un iceberg di una ben più larga forza,
quella dei numeri, non funziona più: è un grave errore limitare il perimetro del
consenso».
Ed ha perfettamente ragione, concludiamo Noi, sennonché questa cosiddetta
«militanza» è un preciso retaggio del missismo, il quale è stato appunto un
partito a base di militanti che sulle piazze difendevano tesi e retaggi che i
deputati per primi rinnegavano in parlamento. E su questo unto occorre essere
chiari. Noi non abbiamo mai parlato di «tradimento di Fiuggi» perché non c’è
stato alcun tradimento. Alleanza Nazionale è la naturale fisiologica
continuazione del Movimento Sociale Italiano, come dimostra anche il «cul de
sac» nel quale si è venuto a trovare quel partito che dopo Fiuggi ne ha
conservato il nome. Il MSI nell’immediato dopoguerra è nato esplicitamente per
gestire quella massa di persone che col successo de “l’Uomo Qualunque”
dimostravano di non volersi disperdere nei partiti del CLN. Non dimentichiamo
che le cose nell’aprile-maggio del 1945 non sono andate come le raccontano.
Mentre ai tedeschi gli accordi in senso anticomunista presi da Wolff con gli
anglo-americani permettevano di trasferirsi «armati» in Germania per costituire
una difesa armata contro l’Unione Sovietica, in Italia un milione e passa di
uomini in armi erano pronti ad ubbidire agli ordini dei loro superiori militari
(confusione italiana a parte). Questa è stata la vera ragione delle stragi di
militari ingenuamente arresisi perpetrate da bande partigiane per lo più
comuniste. Tuttavia, constatata da parte alleata l’assoluta inconsistenza della
forza armata comunista, e del comunismo italiano stesso (ne abbiamo una riprova
anche attualmente), venne l’ordine di Graziani per la resa. La quale provocò
altre stragi, ma è indicativa delle intenzioni. A questo punto la guerra in
Italia era realmente finita e la penisola ridiventava un’espressione geografica
nel cuore del Mediterraneo, non più “Mare Nostrum”. Ma, eliminata parte
dell’autentica classe dirigente fascista con la detenzione, le fucilazioni,
l’esilio forzato, rimaneva pur sempre quella massa d’uomini che, pur non
coltivando una precisa identità politica, tuttavia nutriva un profondo sentire
patriottico. [A tal fine è bene ricordare, contro il mito del tradimento della
Marina Regia, che solo una parte della nostra flotta si autoconsegnò a Malta].
A queste persone si rivolse la classe dirigente del MSI per orientarle in senso
«atlantico». La riprova ce la presenta il cinquantennio appena trascorso con
traversie di vario genere e tutte legate, vedi caso, a situazioni di politica
internazionale che hanno a che vedere con gli interessi israelo-atlantici nel
Mediterraneo. Il MSI non rappresenta il fascismo, l’origine e la fine
dell’attivismo missista ne è la prova, assieme all’emarginazione della FNCRSI,
che pure rappresentava la totalità dei combattenti socialrepubblicani, ma che
aveva rifiutato l’accettazione dell’Alleanza Atlantica espellendo Valerio
Borghese.
Non stiamo scrivendo un’opera di Storia, ma semplicemente alcune osservazioni ad
un articolo che riteniamo «importante». Tuttavia, a commento e conferma degli
avvenimenti qui citati abbiamo molti documenti da esibire. Se la conclusione di
AN è il PPE per noi si tratta di un’evoluzione naturale, più lenta rispetto ad
altri paesi europei perché l’Italia da questo punto di vista è un’anomalia
europea. Tutto vi arriva più tardi. Tutto più lentamente. Come si ricorderà,
nella parte occidentale d’Europa a guerra finita ebbero il sopravvento i partiti
di matrice cristiana. E non solo per l’influenza delle Chiese cristiane. Come
previsto da Mussolini già nel 1943, anche in Italia la DC assunse il ruolo di
partito guida in rappresentanza dei ceti medi italiani inseriti
nell’amministrazione dello Stato. Che continuarono l’opera del Fascismo con le
“Nazionalizzazioni” di Enti e Banche d’interesse nazionale. L’anomalia italiana
consisteva nella permanenza del MSI (ma persistevano ancora, come adesso,
partiti politici nati nell’ottocento, come il repubblicano ed il socialista) il
quale si schierò all’estrema destra come puntello del Centrismo. Ed in funzione
centrista è stato sempre gestito quel partito, fino alle scissioni tipo Destra
Nazionale, preludio ad AN, quando alcune tensioni interne al MSI potevano
orientarne la linea parlamentare.
«Di sicuro sono post-ideologico e rivendico l’urgenza del pragmatismo». Così si
conclude l’intervista pubblicata su “Panorama”. Noi concordiamo sul pragmatismo
come parola, che però non trova alcun supporto nella realtà odierna. Pragmatista
poteva esse Ottaviano Augusto, o Marcantonio o Nerone, che agivano in società
economicamente e socialmente molto stabili. Non poteva esserlo Costantino, o
Giuliano, o Giustiniano, che di necessità dovevano governare in società
squassate da conflitti sociali associati a moventi ideologico-religiosi a sfondo
razziale. Pertanto oggi, momento cruciale nel quale lo scontro coinvolge
religioni, economie, culture, concezioni economiche, reperimento e sfruttamento
globale di fonti non solo energetiche ma anche alimentari, intrusioni della
tecnica nella biologia umana, la parola «pragmatismo» è un falso ideologico.
Qualsiasi decisione discende per forza di cose da una precisa visione del mondo.
Persiste pertanto il falso che fu all’origine del MSI quando questo partito che
si è sempre battuto per le privatizzazioni, si faceva definire erede del
fascismo che invece era all’origine delle nazionalizzazioni in Italia, o
rivendicava nelle piazze la socializzazione quando nei fatti la negava.
Commento finale: il falso è di casa ovunque
Dal 4 al 10 febbraio del 1945, si svolse la Conferenza di Yalta, in Crimea.
Luogo, sia detto tra parentesi, dove sarebbe morto Togliatti nel 1964. In questa
conferenza, di cui è molto interessante leggere i resoconti, si discusse e si
decisero le sorti del mondo, che rimase come bloccato almeno fino a quando, per
ragioni più che altro economiche, qualcosa fece crollare il sistema URSS ormai
incancrenito nelle strutture e negli uomini.
Leggiamo uno di tanti commenti: «Tutti gli studiosi inglesi e americani che
hanno cercato di spiegarsi il perché Roosevelt fosse quasi soggiogato dalla
personalità di Stalin, facendogli una serie di concessioni al di là di ogni
logica negoziale, sono d’accordo nel ritenere che Roosevelt fosse ottimista e
speranzoso in quanto: 1) Stalin non aveva mai dato prova di essere un
guerrafondaio; 2) La Russia non aveva ambizioni imperialiste 3) Il mondo si
sarebbe evoluto in senso democratico e liberale, stemperando le rigidità ed il
materialismo del comunismo sovietico; 4) Era interesse di entrambi ragionare e
gestire una futura cooperazione mondiale mirata alla pace ed allo sviluppo,
sotto l’egida di USA ed URSS; 5) Roosevelt era profondamente convinto di aver
instaurato un rapporto personale con Stalin tale da metterlo al riparo da
spiacevoli sorprese».
Tutti sanno come in realtà è andata a finire. E ci vuol poco a capirlo, ma
ancora oggi si sostiene che Roosevelt, povero ingenuo, si sarebbe fidato di
Stalin. La verità invece è un’altra, come ben comprende chiunque segue con
necessaria apprensione quanto sta avvenendo nel Vicino Oriente. Si trattato di
uno dei tanti feroci accordi, resi alle spalle dei popoli di tutto il mondo, per
garantire il possesso ai più forti di tutto quanto fosse utile al mantenimento
di tale possesso. Questo è l’autentico pragmatismo.
Giorgio Vitali |