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le verità di Gian Adelio Maletti

(intervista del novembre 2009)

     

 

Dal libro di Seresini Andrea, Palma Nicola e Scandagliato E. Maria, "Piazza Fontana Noi sapevamo, Le verità del generale Maletti", Aliberti 2010, riprendiamo i passi salienti della lunga intervista a loro rilasciata ad Illovo, in Sudafrica nel novembre 2009 dal generale Gian Adelio Maletti numero due del SID dal giugno 1971 al settembre 1975.
Per praticità e per non dover riprodurre l'intera intervista (il libro è di 290 pagine) riassumeremo e sintetizzeremo le domande più importanti e le risposte più interessanti, anche assemblando tra loro domande e risposte abbastanza simili. Si rimanda comunque al testo integrale del libro, anche perchè l'elisione di alcune risposte potrebbe far perdere il senso esatto di quanto voleva dire il Maletti.
Ecco un sintetico stralcio riassuntivo, dove per D, stanno le domande del trio Seresini, Plama e Scandagliato, e per R, le risposte del Maletti.
Domande e risposte sono da noi elise, a volte accorpate e sintetizzate.


L'INTERVISTA


D. Se lei non è una eminenza grigia, allora quali sono i père Joseph dell'Italia degli anni Settanta, generale?
R. Applicherei questa etichetta a persone come Vito Miceli, Federico Umberto d'Amato e naturalmente Licio Gelli. Eugenio Cefis fu senz'altro un eminenza grigia. Forse lo è stato l'allora capo di Stato maggiore dei Carabinieri generale Ferrara, aggiungerei anche il Ugo Niutta, consigliere o altra carica equivalente, alla Corte dei Conti, Infine i soliti noti: il generale De Lorenzo, il senatore Giulio Andreotti e alcune eminenze vaticane. Mafia a parte, ovviamente.
[Più avanti il Maletti, tra le eminenze grigie, vi ha aggiunto anche Michele Sindona - N.d.R.]

D. Torniamo alla sua carriera. Dopo la scuola di guerra, quali altre esperienze risultarono determinanti per la sua prossima chiamata al SID?
R. … Anzitutto vi posso raccontare di due esperienze formative, diciamo così, negli Stati Uniti (…) alla scuola di fanteria di Fort Benning, in Georgia (1949-1950). Ritornai negli States sette anni dopo, nel 1957, per frequentare la scuola di Stato maggiore di Fort Leavenworth, in Kansas (…) poi nel 1963 fui nominato addetto militare all'ambasciata italiana in Grecia.

D. Parliamo ora del coinvolgimento americano nel Golpe [in Grecia il 21 aprile 1967, dove al tempo il Maletti era addetto militare - N.d.R.].
R. Il coinvolgimento degli Stati Uniti lo scoprii solo dopo attraverso altri informatori: mi dissero che la CIA, addirittura, aveva avuto in mano le redini del golpe. (...) nel maggio 1967 ci sarebbero state le elezioni indette da re Costantino II, tutto lasciava presagire che l'Unione democratica di centro, il partito di Georgios Papandreou avrebbe vinto ancora una volta. (...) Papandreou era fortemente antiamericano nonostante fosse sposato con una donna statunitense. Inoltre era un uomo di sinistra ostile alla NATO e soprattutto contrario alla presenza di basi militari USA nell'isola di Creta.

D. Gli americani vi tenevano d'occhio? C'era un rapporto di dipendenza?
R. Inutile negarlo esisteva tra noi e Washington, un rapporto simile a quello che legava la Vienna di Doslfuss alla Roma di Mussolini. Non si possono trascurare inoltre gli aiuti economici. Il Servizio americano, forniva a quello italiano ingenti somme di denaro.

D. Stati Uniti a parte, che rapporti aveva il SID con i servizi segreti di altri paesi?
R. I rapporti con i servizi alleati erano di cautela reciproca. L'unico servizio con il quale eravamo in ottimi rapporti era quello israeliano, il Mossad.

D. Gli americani non avevano solo la CIA, ma anche altri servizi?
R. (...) Nel nostro paese stazionavano in pianta stabile numerose truppe americane oltre a navi e aerei. Al nord c'erano gli stormi della United States Airforce, al sud la flotta. Ora è logico che una nazione, quando usa le basi di un alleato, voglia sapere tante cose, non solo sulla sua lealtà, ma anche sulla sicurezza che esso le fornisce. (...) C'era un comune obiettivo da raggiungere e nessuno poteva prescindere dalla CIA. (...) Il CIC (Counter Intelligence Corps) non avrebbe preso iniziative importanti senza prima consultare la CIA, lo stesso valeva per i Servizi dell'Aeronautica e via dicendo.

D. (...) Fu proprio lei, generale, a sostenere che all'interno del SID, negli anni settanta, operava un organismo segretissimo e occulto, controllato direttamente dal suo caposervizio Miceli. (...) Disse che questa struttura supersegreta si serviva di una scuola di addestramento della quale non volle indicare l'ubicazione.
R. Si è vero. (...) quella scuola era la dimostrazione lampante del fatto che il SID dipendeva dalla CIA: il servizio segreto USA l'aveva finanziata e organizzata.

D. (...) Milano, Piazza Fontana 12 dicembre 1969, venerdì...
R. Ero a Roma. All'epoca ero capo dell'ufficio addestramento dello Stato maggiore dell'Esercito.

D. (...) Sono trascorsi quarantun anni, sette processi, una lunga lista di imputati. Nel 2005 la corte di Cassazione, pur assolvendo tutti, ha accertato che i responsabili dell'attentato furono i fascisti di Ordine Nuovo [1] quello che ancora manca sono i nomi: mandanti ed esecutori. (...) cominciamo dall'inizio: l'esplosivo.
R. L'esplosivo giunse dal Brennero a bordo di uno o più tir. L'informativa parlava di questi camion che erano partiti dalla Germania, erano giunti in Italia e avevano scaricato a Mestre. Si trattava di materiale esplosivo, fu consegnato ad una cellula mestrina di Ordine Nuovo. (...) [l'esplosivo] arrivava da un deposito militare americano in Germania. (...) Gli americani diedero la loro autorizzazione. Avevano grandi quantità di materiale ed erano interessati a condurre un operazione politica in un paese vicino. Questo soprattutto, chi altri poteva trarre vantaggi da una operazione del genere? La Germania? No. (...) Era un esplosivo dal doppio impiego civile e militare. Almeno in parte. (...) Trinitrotoluene. Trotil, ovvero tritolo. Questo è quanto ricordo. (...) L'informativa arrivo sul mio tavolo anni dopo la strage, dopo il mio ingresso nel SID, nel 1971. (...) arrivò dal Centro di Controspionaggio di Padova che era diretto dal capitano Bottalo un ufficiale di notevole valore. (...) La notizia fu confermata in seguito dal tenente colonnello Pignatelli che dirigeva il Centro di Controspionaggio di Trento.

D. Una delle fonti di Giuseppe Bottalo era Gianni Casalini, se lo ricorda? Casalini era un giovane neofascista veneto, militava nel gruppo padovano di Ordine Nuovo. Collaborò con il SID fino al 1975, il suo nome di copertura era "fonte turco". Fu lui a comunicarvi quelle informazioni?
R. Si, ora che mi ci fate pensare direi di si. Le informazioni giunsero dalla "fonte turco".

D. (...) Quando finalmente si puntò sui neofascisti era troppo tardi, furono tutti assolti. Se il SID fosse intervenuto con le informazioni che aveva in mano forse la vicenda sarebbe già stata chiusa. Ma lei dunque non comunicò nulla a nessuno?
R. Certo, come no? Comunicai tutto ai miei superiori. Era una specie di fisarmonica.

D. Passiamo agli esecutori.
R. Non c'è molto da dire. La bomba alla Banca dell'Agricoltura fu piazzata da elementi eversivi di destra. Questo è oramai assodato, direi.

D. Si lo ha stabilito anche la Cassazione nel 2005. Ma mancano i nomi.
R. Io sono molto orientato verso un nome: Padova. (...) Ve lo dico subito, la bomba non fu piazzata nè da Pozzan nè da Giannettini: erano dei pavidi. (...) Fine delle trasmissioni. Altri che avrebbero potuto parlare delle bombe di Milano non parlano. Qualcuno è ancora vivo, ma non parla, non venite a interrogare me.

D. In quanti erano quel giorno a Milano?
R. I commando che compiono questo tipo di operazioni sono formati, in genere, da tre o quattro persone. (...) Erano in quattro, due dentro e due fuori la banca. Ma ora basta, questo è veramente tutto. (...) Io sono convinto che gli americani non volevano la strage. La strage è avvenuta per caso, per disguido per errato calcolo dei tempi. La banca era aperta, l'ora sbagliata e le transazioni erano ancora in corso. (...) Non si trattò di un azione militare, ma di una mossa psicologica, politica. (...) Gli americani cioè non avevano idea di dove la bomba sarebbe esplosa. Questa scelta spettava ai gruppi italiani. (...) Gli americani, insomma, non eseguivano il lavoro sporco, mi pare ovvio. Quello toccava agli indigeni, agli italiani, ai cileni, ai greci.

D. Quando lei generale, parla di americani, per esempio, che cosa intende, la CIA?
R. La CIA certo, ma non solo. C'era anche il CIC il controspionaggio militare. (...) Le bombe avevano uno scopo ben preciso: creare insofferenza politica. (...) Le sinistre stavano avanzando. Agli Stati Uniti interessava moltissimo se lo stivale, in un modo o nell'altro, si fosse staccato dalla carta della NATO, sarebbero stati guai grossi. Molte ottime basi sarebbero andate perdute. Lo slittamento insomma andava bloccato con ogni mezzo. (...) Il presidente degli stati uniti, Nixon, aveva senz'altro conoscenza del fatto che la CIA stava lavorando in Italia nel modo che abbiamo visto.

D. E Andreotti, anche lui sapeva?
R. Andreotti è un uomo troppo misterioso. (...) Può darsi che Andreotti sapesse, che sapesse molte cose. Lo dico chiaro e tondo. C'era in atto in Italia una precisa strategia americana: sono certo che sia il Capo dello Stato sia Andreotti ne erano al corrente.

D. È vero che [Umberto Federico D'Amato] collaborava con la CIA?
R. Be', certo. Gli americani avevano influenza sul Viminale, avevano influenza sul SID, avevano influenza sul governo, avevano influenza sulla nostra politica estera.

D. D'Amato dunque sapeva, avrebbe potuto dire la verità anche sulla strage di piazza Fontana?
R. Certo che sapeva, e avrebbe potuto dire tutto. Peccato che sia morto.

D. Il 5 giugno 1975 lei prese un foglio e scrisse: «Colloquio con il signor caposervizio. Caso Padova: Casalini si vuol scaricare la coscienza. Ha cominciato ad ammettere che lui ha partecipato agli attentati sui treni nel 1969 e ha portato esplosivo; il resto, oltre a armi è conservato in una scantinato di Venezia. Il Casalini parlerà ancora e già sta portando sua mira su gr. Padovano + Delle Chiaie + Giannettini. Afferma che operavano convinti appg. SID. Trattazione futura, chiudere entro giugno ...». (…) Il documento venne scoperto nel 1980. Decifrarlo non è stato facilissimo, troppi nomi, troppe circostanze, tutte difficili da verificare. Ha scritto il Giudice Salvini: «Il teste chiede più volte dove si trovino attualmente Freda e Ventura, Toniolo, Balzarini. A domanda dell'Ufficio risponde: "lo chiedo, perchè di queste persone ho paura"». Era il 1992, Casalini ammise di aver lavorato per il SID... Poi tra il 2008 e il 2009 Casalini è stato nuovamente interrogato. E a cominciato a parlare. Ha detto cose molto rilevanti. Il 6 agosto 1969 Casalini si incontrò con Toniolo che gli fece una proposta: "Dopodomani fatti trovare in stazione. Andiamo a Milano a fare due botti". Sono le bombe dell'8 agosto, gli attentati ai treni (...) Casalini riferì tutto al SID, era il 1973. Ed è quello che risulta pure dal suo appunto (...) Lei informò la magistratura?
R. Se dovessi ricordarmi di tutte le annotazioni che ho fatto, allora sarei una enciclopedia vivente. Comunque si, ricordo qualcosa. L'appunto si riferisce a un colloquio con il capo del SID, che ai tempi era l'ammiraglio Mario Casardi. Lo scrissi piuttosto frettolosamente, come si può notare (…) Dunque, Casalini ha detto di aver partecipato all'azione. Non ha detto di aver messo le bombe (...) Casalini era una fonte, forniva delle notizie. La fonte andava sfruttata: se avessimo denunciato tutte le fonti saremmo rimasti a piedi.

D. (...) Lei la fonte "Turco" l'ha fatta chiudere (...) Il 18 aprile 1969 si svolse a Padova una misteriosa riunione. Vi parteciparono i massimi esponenti del gruppo neofascista. C'era Franco Freda, c'era Giovanni Ventura. C'erano Pozzan, Toniolo e Balzarini. E c'erano due altri personaggi arrivati da Roma la cui identità non è mai stata svelata. Questo incontro segnò lo scoccare dell'ora X. Il 18 aprile fu stabilita ogni cosa: le bombe, gli attentati, l'escalation di violenza. Casalini ne sentì parlare circa tre anni dopo, nel 1972 (…) la riunione si tenne a casa di Ivano Toniolo. Casalini riferì tutto al SID. Che cosa fece il SID?
R. Guardate non ne ho idea. Sono passati quattro decenni.

D. Non ricorda proprio nulla generale? Ci sono per esempio i due celebri ospiti romani. Sono stati fatti vari nomi. Uno di questi è quello di Stefano Delle Chiaie, detto "er caccola" (....) Fu processato per ben due stragi: prima per Piazza Fontana e poi per la stazione di Bologna: sempre assolto, come tutti gli altri.
R. Delle Chiaie era un personaggio importante. Aveva un gran carisma, su questo non ci sono dubbi. Era in contatto diretto con il principe J. Valerio Borghese che si trovava a Madrid. Si era costruito insomma una solida rete di agganci: anche all'estero e nelle fila della malavita. Supporti logistici. Ne Freda, ne gli altri potevano vantare un simile pedigree.

D. Era lui dunque uno dei due ospiti romani?
R. È possibile, certo. Direi che è possibile.

D. L'altro nome è quello di Guido Giannettini.
R. (...) Nel 1969 Guido Giannettini era alle dipendenze del generale Federico Gasca Queirazza (...) È facile che lo aveva fatto. Giannettini in fondo conosceva l'ambiente, era amico di Freda e Ventura. Era considerato l'intellettuale del gruppo.

D. (...) Continuiamo a leggere [la nota scritta da Maletti nel 1975 - N.d.R.] … qui lei si riferisce al gruppo padovano, il soggetto è Casalini: «Afferma che operavano convinti appg. SID».
R. Evidentemente furono fornite delle assicurazioni, in questo senso da parte del SID. Se ne occupò, con ogni probabilità, il capocentro di Padova: fece sapere a Casalini, Giannettini e agli altri che il gruppo operava con il favore del SID.

D. Questo spiega molte cose. Freda e Ventura parlavano tranquillamente per telefono. Complottavano apertamente, alla luce del sole. Senza alcun timore delle intercettazioni. E Ventura, quando fu arrestato, dichiarò di essere un agente del SID...
R. Il SID all'epoca era diventato un campo di battaglia, un piccolo verminaio. C'erano infiltrazioni reciproche e avverse di diverse tendenze politiche (...) L'appunto diceva "colloquio con M.D." prospettando tutte le ripercussioni. Anche questa fu una decisione di Casardi: andare da Forlani [nel 1975 Forlani era ministro della difesa M.D. mentre precedentemente, il 12 dicembre 1969 era segretario della DC, si dovrebbe dedurre, che il Forlani sapesse tutto, altrimenti il Casardi non vi sarebbe andato - N.d.R.], spiegargli tutto e ipotizzare cosa sarebbe potuto succedere. So per certo che Casardi lo fece, l'incontro ebbe effettivamente luogo.

D. Il capitano Labruna le consigliò di organizzare due fughe: quella di Giannettini e quella di Pozzan. Entrambi risultavano implicati nella strage...
R. Labruna era un carabiniere e aveva lavorato a Padova. Conosceva l'ambiente. Secondo me era in diretto contatto sia con Freda che con Ventura, in qualche modo faceva parte della loro rete. Non a caso Ventura, durante il processo di Catanzaro dichiarò che aveva avuto connessioni con il SID, evidentemente si riferiva a Labruna. Convocai Labruna e gli chiesi spiegazioni. Non fu per nulla convincente. Il che a posteriori non fa che aumentare i miei sospetti.

D. [si parla del golpe Borghese] In pochi si mossero dice lei. Qualcuno però lo fece. Gli obiettivi erano cinque: il rapimento del presidente della Repubblica G. Saragat; l'occupazione del Ministero degli interni e della Difesa; l'uccisione del capo della polizia Angelo Vicari; e l'occupazione degli studi della Rai. Un commando neofascista nel frattempo riuscì a introdursi nell'abitazione di Vicari. I golpisti balzarono sull'ascensore, pigiarono il tasto di chiusura e rimasero bloccati. Non avevano letto la targhetta metallica. Pesavano troppo: il montacarichi si era guastato. Furono liberati, dopo un intera nottata di improperi, solo la mattina seguente.
R. Infatti, fu una operazione all'amatriciana.

D. Il golpe improvvisamente venne bloccato... Il comandante Borghese, durante la notte ricevette una misteriosa telefonata. Ascoltò il suo interlocutore, dopodichè diede l'ordine, non se ne faceva più nulla. Nicoli [Torquato Nicoli "Tino", odontotecnico di La Spezia, devoto a Borghese e informatore del SID - N.d.R.], non le disse niente?
R. Si Nicoli parlò anche di questo. Mi disse l'ordine partì da Umberto Federico D'Amato dall'ufficio AA.RR. (…) Una cosa è certa D'Amato non diramò nessun ordine. L'ordine non poteva provenire da lui, veniva dai piani alti, ben oltre.

D. E chi c'era dietro il golpe Borghese?
R. Gli americani, senza dubbio, sapevano tutto. Seguivano gli sviluppi dell'azione ora per ora, passo per passo.

D. Di nuovo gli americani, dunque, come per Piazza Fontana.
R. Esiste questa ipotesi. Si dice che il golpe Borghese avrebbe dovuto essere organizzato un anno prima, in concomitanza con la strage. I due eventi insomma erano collegati, una sorta di doppia spallata in vista di una definitiva svolta politica. (...) Andreotti sapeva, certo. Andreotti sapeva tutto, aveva informatori dappertutto dal Vaticano fino al SID, al SIOS e via dicendo. Ma Andreotti sapeva anche, nella sua scienza, nella sua convinzione politica, che tutto si sarebbe risolto in un flop. Quindi non intervenne. (...) La Mafia era coinvolta, certo. Agiva da supporto. La mafia appoggiava l'eversione, quella di destra ovviamente. E vi dirò di più. I malavitosi erano in buoni rapporti con gli americani. Gli americani hanno sempre usato la mafia.

D. A chi possiamo far risalire la strage di Brescia? [si noti, la strage di Brescia, per i precedenti, per il clima del momento e per il luogo dove fu fatta, a prescindere dagli autori materiali, fu una strage che tornò opportuna per tutte le sinistre e determinò ulteriori cambiamenti in senso progressista nel paese, n.d.r.]
R. Escluderei la presenza degli Stati Uniti. Innanzi tutto, oramai, Nixon non c'era più (...) o meglio la sua stella stava tramontando (...) quindi credo che la CIA aveva adottato una strategia più moderata. Poi c'era un cambio di attitudini nei confronti dell'eversione di destra, perchè gli americani avevano capito che non avrebbe portato a nulla.

D. Secondo Carlo Digilio, armiere di Ordine Nuovo, nonchè agente CIA con il nome in codice Erotodo, la bomba in piazza della Loggia la piazzarono gli ordinovisti veneti su ordine degli americani. Giudica attendibile il personaggio Digilio?
R. Indubbiamente lui era addentro alle questioni americane. (...) A un certo momento, secondo me, gli americani hanno interrotto il loro coinvolgimento diretto. Era la fine dell'era Nixon che avrebbe rassegnato le dimissioni due mesi dopo. Detto questo l'attentato di piazza della Loggia poteva essere nel periodo finale del coinvolgimento statunitense.

D. E il sequestro Moro, invece? Si sarà fatto un idea, generale Maletti.
R. Certo, dietro le B.R. c'erano altri interessi. Escluderei il KGB. (...) Il caso Moro resta un mistero.


Note:

[1] Nota del compilatore: Il 3 maggio 2005, l’ennesimo processo, il settimo, sulla strage di piazza Fontana si chiude in Cassazione con la conferma delle assoluzioni degli imputati e l’obbligo (vera e propria beffa) da parte dei parenti delle vittime, del pagamento delle spese processuali.
Nella motivazione della sentenza però si legge che le nuove prove raccolte negli anni ’90 rendono storicamente certa «la responsabilità di Freda e Ventura per la strage di Piazza Fontana», che fu organizzata ed eseguita dal loro «gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine Nuovo».
Praticamente una "condanna morale" che serve a poco, sia perchè non può avere effetti giuridici in quanto i due, cosiddetti neofascisti, sono stati già irrevocabilmente assolti a Catanzaro, ma oltretutto ha un valore molto relativo perchè pronunciata al termine degli iter di un processo al quale il Freda e Ventura non erano presenti e non poterono difendersi.